Capitolo 18

Kevan

 

 

 

 

 

 

Li ho uccisi. Altri due Niviuxiani sacrificati per una causa che non conosco, ma in cui ho riposto tutta la mia fiducia. Cosa mi spinge a farlo? I miei ideali? La consapevolezza che ogni essere vivente può coesistere con gli altri senza dover necessariamente abusare di un potenziale potere? O solo la dannata necessità di dimostrare quanto sono diverso? Non importa. Sono riuscito a liberarmi dei due alieni a guardia dell’uscita. Tanto mi basta.

Ho come la sensazione che non saranno gli ultimi che ucciderò, e ho il brutto presentimento che oggi sia stato solo l’inizio di qualcosa di molto più grande di me.

Sto cercando furiosamente risposte nella mia testa, ma non trovo altro che ulteriori domande.

Corro attraverso la fitta boscaglia, una macchia di luce fluorescente che squarcia il buio della notte. Ogni mio passo batte sul terreno lasciando una scia di calore denso che solleva terra e fogliame. Avverto una certa stanchezza, eppure non mi fermo. Il mio respiro è rapido, tanto quanto lo sono i miei movimenti e qualche minuto dopo, quasi senza accorgermene, mi ritrovo davanti alla porta della casa di Abby.

Come devo comportarmi adesso? Se non fosse da sola? Come giustificherò il mio assurdo abbigliamento? Ho ancora la tuta di pelle bianca addosso: è bruciacchiata attorno ai polsi e alle caviglie, sporca di terra. Sua sorella mi prenderà per un pazzo, ma se è necessario ricorrerò alla forza anche con lei. Pertanto non uso le buone maniere, e invece di suonare il campanello o bussare, forzo semplicemente la maniglia. La porta si apre con uno scatto, senza troppi problemi.

Il salotto sembra deserto, fino a quando, scrutandomi attorno, mi accorgo del corpo di Abby disteso sul divano. Ha addosso ancora il vestito della festa e tutto quel rosa sembra renderla ancora più pallida.

Mi muovo rapidamente verso di lei, ma una voce mi blocca all’istante. Sollevo lo sguardo e lo rivolgo verso destra. Alla base delle scale c’è Greta. Mi sorride. Non fa una piega. Non pare sorpresa dal fatto che mi sono introdotto in casa sua come un ladro, anzi, ha quasi l’aria di una che mi stesse aspettando.

«Ce ne hai messo di tempo», dice, e le sue parole confermano i miei sospetti. Ha una valigetta in metallo fra le mani che posa con noncuranza sulla poltrona accanto al divano.

Faccio ancora qualche passo verso Abby, ma non distolgo lo sguardo da Greta. Non parlo. Aspetto che sia la sorella di Abby a spiegarmi che cosa sta succedendo.

Greta si avvicina a un piccolo tavolo nascosto dietro il divano e recupera qualcosa. Nelle mani stringe quelli che credo siano indumenti. Un paio di jeans e una maglia di colore nero. Me li porge e dice con decisione: «Indossali. Sapevo che saresti arrivato vestito da pupazzo di neve».

Provo a replicare, ma blocca sul nascere qualunque cosa avessi intenzione di dire. «So chi sei», esordisce all’improvviso. «O dovrei dire cosa sei. So di te e di tutti i tuoi amici omini verdi, ma non preoccuparti, io sono dalla parte dei buoni. Soprattutto sono dalla parte di mia sorella che, a quanto pare, è stata affidata alle tue cure. Mi fido di Lexion, perché i miei si fidano di lui».

Tutta la faccenda comincia ad assumere aspetti davvero imprevedibili. «Tu conosci Lexion?»

«Conosco Lexion e molti altri. Ho ricevuto ordini precisi giusto mezz’ora fa, dopo la mossa alquanto stupida della tua amica». Greta infila una mano in una tasca dei jeans e tira fuori un biglietto. Lo apre sotto il mio naso. «Memorizza queste coordinate. È qui che devi portare Abby. Subito. Lì ci sono delle persone ad aspettarti. Emily aiuterà Abby».

«Chi è Emily?»

«Lo scoprirai molto presto, ma ripeto il concetto, Kevan. Stiamo perdendo tempo in chiacchiere e non va bene. Infila questi abiti. Con quella roba bianca addosso sei più luminoso di un lampione al neon».

Senza ribattere altro, afferro gli abiti e comincio a spogliarmi della tuta, infischiandomene del fatto che Greta mi osservi. Adesso mi sto preoccupando di ben altro. Troppi aspetti di questa storia mi rimangono ancora del tutto oscuri.

Greta si esibisce in un fischio di apprezzamento quando la tuta scivola sul pavimento rivelando la mia nudità. «Ci avrei giurato che non portavi la biancheria». Guarda sfacciatamente le mie parti intime senza nemmeno avere il buongusto di arrossire.

«La tuta è l’unica cosa che ci è permesso indossare. Quando rientriamo alla base dobbiamo liberarci di ogni indumento utilizzato fuori per evitare la contaminazione, oppure decontaminarlo prima di rimettercelo». Con gesti affrettati indosso i jeans e la maglia nera che mi sta un po’ stretta, ma tutto sommato, è meglio di niente. «E poi cosa pensavi? Che avessimo delle squame lì sotto?», proseguo tirando su la zip dei jeans.

«Qualcosa del genere, ma tranquillo, ho avuto prova del contrario. Parlo per esperienza personale, non solo perché ho visto il tuo drago. I vestiti sono del mio ragazzo, Matt. È un po’ più basso di te, ma non di tanto, non ti stanno male».

«Che cosa sta succedendo, Greta? Sembra che tu sappia molto più di me. Sono certo che sapevi chi ero già la prima volta che sono venuto qui, vero?».

Greta annuisce con un mezzo sorriso. «Non sono autorizzata a dirti niente».

«E i tuoi genitori? Anche loro sanno?».

La ragazza annuisce un’altra volta. «Li ho avvertiti su quanto è successo. Torneranno da Kyoto con il primo volo, ma per allora tu e mia sorella sarete già lontani da qui». Greta si infila di nuovo una mano in tasca e tira fuori una chiave. Me la lancia e l’afferro al volo. «C’è un pick-up nero sul retro, con un pieno di benzina. È di Matt anche quello, vedi di non graffiarglielo».

«Fammi indovinare: anche Matt è al corrente di questa storia». Nell’esatto momento in cui pronuncio quelle parole, la porta sul retro sbatte con un rumore sordo. Alzo una mano pronto a scagliare scosse elettriche a chiunque, ma Greta mi fa cenno di calmarmi. «È solo Matt. Era qui fuori a mettere in ordine il pick-up per voi. Dovrebbe essere tutto a posto, adesso».

Matt entra in salotto e non c’è bisogno che dica niente, lo riconosco subito. È lui stesso a presentarsi mandandomi un messaggio telepatico. “Sono come te”, mi dice. Poco dopo decide di usare la voce per comunicare. «Sono uno dei tanti Niviuxiani che si sono ribellati all’ideologia di Rhio. Ci sono intere comunità di alieni che combattono accanto agli ibridi per proteggerli dallo sterminio. Alcuni di noi agiscono dall’interno, come Lexion; altri, come me, svolgono l’attività di sentinelle; monitoriamo il territorio, sondiamo ogni mente che ci capita di incontrare, e prima o poi becchiamo sempre quella di un alieno servo di Rhio. Delle grandi teste di cavolo, ma Lexion ci ha assicurato che tu sei dalla nostra parte. A proposito, so quello che è successo in Ohio. Mi dispiace, amico, devi essertela vista davvero brutta».

Essersela vista brutta è un eufemismo. Io me la sono vista peggio che brutta. I ricordi tornano a riempirmi la mente come uno sciame d’api ronzante. Se non li combatto, i pensieri troveranno presto una valvola di sfogo per riversarsi all’esterno. Scuoto la testa con forza, come se dovessi liberarmi davvero di uno sciame d’api, e torno a rivolgere l’attenzione a Matt e Greta, mentre l’ansia che mi ha appena colto, lascia il posto al sospetto. «Abby non ha una grande stima di te, Greta, e nemmeno io», le dico fissandola.

«Abby è mia sorella, può anche permetterselo, ma tu? Piuttosto presuntuoso. Non mi conosci nemmeno». Greta incrocia le braccia sul petto indispettita, e solleva il mento in un gesto di sfida.

«Non dai l’impressione di essere molto intelligente a prima vista».

«Sono solo brava a non darlo a vedere».

«Sarà… ma hai ragione tu: non ti conosco».

All’improvviso, Matt batte le mani. Un solo colpo, forte, distinto. Risuona alle mie orecchie come un avvertimento. «Non pensate sia il caso di allontanare Abby da qui? Avrete tempo per insultarvi a vicenda in un momento più opportuno». Matt recupera la valigetta di metallo, la apre e mi fa vedere una decina di siringhe allineate in due scomparti separati. «Questa è bzd. Benzodiazepina in parole semplici. Ogni dose è misurata alla goccia. Aiuterà Abby a stare meglio durante le crisi che verranno, facendole diminuire sempre di più man mano che il tempo passerà. Presto non ne avrà più bisogno. Con il tempo sarà in grado di sopportare l’energia che la investirà e che dovrà imparare a dosare se non vorrà che le scoppi il cervello». Richiude la valigetta e me la porge.

L’afferro come se contenesse diamanti preziosi. «Cosa c’è sotto?». Devo chiederlo. I dubbi cominciano a diventare un vero tormento.

«No». Greta si limita a quell’unico, insignificante monosillabo. «Non farmi altre domande».

È inevitabile: la mia curiosità si accende ancora di più e mi lascia un senso di frustrazione che mi rende inquieto.

«Devi andare, Kevan». Greta abbandona il tono stizzito, la sua voce ora è impregnata di sincera preoccupazione mentre si volta a guardare il fagotto rosa raggomitolato sul divano. «Prenditi cura di lei e portala al sicuro. E prega Dio che non le succeda niente, altrimenti ti giuro che ti uccido con le mie mani».

La sua minaccia non mi spaventa, so di poter contrastare a occhi chiusi una semplice umana, ma avverto comunque una punta di inquietudine, e un sottile rivolo di sudore mi scorre lungo la schiena.

Senza rispondere a Greta, restituisco nuovamente la valigetta a Matt, mi avvicino al divano e, stando bene attento a non svegliare Abby da quello che sembra essere un sonno più che profondo, la sollevo tra le braccia e me la sistemo contro il petto. Il suo respiro lento e regolare mi solletica l’incavo del collo. Il volto è sereno, non è più segnato dalla paura, ma il ricordo dei suoi occhi che mi guardano dallo schermo di un computer, confusi, spaventati, perplessi, non si decide ad abbandonarmi.

È così piccola, un essere instabile affidato completamente alle mie mani. E d’un tratto ho paura, più di quanta mi sarei aspettato di poterne provare.

Matt mi fa cenno di seguirlo sul retro dell’abitazione dove è parcheggiato il pick-up, apre lo sportello della vettura e mi aiuta a sistemare Abby, mentre Greta la copre con un plaid. «È il suo preferito. Non perderlo». Dopodiché sistema la valigetta sotto il sedile. «E per l’amor del cielo, non perdere soprattutto questa».

È curioso il fatto che anche Greta mi appaia come una persona del tutto diversa, sconosciuta. È proprio il caso di dire che le apparenze ingannano. Osserva la sorella con uno sguardo talmente pensieroso e preoccupato che ho quasi la sensazione che ci voglia seguire.

«Il più delle volte sei un vero disastro, ma non potrei mai fare a meno di te, sorellina. Perciò, vedi di non fare cazzate e resta viva, per il tuo bene». Le dà un bacio sulla fronte e richiude lo sportello del lato passeggero, poi mi si avvicina, mi afferra per il colletto della maglietta e mi tira verso di sé con decisione. «Non. Combinare. Casini. Intesi?». Il tono tagliente, minaccioso, non si sposa granché bene con l’espressione delicata di Greta, ma sortisce comunque il suo effetto.

«So quello che faccio», la rassicuro.

«Lo spero per te, Rivoluzionario».

Mi lascia andare e posso finalmente mettermi alla guida del pick-up. Non mi perdo in convenevoli, ma nemmeno Matt e Greta sembrano essere disposti a sperticarsi in saluti calorosi, così giro la chiave e il motore si avvia silenzioso. Qualche secondo dopo, sono sul viale di accesso della fattoria. Gli occhi aperti puntati dovunque, alla ricerca di presenze minacciose. Sono certo che gli altri mi staranno cercando e, se li conosco bene, è probabile che riescano a trovarci. Devo arrivare a destinazione prima che ciò avvenga, chiunque trovi ad attenderci, purché si tratti della nostra salvezza, ma soprattutto di quella di Abby.

Non so perché, o forse sì – benché non lo voglia ammettere, è inutile mentire a me stesso – ma ho come l’impressione che questo viaggio non sarà affatto una passeggiata.