Capitolo 37
Kevan
Mi sto ancora chiedendo cosa sia successo cinque minuti fa. Ho davvero baciato Abby? Sì, l’ho baciata come se non ci fosse nulla di più importante al mondo e mi è piaciuto, mi è piaciuto da morire. Le punte delle mie dita sono percorse da piccole scosse di energia. Mi sembra di sentire ancora la seta della sua pelle contro i polpastrelli e il suo sapore nella bocca. Anche lei mi ha baciato, di questo ne sono assolutamente sicuro. Ha partecipato quanto me, ma è scappata come se all’improvviso si fosse resa conto di un’orribile verità. Mi ha allontanato e l’emozione che ha scatenato il suo gesto è una delle sensazioni peggiori che ricordo di aver provato. È stata come una doccia gelata, come ricevere una botta in testa senza aspettarsela.
Ora è lontana da me. Pochi metri mi dividono dal suo esile corpo che, fino a poco fa, era stretto al mio in simbiosi perfetta. Ho bisogno di lei. E ne ho bisogno più di quanto mi aspettassi.
I nostri occhi sono un tutt’uno in questo momento. Mi fissa con un’espressione sconfitta e vorrei solo raggiungerla per chiederle a cosa sta pensando, per farmi spiegare il motivo per cui è fuggita. So solo che mi stanno passando le idee più strane per la testa. Lo ha fatto perché sono un alieno? O perché non si fida di me? O forse è solo timida?
E dire che ero convinto di piacerle. A dire il vero, ne sono ancora certo. Il bacio che ci siamo scambiati ne è la prova tangibile. O forse mi sto solo illudendo che sia così?
Mi tasto la fronte in preda a una destabilizzante confusione e so di non potermi aspettare altro al momento. Me lo sento, è una questione di istinto.
Mio malgrado, muovo alcuni passi verso di lei. La mia è una reazione spontanea, e quando le sono vicino, le sfioro un braccio e mi chino verso il suo orecchio per sussurrarle: «Si può sapere che è successo?». Suo padre, a pochi passi da lei, mi osserva con un cipiglio corrucciato, tipico del genitore preoccupato.
«Niente», risponde abbassando lo sguardo sul terreno, mentre con il piede infastidisce un piccolo ciuffo d’erba.
«Non dirmi: “niente”», insisto. «È successo qualcosa, lo sai benissimo».
Il suo sguardo si fa all’improvviso scuro e mi indica di seguirla, allontanandosi di qualche passo da Samuel. Ci spostiamo in prossimità del limitare del bosco, all’inizio del sentiero che porta nel punto in cui, qualche minuto fa, ci stavamo baciando. Continuo a pensarci, dannazione!
«Ora possiamo parlare tranquillamente», le dico con una curiosa ansia nella voce.
«Di cosa dovremmo parlare?», Abby incrocia le braccia sul petto e fa un’alzata di spalle. Finge un’aria indifferente, ma non ci casco.
«Ci siamo appena baciati. Stava per succedere qualcosa, lo sai».
Sorride. No, non è un vero sorriso, la sua è la pessima imitazione di un sorriso. «Sì, lo so, c’ero anch’io», risponde con noncuranza. C’è qualcosa che non va in lei, è come se si stesse sforzando di apparire disinteressata.
La afferro con forza per un braccio e la scuoto. «Non prendermi in giro, Abby!». I suoi occhi si spalancano e si fissano su di me con aria smarrita. Mi rendo conto dei miei modi bruschi e la lascio andare, ammorbidendo il tono della voce. «Per favore, vuoi dirmi che ti è preso? Perché sei scappata via da me?»
«Non è successo niente, Kevan». Insiste nel non voler aggiungere altro. Si massaggia il braccio e un piccolo senso di colpa mi punge il cuore.
«Quindi?»
«Quindi cosa?», mi chiede, come se non avesse capito cosa intendo.
«Cosa succede, ora?».
Scuote la testa, si guarda intorno, sta cercando una soluzione. «Era solo un bacio. Nulla di più».
«Può darsi, ma io me lo ricorderò per parecchio tempo, quel bacio, perciò non minimizzare. Per favore, sii più chiara, non è mia abitudine pregare per avere delle spiegazioni. Chiarito che era solo un bacio, cosa succede fra noi da questo momento in poi?».
Avverto una certa esitazione nel suo sguardo, il suo corpo è teso verso il mio, ma le parole che escono dalla sua bocca contraddicono le sue azioni. «Kevan, tu mi piaci, davvero… voglio dire, a chi non piaceresti, ma…».
Odio quella maledetta parolina. «Ma?»
«Ma… insomma… non mi va che ci sia niente tra noi. Siamo troppo diversi, non credi? E sarebbe un po’… complicato. Attualmente ho tanti pensieri per la testa, devo fare i conti con una natura che non credevo esistesse, con tanti altri aspetti della mia vita che ignoravo completamente e, dopotutto…».
«Stronzate!», esclamo di getto.
«Come?»
«Hai capito benissimo: stronzate. Ne stai dicendo a valanghe e sinceramente non so se crederci davvero».
«Ti sto dicendo la verità. Che tu ci creda o meno è un problema tuo, non mio. Restiamo amici, avanti Kevan. È meglio».
Un pugno verbale veramente efficace. Per la prima volta mi rendo conto che potrebbe esserci qualcun’altra nella mia vita – qualcun’altra che potrebbe prendere facilmente il posto di Dakota nel mio cuore e che forse ha cominciato a prenderlo fin dal principio, dal giorno in cui con gli occhi in lacrime e un fazzoletto imbrattato di sangue sul naso, mi è passata davanti in un’aula scolastica piena di imbecilli – e mi sento dire: “Restiamo amici, avanti Kevan. È meglio?”.
«Dici sul serio, Abby?»
«Dico sul serio, Kevan».
Rimango in silenzio per alcuni secondi in cui penso che forse dovrei lasciar perdere. «Perdonami, ma per me restano stronzate», replico invece.