Capitolo 15

Dakota

 

 

 

 

 

 

Continuo a ripetermi che è la cosa giusta da fare e che Kevan è uno stupido se non ha ancora capito la situazione. Mi preoccupo soltanto di come la prenderà il capitano Lexion, ma sono sicura che dopo che avrò fatto analizzare il dna della Allen e avrò appurato quella che per me è ormai una certezza, e cioè che la ragazza è un ibrido, sarà orgoglioso di me.

Ho pochissimo tempo a disposizione. Kevan mi sta alle calcagna come se da questo dna dipendesse la sua intera esistenza. Non so cosa passi per la mente di quel ragazzo e a dir la verità non me ne importa, voglio solo riuscire a far capire a Lexion che può contare su di me più che su chiunque altro.

Le porte scorrevoli del laboratorio si aprono e gli occhi infossati del dottor Shentius si fissano all’istante su di me. Sono piccolissimi e lo diventano ancora di più quando sul suo volto appare il sospetto. Ho il fiato corto; ho utilizzato tutta la mia forza per sfuggire a Kevan, tentando persino di colpirlo con delle potenti scariche elettriche. Le mie motivazioni sono così forti che davvero non ho intenzione di guardare in faccia a nessuno, nemmeno a quello che ho sempre considerato un fratello.

Mi dirigo verso il dottore, coprendomi costantemente le spalle. So che Kevan è vicino e non oso pensare alle conseguenze che il mio gesto avrà sul nostro rapporto d’amicizia, ma l’indecisione di Kevan rischia di portarlo alla rovina e pertanto potrebbe trascinarmi nel suo incubo dato che gli sono amica.

Non mi importa che voglia proteggere i maledetti ibridi, per me sono solo feccia, così come mi è stato sempre insegnato. Sono un errore e gli errori vanno cancellati.

Ho uno sguardo più che determinato quando mi avvicino a Shentius per porgergli il campione da analizzare. I miei movimenti sono decisi quando, con un gesto quasi violento, gli metto sul palmo della mano i pochi fili di capelli che sono riuscita a strappare alla ragazza.

«Probabile dna ibrido», dico senza esitazione. «Lo analizzi. Subito». Il mio suona come un ordine e so che Shentius potrebbe non prenderlo bene visto che è comunque un mio superiore, ma non ribatte. Si limita a fissarmi socchiudendo ancora di più i suoi piccoli occhi. Sembrano delle sottili strisce nere sul volto grinzoso e le lunghe ciglia che si muovono mentre le palpebre tremano, li fanno assomigliare a dei disgustosi millepiedi.

Shentius stringe il ciuffo di capelli tra le mani, lo osserva, lo annusa. Lo trovo un gesto disgustoso. Sembra analizzare il campione a occhio nudo e, senza proferire parola, si allontana di qualche passo. Raggiunge una base piana su cui è allineata una moltitudine di vetrini i quali sono divisi l’uno dall’altro da lastre verticali in acciaio. Con estrema delicatezza posa il campione su uno dei vetrini, abbassa una sorta di pressa, che in realtà è un avanzato sistema computerizzato, e i capelli vi scompaiono al di sotto nell’istante in cui la porta del laboratorio si apre e appare Kevan.

Ormai è fatta, mi dico, non si torna indietro. Kevan dovrà farsene una ragione. È infuriato quando si fionda su di me, mi apre a forza le mani e realizza che non contengono più i capelli dell’ibrido. La sua mascella si serra e mette in risalto i lineamenti duri dove c’è appena un lieve accenno di barba. Le mani di Kevan si spostano da me alla base su cui sono esposti i vetrini. Diversi sono pronti per l’analisi, ma il suo sguardo segue quello di Shentius e capisce qual è il campione di Abby. Troneggia al centro della base come un piccolo monumento che in tre stiamo osservando con assoluto interesse e attenzione. Uno schermo ultrapiatto si allunga verso l’alto in corrispondenza del computer che sta analizzando il dna. Kevan si sporge oltre la base e cerca di sollevare la pressa, ma non ce la fa: è bloccata da un sistema di sicurezza a prova di bomba.

Un gemito di frustrazione gli sale alla gola e si manifesta in una specie di brontolio sommesso e adirato. Intanto sullo schermo passano le immagini della catena genetica di Abby e sulla destra, in una finestrella più piccola, appaiono i risultati dei vari elementi di cui è composto il dna.

Numeri e lettere, scorrono in sequenza veloce come un conto alla rovescia. Mi accorgo che sto trattenendo il respiro, mentre quello di Kevan è rapido; alza e abbassa il suo petto come se nei suoi polmoni ci fosse uno stantuffo. Fino a che il computer non dà il suo responso.

 

analisi terminata:

codice genetico analizzato: 50% umano

codice genetico analizzato: 50% ibrido

soggetto analizzato: ibrido

 

I nostri occhi sono fissi sulle parole che lo schermo del computer ci rimanda. Sento scorrere in me forza e soddisfazione, ma lo sguardo sconfitto di Kevan smorza in parte il mio entusiasmo. L’occhiata di Shentius invece è turbata, spiritata, come se avesse appena visto un fantasma. La seguo e mi rendo conto che sta osservando una parte del risultato che il computer sta ancora scrivendo.

 

codice genetico analizzato: corrispondente al 50% con codice genetico sf

codice genetico analizzato: pre

 

Shentius spegne il computer prima che termini quello che stava per scrivere. Con uno scatto si volta verso di me. Ha uno strano luccichio negli occhi, una scintilla di malvagità che gli fa sollevare le labbra in quello che sembra quasi un ghigno. «È lei!», esclama, ma non sembra stia parlando né con me né con Kevan. Ha lo sguardo rivolto verso il nulla.

«È lei chi?», non posso fare a meno di chiedere. Il respiro di Kevan si è fatto così ansante che lo sento sul collo.

«Ho bisogno di vedere la sua faccia». Le mani di Shentius tremano mentre si alzano verso il mio viso. Una scarica elettrica mi investe prima che possa anche solo battere ciglio. Il mio corpo si irrigidisce. Kevan allunga un pugno verso il dottore, il quale, però, riesce a bloccare anche lui con un’altra scarica.

Kevan è giovane e forte, Shentius non è in grado di trattenerlo a lungo e ne è consapevole, perciò con una poderosa spinta elettrica che muove l’aria come l’eco di uno scoppio nucleare, fa volare Kevan lontano da noi, il tempo di riuscire a dare l’allarme.

Nel momento in cui Kevan sta cominciando a riprendersi e rialzarsi, le porte del laboratorio si aprono lasciando entrare cinque guardie armate. Shentius ordina a tre di loro di trattenere Kevan, mentre gli altri due si occuperanno di me, a quanto pare.

Non riesco a capire cosa sta succedendo, pensavo di fare bene e invece sembra che improvvisamente i nemici siamo noi. Cerco di arginare l’energia di Shentius nel mio corpo, ma non ce la faccio.

Le guardie sfoderano le loro fruste elettriche, ne hanno due ciascuno, e mi ritrovo bloccata per i polsi e le caviglie. Mi sollevano in aria, mentre Shentius si affretta a recuperare un marchingegno simile a una piccola piovra con tentacoli in metallo. Flessibili e rapidi si muovono accarezzando l’aria in una danza inquietante e quasi macabra; come piccole serpi si allungano verso il mio volto. Riesco a spostare di pochi centimetri il capo all’indietro, ma non basta. Il mio sguardo è rivolto verso Kevan, ma è nelle mie stesse condizioni: sollevato per aria, cerca di liberarsi dalla fruste elettriche, sbraita, digrigna i denti per il dolore, si muove in modo scomposto, come un animale trattenuto in una rete.

I tentacoli mi sfiorano il volto. Urlo. Finora me lo sono impedita, ma il freddo del metallo che mi scivola sulla pelle brucia più del fuoco. Dall’estremità dei tentacoli sbucano dei lunghi aghi sottili, che con inesorabile lentezza penetrano nelle mie tempie, nel cranio e infine dietro la nuca. Si fissano alle mie terminazioni nervose e ne sondano l’interno.

I miei occhi si spalancano per un riflesso incondizionato, le pupille si muovono dall’alto in basso, da destra verso sinistra, senza che io riesca a fermarle. Le immagini si muovono troppo in fretta e un senso di nausea mi ribalta lo stomaco. Shentius mi fissa. Riesco a vederlo in fotogrammi che si alternano, si spostano in continuazione, la sua figura non è mai ferma in un posto. Abbasso lo sguardo sullo schermo piatto da cui si allungano i tentacoli e riesco a intravedere sulla liscia superficie digitale le immagini del ballo, il momento in cui Abby comincia ad avere quelle strane reazioni e quello in cui alla fine le strappo i capelli come campione da analizzare.

Il dottore sposta velocemente le dita sullo schermo e poco dopo Abby in ginocchio, con lo sguardo puntato su di me che scappo via, appare sul monitor digitale a tutta parete dietro le scrivanie su cui sono poggiati i computer che analizzano i campioni.

Shentius stringe i pugni come se avesse fatto la scoperta più importante del secolo. Il suo petto si gonfia e dalla sua gola fuoriesce la risata più agghiacciante che abbia mai sentito in tutta la mia vita.

«È lei! È lei!», continua a ripetere muovendo i pugni in aria come se stesse scacciando delle invisibili mosche. Poi si appoggia al piano delle analisi e abbassa il capo ripetendo a voce più bassa: «È lei». Si volta di nuovo verso di me. «Era qui. È sempre stata sotto il nostro naso e non lo sapevamo. Ha mentito… è viva. È ancora viva». E i tentacoli si allontanano da me ora che hanno catturato quella parte di memoria che interessava loro.

Shentius fissa lo sguardo sullo schermo e resta a guardare Abby per lunghi secondi, fino a che non invia, tramite un palmare touch screen che ha nella tasca della tuta, un codice rosso che si manifesta con un allarme assordante, trasmettendo le immagini di Abby in tutta la base. Non solo, le informazioni arrivano in tempo reale a ogni stazione aliena presente sul territorio. Da questo momento in poi, Abby è una ricercata. La sua figura vestita di rosa con delle improbabili Converse ai piedi mi guarda dal monitor e sembra accusarmi. Abbasso lo sguardo mentre rimango crocifissa in aria e per un attimo infinito il mio cuore conosce i palpiti del senso di colpa.