Capitolo 20

Kevan

 

 

 

 

 

 

Ho le orecchie tese ad ascoltare il respiro regolare di Abby. Non accenna a svegliarsi, ma il leggero fiato che proviene dai suoi polmoni, mi racconta che è viva, seppur incosciente. Rimango a osservare il suo volto. È tranquilla nel sonno, placida come lo sarebbe un agnellino ignaro di essere appena scampato al macello.

Non ho il tempo di formulare altri pensieri perché uno squillo improvviso e insistente mi fa sussultare e premere d’istinto sull’acceleratore. Mi guardo intorno e, quando mi accorgo che il suono proviene dall’interno dell’auto, riduco la velocità e punto gli occhi sul cassetto sotto il cruscotto. Lo apro e mi balza all’occhio il display fiocamente illuminato di uno smartphone. Afferro l’oggetto. Lo schermo non mi dice niente su chi mi stia chiamando. L’identità è sconosciuta. Non mi fido e mi blocco pensieroso. E se fossero Matt e Greta? Mi decido a rispondere e resto in assoluto silenzio, fino a che la voce che sento non mi sorprende.

«Lexion?»

«Sì, sono io», risponde il capitano dall’altra parte.

Penso immediatamente al peggio. «Dakota? Sta bene?». Le viscere mi si attorcigliano.

«Sta bene, è qui con me. Siamo fuori dalla base. Da un pezzo».

Respiro di sollievo a quelle parole.

«Abby?». Stavolta è Lexion a sembrare preoccupato.

«Dorme sul sedile accanto al mio. Credo che stia bene», lo rassicuro anche io.

«Non perderla di vista neanche un attimo e, se ha un’altra crisi, iniettale il sedativo che ti ha dato Greta. È fondamentale, ora che la serie di crisi si è innescata. Non appena il suo corpo si adatterà potrà farne a meno, ma fino ad allora…».

«Lo so, Greta mi ha spiegato a grandi linee».

«Il cellulare da cui stai parlando è di Matt, il mio contatto fuori dalla base. È protetto, non può essere rintracciato, neanche dai nostri. Ma appena ci incontreremo, ce ne libereremo, non si sa mai».

«Ci incontreremo?», chiedo confuso. Ho altre indicazioni da seguire. «Ho un indirizzo preciso che devo raggiungere al più presto».

«Lo so ed è proprio lì che siamo diretti. Solo che ci andremo insieme. Le coordinate che stai seguendo ti sono state date nel caso io non ce l’avessi fatta, ma considerato che le cose sono andate in modo diverso, proseguiremo insieme. Secondo i calcoli del computer di bordo sei a circa trenta miglia dietro di me. Fra poco meno di venti minuti mi raggiungerai. Ti aspetto sulla statale».

La chiamata si conclude con un bip prolungato. Rimango interdetto, con il cellulare ancora incollato all’orecchio. Ci capisco sempre meno. Ho bisogno di chiarezza. Spingo di più il piede sull’acceleratore. Prima arriverò a destinazione, prima saprò cosa sta succedendo.

 

Come previsto da Lexion, venti minuti dopo scorgo un’auto bianca sul ciglio della strada. La riconosco. La cromatura perfetta brilla dei riflessi della luna. La linea sportiva traccia una sagoma lunga e curvilinea simile a quella di una bella donna. È un gioiello di alta tecnologia, come tutto ciò che appartiene alla Confederazione. Nessun difetto, nessuna anomalia di alcun genere.

Lexion è appoggiato di spalle contro l’auto, Dakota gli sta di fianco. Il sollievo mi pervade quando mi accorgo che sta in piedi da sola.

Parcheggio l’auto dietro a quella del capitano e scendo lanciando un’occhiata a Abby. Dorme ancora. Lexion mi viene incontro seguito da Dakota, che alza lo sguardo su di me, ma non accenna nemmeno un sorriso. Rimane con le braccia incrociate sul petto, senza fare una piega. Reprimo l’istinto di abbracciarla e fisso gli occhi sul volto di Lexion.

«Tutto secondo i piani», esordisce il capitano.

Le mie labbra si piegano in un sorriso ironico. «Piani che a quanto pare sono uno dei pochi a non conoscere».

«Non serve che tu sappia di più in questo momento». Lexion lancia uno sguardo oltre le mie spalle, in direzione di Abby.

«Tranquillo», dico. «Il tuo carico prezioso è integro».

«La cosa mi rincuora. C’è chi farebbe di noi carne macinata se la ragazza si procurasse anche solo un graffio».

Sollevo le sopracciglia sorpreso – ma neanche tanto – da quell’esternazione. Ho sempre avuto il sospetto che dietro questa faccenda ci fosse qualcuno disposto a fare l’impossibile per proteggere Abby.

«Muoviamoci. Liberiamoci dell’auto della Confederazione e proseguiamo con la tua. Ho paura che siano già sulle nostre tracce». Lexion si dirige verso la sua auto, si mette alla guida e porta la macchina verso lo strapiombo, a un paio di metri da dove siamo noi. Una volta sceso, si avvicina a me e Dakota e ci ordina di sprigionare l’energia necessaria per sollevarla e spingerla giù. Facciamo come ci è stato chiesto. Anche Lexion si unisce a noi in quell’impresa. Dalle nostre mani si alzano scie di elettricità che avvolgono l’auto sollevandola dal terreno. Una bolla di energia la trattiene al suo interno senza farla nemmeno oscillare. Riusciamo a farla levitare oltre il precipizio. Il capitano dà l’ordine di ritirare il potere e l’auto piomba nel vuoto. Pochi secondi dopo giunge il rumore assordante di uno scoppio, il fuoco illumina una parte del cielo e una nuvola di fumo si alza verso di noi.

«Se ci stanno seguendo, come presumo, la loro corsa finisce qui, in questo burrone, esattamente dove è finito il loro ipertecnologico sistema di localizzazione, installato nel computer di bordo dell’auto». Lexion si sporge oltre lo strapiombo per assicurarsi che l’auto stia bruciando.

«Via l’auto, via il segnale», penso ad alta voce.

«Giusta osservazione, Rivoluzionario. Ora basta perdersi in chiacchiere e proseguiamo».

«Verso l’infinito e oltre, vero?», commenta Dakota con tono sarcastico. Mi compiaccio del fatto che riesca a parlare.

Lexion si concede un piccolo sorriso. «Forse sì, forse no».

«Non vedo l’ora di scoprirlo».

Il tono che Dakota ha appena usato esprime l’esatto contrario.

«Guido io. Tu e la ragazzina ve ne state al fresco, sul cassone del pick-up». Lexion si affretta con passo deciso verso il veicolo.

«Abby non può stare dietro, non è in condizioni…», comincio, ma il capitano mi interrompe subito.

«Mi riferivo a Dakota», precisa Lexion.

«Fottiti, capitano, e perdona l’insubordinazione», dice lei alzando il dito medio in direzione di Lexion. Ha perso tutta la sua solita accondiscendenza. Il capitano non le rivolge nemmeno uno sguardo e monta in auto.

«Scommetto che ti piacerebbe», le sussurro all’orecchio.

«Cosa?», mi chiede lei.

«Essere quella che lo fotte». Lo sguardo rabbioso di Dakota mi impedisce di scoppiare a ridere.

«Fottiti anche tu, Kevan!», esclama, prima di salire con un agile salto sul retro del furgone. La seguo una frazione di secondo dopo, e in meno di un istante, Lexion ha avviato il motore in direzione dell’ignoto.

 

Siamo in viaggio da un tempo infinito e dai segnali stradali, mi accorgo che abbiamo appena passato i confini dello Stato del Colorado. Spero che sia la nostra destinazione, perché ho le gambe anchilosate e i muscoli irrigiditi.

L’alba è sorta da poco. I raggi di un pallido sole mi abbagliano gli occhi stanchi e assonnati. Dormire, con il vento che mi sferza il viso e i sussulti dell’auto, non è possibile. Lexion procede a velocità sostenuta. Ha l’aria di qualcuno che ha molta fretta di arrivare alla meta finale. Dakota invece sembra non avere problemi a riposare e, piegata in posizione fetale su un sacco di iuta, dorme come un ghiro.

Sollevo lo sguardo verso un cumulo di nuvole minacciose che nasconde a tratti il sole. Poi richiudo gli occhi. Sogno di essere su una spiaggia assolata del Messico e per la prima volta sogno di essere da solo. Dakota non è parte di questa fantasia. Fino a che, il pensiero di un viso sorridente, con gli occhi brillanti, il naso a punta e le gote arrossate, non fa capolino nella mia mente. Abby. Cos’ha che mi attrae tanto? L’originalità che si mescola alla semplicità? La normalità nella sua eccentricità.

E com’è vivere la normalità? Deve essere una sensazione stupefacente. Non ho mai fatto una nuotata nell’oceano, non ne ho mai avuta l’occasione. La mia vita è sempre stata occupata dal duro addestramento, da camere di decontaminazione e da ideali che non condivido. Una vita in bianco e nero, fino a quando una ragazza curiosa non ha cominciato a gettare addosso alla mia pseudo esistenza macchie di colore, spruzzi di vitalità, discorsi sconnessi e infiniti, pennellate di assoluta e piacevole diversità.

Non avrei mai potuto ucciderla e sono felice di trovarmi qui ora, sul retro di questa vettura, mentre percorro una strada sconosciuta verso una meta che ignoro, con l’obiettivo di salvarla. Non avrei mai permesso che una vita così preziosa venisse strappata via. Non solo perché Abby è, secondo quanto dicono, un essere speciale, ma soprattutto perché, a un certo punto, la linea della sua vita ha incrociato la mia, deviandone il percorso verso qualcosa di assolutamente imprevisto. Ed è esattamente ciò di cui avevo bisogno per riprendere in mano le redini della mia esistenza.

Sono perso nei miei pensieri quando mi accorgo che delle ombre scure saettano davanti alle mie palpebre abbassate, in un rapido gioco che mi confonde per qualche secondo. Apro di nuovo gli occhi e il respiro mi rimane sospeso a metà, prima che il cuore cominci a pompare più forte battendo colpi decisi contro la gabbia toracica, che ora si alza e si abbassa per il respiro accelerato.

Colpisco con forza il vetro del finestrino sul retro del pick-up. Il rumore sveglia Dakota che sussulta mettendosi a sedere di scatto.

«Che diavolo succede, perché…». Non termina la frase, distratta dalle ombre che si fanno sempre più basse. «Oh porca…».

Lexion mi lancia uno sguardo dallo specchietto retrovisore. Si è accorto anche lui di quello che sta succedendo, probabilmente molto prima di me.

Lo sciame è nutrito. Il ronzio meccanico è assordante, scie di elettricità si allungano dalle loro code, si spostano con uno schema preciso. La loro formazione ricorda quella dell’estremità di una freccia. Puntata dritta verso di noi.

Gli insetti volanti, un prodotto di alta tecnologia aliena, con i loro occhi tondi, neri e lucidi su cui si riflette il nostro pick-up, hanno mirato e non si fermeranno fino a che non avranno eliminato l’obiettivo: noi.

Alla fine ci hanno trovati.

Le zampe, di una lega metallica sconosciuta sulla Terra ma molto simile all’argento, eseguono movimenti perfettamente sincronizzati in una danza inquietante e ipnotica. Distolgo lo sguardo alzandomi in piedi. Il mio corpo è teso e pronto a difendere, Dakota mi imita, ma entrambi sappiamo che contro gli sciami possiamo fare ben poco.

L’esercito degli sciami è una delle armi più potenti della Confederazione. Arrivati da Niviux con la nave che Rhio ha portato via al nemico, non sono mai stati usati fino a ora. Non potevano scegliere momento peggiore per sfoderarli: siamo scoperti come deboli farfalle appena uscite dal bozzolo.

La posta in gioco deve essere davvero molto alta se hanno impiegato uno sciame, il che significa che rischiamo la vita. La formazione di insetti si abbassa e scende in picchiata. Emetto energia dalle mani e, dopo un primo attimo di esitazione, Dakota fa lo stesso. Sa che non le conviene aggrapparsi ai suoi stupidi ideali a questo punto.

Le spirali di elettricità si allungano fino a sfiorare i nostri assalitori, ma non sembrano sortire l’effetto sperato. Sono protetti da uno scudo magnetico. Per fortuna, la zona circostante è priva di abitazioni, non c’è pericolo per gli umani. La strada è pressoché isolata. E se anche un’auto si trovasse nel raggio di cinquanta chilometri dal punto in cui è lo sciame, cesserebbe di muoversi. Qualsiasi impianto elettrico salterebbe a causa del loro scudo magnetico, esattamente come succede al pick-up.

D’un tratto perde velocità e rallenta fino a fermarsi del tutto. Salto giù seguito da Dakota. Lexion apre la portiera e mi ordina di proteggere Abby. Corro dall’altra parte del mezzo. Lexion scende e punta la sua energia contro lo sciame, ma non può niente contro quelle macchine infernali. Ogni insetto allunga le zampe verso di noi e spinge il corpo all’indietro. Vogliono afferrarci. Ci volano sopra la testa ronzando fino a stordirci. L’insetto in testa allo sciame sgancia parte del piastrone ventrale che si divide in due parti per finire dritto sul pick-up. Uno sul tettuccio, uno sul retro.

Una volta appoggiati in modo stabile, i lastroni cominciano a loro volta a dividersi e a ricongiungersi in più parti. Mi accorgo con orrore che hanno preso la forma di scorpioni metallici argentati. I loro pedipalpi si allungano e sfondano i vetri dell’auto fino a sfiorare la testa di Abby.

Uso tutta la forza che possiedo, e tiro via lo sportello con un colpo solo. Un aspetto positivo dell’essere un alieno è la forza superiore di almeno cento volte a quella umana. Afferro uno dei pedipalpi che stanno cercando di catturare Abby e lo ritorco su se stesso. La creatura lancia un sibilo e, subito dopo, una specie di urlo corale mi fa rizzare i capelli sulla nuca, mentre lo scorpione cerca di sfondare il tettuccio a forza di colpi di coda e tenaglie.

«Proteggila a costo della vita!», mi urla Lexion, mentre con Dakota cerca di tenere a bada lo sciame che ormai li ha completamente circondati.

Strappo la cintura di sicurezza che tiene Abby contro il sedile e la tiro fuori dall’abitacolo nell’istante in cui il tettuccio viene sfondato. La tengo tra le braccia, ma non vado molto lontano. Gli scorpioni sono subito dietro di me.

Il corpo di Abby mi impedisce di usare le mani e sprigionare la mia energia, quindi le faccio scudo con il mio corpo, stringendola al petto e tentando, per quanto mi è possibile, di correre più veloce che posso. Essendo creature aliene quelle che mi inseguono, sono veloci quanto me.

Gli scorpioni mi afferrano per le caviglie con i loro pedipalpi. Mi sbilancio in avanti e cado, Abby è sotto di me, ed è esattamente in quel momento che apre gli occhi. È stordita per il colpo e mi osserva come se non mi riconoscesse. Mi volto all’indietro e gli scorpioni sono a poco meno di un metro da me. Con le mani puntate sul terreno mi piego per proteggere il corpo di Abby, quando uno scorpione mi afferra per la vita con la sua gigantesca tenaglia. Solo la durezza dei miei muscoli di natura aliena mi impedisce di spaccarmi in due, ma per poco. L’essere mi tiene bloccato come un topo in trappola, ma non faccio nulla per liberarmi, anzi, spingo il mio corpo ancora più giù, fino a farlo aderire completamente a quello di Abby, nascondendola al meglio delle mie possibilità. Sento la pelle recidersi, strapparsi dai muscoli. I miei denti si stringono e sfregano gli uni sugli altri, la mascella si contrae in uno spasmo involontario. Provo un dolore immane. Un urlo spontaneo mi sale alla gola. È allora che la bocca di Abby si spalanca come sorpresa, gli occhi si riducono a due fessure e vi leggo all’interno lo stesso dolore che sto provando io. Entrambi ci voltiamo verso destra. Il pungiglione dello scorpione è conficcato nel mio braccio. Lo ha attraversato completamente uscendo dal mio bicipite e andando a piantarsi nella spalla di Abby, troppo vicino al cuore.

La creatura ritira la coda e indietreggia. Ha un’aria indecisa ora, insicura, come se avesse appena capito di aver fatto un grave errore. Ovvero ferirla.

Ne approfitto per rialzarmi e recuperare Abby. Ha uno sguardo spento, mentre copiosi rivoli di sangue le scivolano giù dalla spalla, impregnando il suo vestito dal tessuto leggero. Si appoggia a me priva di forze e sviene di nuovo.

Non so dove diavolo andare, non so cosa fare. Anche se gli scorpioni sembrano battere in ritirata, lo sciame continua a ronzare attorno a noi fino a che non succede qualcosa di imprevisto. Il ronzio degli insetti improvvisamente si confonde con quello di un gruppo di motori rombanti. Allungo lo sguardo verso la direzione in cui ci stavamo dirigendo poco prima che lo sciame ci attaccasse e scorgo un insieme di moto da strada che sfrecciano mordendo l’asfalto. Una nuvola di sagome scure si avvicina formando un muro di marmitte che scoppiettano. Davanti a loro posso intravedere chiaramente uno schermo di energia che probabilmente annulla il potere dello scudo magnetico e impedisce alle moto di spegnersi.

I centauri smontano dai propri mezzi. Sono quasi tutti vestiti di nero, alcuni indossano jeans e giubbotti di pelle, altri tute da motociclista. Li vedo muoversi con una certa fretta. Si tolgono i caschi rivelando volti giovani. Non sento i loro pensieri, sono perciò sicuro che non si tratta di alieni.

Uno di loro urla il nome di Lexion. Il capitano, alle prese con uno degli insetti, riesce a voltarsi quel tanto che basta per guardare chi lo ha appena chiamato. In una frazione di secondo sul suo volto si dipinge il sollievo.

«Dietro di noi, presto!», urla di nuovo l’uomo, mentre mi raggiunge senza mai staccare gli occhi da Abby. «Dalla a me». Il suo tono è duro. Il suo è un ordine. Indietreggio stringendo ancora di più Abby contro il mio corpo. In quel momento Lexion mi raggiunge, tirando dietro di sé una Dakota esausta.

«Fa’ come ti ha chiesto, Kevan. Fidati».

Non ho tempo per riflettere perché l’uomo mi strappa Abby dalle braccia per stringerla tra le sue. Il primo istinto è quello di riprendermela, gridando contro l’uomo che Abby è mia, ma capisco immediatamente che non le farà del male. Il suo sguardo è preoccupato e ha negli occhi uno strano luccichio. Non ci metto la mano sul fuoco, ma credo che siano lacrime. Si allontana. Continuo a guardare il corpo di Abby. Le gambe penzolano coperte dal vestito rosa e le Converse tinte di rosso fanno capolino come il sangue che gli scivola dalla spalla. L’uomo si posiziona dietro il gruppo di moto. Lo raggiungiamo con lo sciame che tenta ancora di afferrarci. Alcuni ragazzi di età compresa fra i sedici e i vent’anni si piazzano davanti a noi e da quel momento in poi si scatena l’inferno sulla Terra.

Qualcuno solleva le mani in aria e un vento impetuoso si muove in tanti piccoli tornado che si gonfiano man mano che avanzano verso lo sciame. Un altro dei ragazzi abbassa le mani con i palmi rivolti in giù e l’asfalto comincia a spaccarsi in lunghe linee zigzaganti. Si formano delle spaccature che si allargano sempre di più e inseguono gli scorpioni che cercano una via di fuga. Le creature aliene non vanno troppo lontano. Vengono presto inghiottite nelle crepe che si sono create sulla strada. Quando non c’è più traccia di loro, l’asfalto si ricongiunge e torna a essere una distesa compatta.

Una ragazza comincia a muovere le mani in aria come se stesse danzando e gli alberi ai bordi della strada si piegano verso di lei come se si stessero inchinando. Le cortecce si staccano dal tronco, si srotolano come fogli di carta formando degli ampi cerchi di legno che vanno a circondare lo sciame, costringendolo in piccoli gruppetti, mentre i tornado lo fanno girare su sé stesso confondendolo. I cerchi di corteccia si stringono sempre di più richiudendosi in tanti bozzoli. Il vento cessa e nell’aria rimangono delle enormi sfere di legno contenenti gli insetti dello sciame. Un altro dei ragazzi prende un accendino dalla tasca della giacca, lo accende e porta la piccola fiammella sul proprio palmo come se la accarezzasse. Rimette l’accendino nella tasca e chiude la minuscola fiamma nella mano. Fa un sorriso agli altri, un sorriso beffardo e cinico, e apre all’improvviso la mano, con il palmo rivolto verso le sfere di legno che levitano in aria. Quella che poco prima era una piccola fiammella, ora è un vero e proprio incendio scaturito dalle sue dita. Lancia le fiamme contro ognuna delle sfere che prendono fuoco all’istante disintegrandosi, lasciando cadere una leggera pioggia di cenere e di metallo fuso. Lo sciame è svanito.

Io e Dakota ci guardiamo come se avessimo appena assistito a una specie di miracolo. Non abbiamo dubbi. Si tratta di ibridi.

«Fate scomparire quell’auto», ordina qualcuno. Prima che chiunque possa fare qualcosa, fermo i nuovi venuti con un gesto della mano, corro verso il furgone e recupero la valigetta con il sedativo e il plaid di Abby. Poco dopo la strada inghiotte anche il pick-up di Matt. Non ne sarà affatto felice.

I ragazzi rimontano sui propri mezzi e ci invitano a seguirli. Lexion sale sul retro di una moto e ci indica di fare altrettanto. Cerco con lo sguardo l’uomo che mi ha tolto Abby dalle braccia, ma di lui e lei non c’è più traccia. «Abby! Dov’è Abby?»

«È al sicuro. La rivedremo fra poco», mi rassicura il capitano, mentre un ragazzino che avrà sì e no quindici anni, mi si avvicina e mi tira per un braccio indicandomi di salire sulla sua moto: una Ducati 666.

«Monta e tieniti forte. Non sono un tipo prudente».

Sollevo un sopracciglio, ma non ho molta voglia di parlare, quindi faccio esattamente come mi ha detto. Nel frattempo, Dakota è salita in sella alla moto della ragazza che ha rinchiuso lo sciame nelle sfere di corteccia d’albero.

Dopo solo pochi secondi, il gruppo riparte. Mi volto indietro e sembra che non sia successo nulla. Una calma piatta accompagna il sole che è ormai sorto. Sento un dolore sordo al braccio dove lo scorpione mi ha colpito, e non posso fare a meno di chiedermi cosa sia successo alla mia Abby e dove l’abbia portata quell’uomo. So solo che devo rivederla per assicurarmi che stia bene.