Capitolo 22
Kevan
Il gruppo di centauri imbocca una stradina di ghiaia poco oltre un cartello che indica il nome della cittadina in cui siamo appena entrati: Lilac Hill.
L’aspetto urbano sembra essersi arrestato intorno all’Ottocento. Le strade non sono asfaltate, le case sono piccole, di legno molto invecchiato. Sembra una città fantasma. In giro non c’è un’anima, nessuno si affaccia alle finestre quando sente l’assordante frastuono delle moto che schizzano a tutta velocità, alzando nuvole di polvere.
La strada si stringe improvvisamente in un sentiero che si tuffa nella fitta vegetazione di una foresta, che appare davanti a noi come un’illusione. Le moto si allineano in fila indiana. Il tratto è troppo stretto per procedere in gruppi. Percorriamo la via con una velocità molto più moderata. Le ruote slittano sulla terra a tratti umida, radici di alberi altissimi rischiano di finire fra gli ingranaggi. Tutti tengono gli occhi bene aperti.
Il ragazzino alla guida della moto su cui mi trovo io procede sicuro, appoggiando di tanto in tanto il piede sul terreno per mantenere l’equilibrio. Nonostante la giovane età è piuttosto piazzato: non sembra avere difficoltà a reggere il mio peso e quello del suo mezzo.
Viaggiamo ormai da ore, le ombre della sera si piegano sulla foresta rendendola cupa. Scorgo animali che si rintanano spaventati al nostro passaggio e, oltre la cima degli alberi, svettano le punte innevate delle Montagne Rocciose che riflettono il candore della luna.
Il sentiero si apre su una radura, l’erba è secca, schiacciata da evidenti tracce di gomme. Le moto finalmente si arrestano. Di fronte a noi c’è quella che pare essere l’entrata di una miniera. Una porta ricavata da un malriuscito assemblaggio di assi di legno chiude un ingresso ad arco. I ragazzi smontano dalle moto. Io e Dakota restiamo muti e seguiamo con lo sguardo le mosse di Lexion. Ha l’aria di chi sa cosa sta facendo. Il gruppo spinge le moto all’interno della miniera e le parcheggia con il muso rivolto verso l’uscita. È chiaro che devono essere pronte in caso di una partenza improvvisa.
«Procedete con cautela, questa parte di miniera non è molto sicura», dice uno dei presenti fissandoci con cipiglio severo, mentre un altro afferra un cilindro lungo e stretto dallo zaino e lo lancia lontano. Di colpo la miniera si illumina di un accecante bagliore azzurro.
Archi di legno viaggiano perpendicolari l’uno all’altro per tutta la lunghezza della grotta: è lo scheletro che impedisce alle rocce di franare.
Affianco Lexion, lo afferro per un braccio e lo costringo a fermarsi. «Dove diavolo siamo? E dov’è finita Abby?»
«Abbi pazienza, Kevan. Abby è al sicuro». Lexion mi afferra la mano e si libera dalla mia presa. Il braccio mi scivola sul fianco.
«Da quando questa storia ha avuto inizio non fai che darmi risposte a metà».
«Fra poco avrai tutte le risposte che cerchi». Il capitano stringe la mascella e si allontana da me, avanzando fino a mettersi a capo del gruppo.
«Che cosa ti ha detto?». Dakota mi si avvicina e mi dà di gomito, attirando la mia attenzione.
«Niente che non sapessi già». La lascio indietro e riprendo il cammino, guardandomi intorno cercando di capirci qualcosa, ma le rocce intorno a me parlano ancora meno di quanto non faccia Lexion.