Capitolo 8
Abby
Faccio appena in tempo ad alzare la tavoletta del water che il contenuto del mio stomaco si riversa, con terribili conati e spasmi, nella tazza. La fine della mia colazione è pessima tanto quanto la figura che ho fatto poco fa in classe.
Depenno mentalmente la frase: vomitare in bagno dopo che il ragazzo dei tuoi sogni ti ha sfiorato dolcemente la mano, dalla lista delle cose da fare. Ci metto sopra una x gigantesca, come quella sotto cui vorrei seppellirmi adesso.
Grazie a Dio il destino è stato magnanimo stavolta, e mi ha concesso di trattenere il pancake nella pancia almeno fino a quando non sono entrata in bagno. Mi sposto i capelli dalla faccia e mi pulisco la bocca con il dorso della mano, mentre Tess bussa alla porta con insistenza e mi chiede con voce preoccupata: «Tesoro, come va? Buttato fuori tutto?»
«Credo di sì», rispondo tra un colpo di tosse e l’altro. Ho in bocca un saporaccio che per la prima volta in vita mia mi fa ringraziare il cielo di non avere un ragazzo che abbia voglia di baciarmi. «Credo di aver espulso anche la milza. Dovrò accertarmene, anche se in definitiva non sarebbe un problema dato che non serve a niente». Un brivido mi percorre la schiena, come se qualcuno ci avesse appena passato un cubetto di ghiaccio. Una volta ho immaginato qualcosa del genere, ma nella mia mente era una scena molto sexy e non ero di certo in bagno a vomitare.
Apro la porta e incontro lo sguardo compassionevole di Tess. Sbatte le ciglia e ha di nuovo gli occhi da criceto triste, con delle palline di luce gigantesche a brillarle nelle pupille.
«Ti sei presa proprio una cotta spaziale, tesoro».
Faccio cadere testa e spalle in avanti, e lentamente mi dirigo verso il lavandino. Apro il rubinetto e mi sciacquo la bocca e la faccia. Osservo la mia immagine sfatta nello specchio. Ho quasi voglia di vomitare di nuovo.
«No, ti sbagli. Questa non è una cotta. Una cotta è quando arrossisci davanti a lui, quando scrivi il suo nome sul diario mille volte a lettere grassocce con tanti stupidi cuoricini intorno. Una cotta è quando ti ritrovi a fissarlo di sottecchi, quando ascolti canzoni d’amore a ripetizione e pensi che tutte parlino di voi due. Questa è una cotta. La mia non è una cotta. È un’esplosione nucleare. È Hiroshima. È l’Armageddon». Appoggio le mani sul lavandino e affosso la testa nelle spalle. «Che tortura tremenda. Ma che avrà di tanto spettacolare questo… questo tizio, da ridurmi così? Porca puttana, mi ha solo sfiorato e due minuti dopo mi ritrovo a vomitare in bagno come in uno di quei film di terz’ordine per adolescenti. Ed è la seconda volta in una mattina che finisco qui con te. Sempre per colpa sua».
Tess mi accarezza le spalle con un movimento lento e costante. «Non vorrei sottolineare l’ovvio, Abby, ma il tizio in questione è pazzesco. E intendo dire che indurrebbe qualunque femmina sana di mente alla pazzia. Perciò non meravigliarti se sei ridotta così. Non ci sei abituata, tutto qui, devi solo imparare a gestire la cosa. E vomitare ogni volta che lui per sbaglio ti sfiora, è fra le cose da evitare».
«Lo soooo», cantileno alzando lo sguardo e fissandola nello specchio. «Non lo so che mi prende ultimamente. Sembro uscita da un cartone animato. Sembro Wile Coyote, l’essere più sfortunato sulla faccia della Terra».
«Non sei Wile Coyote. Ti manca un po’ di pelo».
«Solo perché faccio abitualmente la ceretta».
«Abby, ti passerà, vedrai. Le cotte di questo genere cominciano sempre con il botto e poi il fuoco si spegne. Si chiamano colpi di fulmine per questo, sai?».
Il ragionamento di Tess ha una piccola falla, che d’altra parte solo io potevo notare. «La faccenda del colpo di fulmine mi lascia un tantino perplessa. Sai quanta gente ci è rimasta secca dopo essere stata colpita da un fulmine? Morirò, oddio, morirò d’amore. Il mio cuore non reggerà tanta emozione e schiatterò. Boom! Mi spargerò in mille pezzettini e tu dovrai rimettere insieme l’Abby Puzzle. E dopo averlo fatto, ti accorgerai che mi hai messo il mignolo al posto del pollice, ma allora sarà troppo tardi perché mi avranno già seppellita; da quel momento in poi verrò ricordata come quella che dava l’okay con il mignolo. La mia vita è una tragedia greca!».
Tess alza le mani e sgrana gli occhi. «Okay, Abby, frena. Focalizza, va tutto bene. Non stai per scoppiare, credimi. Va. Tutto. Bene. Sei solo nel panico. Fai dei respiri profondi e lenti».
Sono nel panico? Può darsi, in effetti al momento mi sento il cervello andato completamente in fumo.
Tess mi spinge a sedermi sul pavimento, mi aiuta a sollevare le ginocchia e a metterci la testa in mezzo. «Respira piano, avanti, è solo un po’ di ansia. Un bel po’ di ansia. Su, da brava, così, inspira, espira, inspira, espira… Brava la mia Abby».
Il tono pacato e la voce di Tess sembrano avere un effetto calmante su di me. Lentamente il cuore smette di rimbombare nel petto tornando ad avere un battito quasi normale. Alzo lo sguardo su di lei come se mi stessi svegliando da un brutto sogno. «Forse, dopotutto, non morirò».
«A quanto pare no. E se mai succedesse, stai tranquilla, non potrei mai scambiare il tuo pollice con il mignolo».
«È la cosa che mi spaventava di più, credimi».
«Ora vediamo di sistemare il caso Kevan. Dovrete per forza lavorare insieme al progetto di storia. Ce la puoi fare?».
Domanda da un milione di dollari. «Credo di sì».
«Credere non basta, Abby. Devi essere più convinta, altrimenti puoi chiedere al professor Lexi di cambiare compagno».
All’improvviso mi rendo conto di quanto è ridicola questa situazione. Ho appena vomitato in un water della scuola, sono seduta sul pavimento del bagno dopo aver avuto un attacco di panico, e la mia migliore amica mi sta facendo del training psicologico. Questa non sono io, questa è la pessima me, la ridicola, la pazzoide, quella con le rotelle un po’ fuori dai binari. E Kevan non è un dio.
Okay lo è, ma posso affrontarlo benissimo. Sono un’adulta. «In epoca vittoriana, a diciotto anni le donne erano già considerate in età da marito».
«Cosa?»
«Eh?»
«Hai detto: in epoca vittoriana, a diciotto anni le donne erano già considerate in età da marito. Che c’entra questo con quello di cui stiamo parlando?».
“Devo aver pensato ad alta voce”, penso, mentre Tess mi aiuta a tirarmi di nuovo su. «Mi riferivo al fatto di essere abbastanza adulta da non andare nel panico ogni volta che un bel ragazzo mi respira a due metri di distanza. Okay, non un bel ragazzo qualunque, ma Kevan. Perché degli altri sinceramente… Comunque, lasciamo perdere questa cretinata dell’epoca vittoriana». Mi sistemo i vestiti e controllo di non avere schizzi di vomito sulla giacca per non affossare del tutto la mia già precaria reputazione.
«In tutta sincerità, Abby, a volte faccio davvero fatica a stare dietro agli ingranaggi del tuo cervello».
«Anche io. La mia bocca parla da sola».
«Quindi? Cos’hai deciso?».
Prendo un ultimo respiro profondo e mi immagino dipingermi la faccia con del fango nero, come il soldato Jane, ma con i capelli. «Posso farcela!».
«L’accendiamo?»
«Accendiamola».
«Bene, sono orgogliosa di te». Tess mi massaggia le spalle mentre percorriamo il corridoio per tornare in classe, come se fossi un pugile che aspetta di salire sul ring e combattere il suo avversario. Questo round lo vincerò io.
Non appena rientro in classe, Kevan, che tiene gli avambracci appoggiati sul banco e le mani incrociate, drizza le spalle e mi guarda come se mi avesse aspettato per tutto quel tempo, un po’ come se… fosse preoccupato per me e ora nel vedermi fosse sollevato?
Easy, girl! Non cominciare a girare un film che non uscirà mai al cinema.
Continuo a recitare il mantra che mi sono ripetuta per tutti i trenta metri che separano il bagno dalla mia classe. Ce la puoi fare, è un ragazzo qualunque. Ce la puoi fare, è un ragazzo qualunque. Ce la puoi fare, è un ragazzo qualunque.
Mantra che svanisce immediatamente quando lui sposta la sedia per farmi sedere. Per amor del cielo, quanto è bello! La camicia è appesa allo schienale della sedia. Ha addosso solo una maglietta leggera con le maniche arrotolate fino ai gomiti e che gli scopre degli avambracci che solo Dio sa se mi stanno facendo impazzire.
Le immagini a cui sto pensando non fanno di me una ragazza per bene, per niente. Ma come dice Tess, sono una femmina normale, con appetiti sessuali normali e il tizio che mi sta accanto ha i pettorali che stanno per scoppiargli sotto la maglietta.
«Come stai? Va tutto bene?», mi chiede con quella sua voce profonda, leggermente graffiata, e in tono strascicato.
Sorrido guardandolo per circa mezzo secondo, e prego che l’emozione non investa nuovamente il mio stomaco. Alla fine mi dico che se voglio uscire indenne da questa situazione, devo tirare fuori le palle. Le tette nel mio caso, ma metaforicamente, non letteralmente. E comunque prima o poi dovrò pure rivolgergli la parola. La parola, non gemiti di piacere, o balbettii incomprensibili.
Chiamo a raccolta tutto il coraggio di cui dispongo, che è relativamente poco, ma che in questo caso dovrebbe bastare. Non è che io stia per buttarmi con il paracadute, anche se, pensandoci bene, forse sarebbe più facile.
Mi giro di nuovo verso di lui e lo guardo con un sorriso a trentadue denti. Per fortuna ho una gomma da masticare alla menta in bocca che mi permette di parlare a Kevan senza farlo svenire per il fiato da post vomito e di dimostrargli ampiamente che posso essere normale. Mi è stata gentilmente offerta da Tess che non viaggia mai senza il suo kit di sopravvivenza, dotato di gomme da masticare alla menta, lucidalabbra, cipria, cerotti, assorbenti e mi pare anche degli antidolorifici in caso di dolori da ciclo improvviso. È una ragazza organizzata, già.
«Bene, grazie. Sto molto meglio», riesco a dire senza balbettare e senza neanche un tremore. Sto facendo progressi, ma meglio non illudersi, è solo l’inizio.
Tess mi lancia uno sguardo da sopra le spalle e mi fa un leggero sorriso di incoraggiamento. Spinta da questo amichevole incitamento, proseguo con sempre più decisione. «Prima di cominciare, vorrei… vorrei scusarmi per il mio comportamento degli ultimi…», diciotto, quasi diciannove anni, «degli ultimi giorni. Insomma, prima ti rimprovero nel corridoio per qualcosa che fanno tutti, sempre, o almeno il più delle volte. Certo, magari con meno impegno, e meno lingua». Oddio! l’ho detto davvero? Sì, perché Kevan sta sorridendo. Sembra divertito. «Poi c’è la scena ridicola di me che fingo di strozzarmi. Infine… be’, ho chiamato la tua ragazza “giraffona” e sono praticamente scappata a vomitare. Mi dispiace. Ti giuro che non sono sempre così. In effetti, sei stato sempre così gentile con me. Insomma, spesso è già tanto se non mi sputano in un occhio», concludo tutto d’un fiato. Non saranno le scuse più memorabili della storia, ma almeno sono sincere. E soprattutto sento che è tornata un po’ di calma nella mia testa.
Kevan mi tende la mano all’improvviso e aspetta che io gliela stringa. «Suggerisco di ricominciare daccapo, questa volta in maniera convenzionale, che ne dici?».
Il cuore perde un battito, ma è ancora tutto sotto controllo. Allungo la mano verso la sua e la stringo. Ha una mano forte, calda e una presa molto salda. Avverto di nuovo una leggera scossa quando la mia pelle entra in contatto con la sua. Delle leggere punture mi pizzicano l’epidermide, come se fino a questo momento i miei muscoli fossero stati bloccati e stretti in una morsa, e ora il sangue stesse tornando a circolare più velocemente.
È strano, ma mi pare di aver notato un guizzo nello sguardo di Kevan, come se anche lui avesse avvertito la mia stessa sensazione. Sono convinta che sia solo frutto della mia fantasia iperattiva, perciò, per il mio bene e soprattutto per la salute della mia già instabile psiche, decido di lasciar perdere.
«Sono d’accordo. Abby Allen, piacere di conoscerti».
Kevan sembra rilassarsi, mi sorride e dice: «Il piacere è tutto mio, Abby».
Non vedo né arcobaleni brillare né colombe bianche volare libere in aria, né tantomeno il sole splendere alto nel cielo, anzi, sembra si sia rimesso a piovere piuttosto forte, ma d’improvviso mi sento felice. Senza un vero motivo. Non è che Kevan mi abbia appena dichiarato amore eterno, ma è stato davvero gentile e non mi ha guardata dall’alto in basso come fa la maggior parte della gente. Questo mi fa desiderare di essere una persona migliore. La ragazza che a uno come lui potrebbe interessare.
Il mio sguardo cade di proposito sulla figura di Dakota che mi dà le spalle e ogni illusione svanisce. Impossibile competere.
«Credo sia il caso che ci scambiamo i numeri di telefono e che magari tu mi dia l’indirizzo di casa tua. Per finire in tempo questo progetto, ho paura che dovremmo lavorarci anche nel pomeriggio. Possiamo cominciare da oggi, se per te va bene. Sempre che tu non abbia altri impegni».
Io? Altri impegni? Ma è meglio che non dia a vedere che non ho nulla da fare, non voglio sembrare disperata. Così metto in scena una piccola, innocente recita.
«Non so, fammi dare un’occhiata». Recupero il mio cellulare dalla tasca della giacca e fingo di leggere la mia agenda personale. «Ho questo impegno… ma… mmh… probabilmente posso rimandarlo». Digito un finto messaggio e lo mando a nessuno mentre lui continua a sorridere. Non è proprio un sorriso, è più una smorfia divertita. Devo sembrare proprio stupida in questo momento, o forse sono solo simpatica. Delle due, spero la seconda.
«Se hai da fare, non c’è problema. Possiamo sempre rimandare».
«No», dico troppo in fretta. Sorrido di nuovo. Mi verrà una paresi con tutti questi sorrisi falsi. «Il professore nuovo con il nome da femmina probabilmente si arrabbierà molto se non lo finiamo entro la fine della settimana».
«Il… professore con il nome da… femmina?». Kevan ha gli occhi sbarrati come se avessi appena bestemmiato.
«Be’, Lexi è un nome da femmina. Cos’è? Il diminutivo di Alexandra?».
Kevan stringe le labbra, si porta un pugno alla bocca e lo preme con forza. Le mie sopracciglia si uniscono in uno sguardo dubbioso. Sta forse cercando di evitare di scoppiare a ridere? I suoi occhi mi stanno dicendo proprio questo, e non posso fare a meno di sorridere anche io. La sua espressione è talmente contagiosa che potrei scoppiare a ridere per solidarietà.
«Che c’è? Che ho detto di così divertente?».
Lui tossisce leggermente, scuotendo il capo. «Niente, niente. È solo che non… insomma, ora sarà difficile non pensare ad Alexandra quando parlerò al professor Lexi».
«Non volevo essere offensiva, davvero, è stato un pensiero spontaneo e del tutto innocente. Voglio dire… Il professor Lexi è di sicuro un Lexi con tutti gli attributi, e piuttosto belloccio per giunta. Non volevo dire che è una donna. Insomma, cavolo, si vede che non lo è per niente, almeno credo. Non sono sua parente perciò non so quali siano i suoi trascorsi. Per me potrebbe anche essersi fatto un’operazione per cambiare sesso, ma non lo giudico per questo, ognuno è libero di togliere o mettere qualsiasi appendice desideri al proprio corpo, non è affatto un problema, e comunque sono di mente molto aperta. Forse più semplicemente gli è capitata la sfortuna di avere un nome da femmina. Non sarà mica l’unico, no? E poi se consideriamo il fatto che…».
La mano di Kevan sulla mia mi impedisce di proseguire. Il brivido che avverto mi tappa istantaneamente la bocca.
«Abby, fermati, ti prego. Sembri un treno in corsa».
«Oddio, scusami». Mi nascondo il viso tra le mani e sbircio tra le dita, mentre con voce attutita dico: «Me lo dicono tutti che sono logorroica. Scusami di nuovo, scusa me e la mia diarrea verbale».
«La tua che?»
«Diarrea verbale. È una metafora… almeno credo».
«Certo che sei proprio…».
«Strana? Sì lo so, mi dicono anche questo».
«No», dice lui scuotendo la testa. Ha ancora la mano sulla mia e io non oso muovermi per paura di rovinare il momento. «Sei singolare». Mi prende la mano e la rigira nella sua, osservandola come se stesse cercando una mappa nascosta tra le pieghe della mia pelle. Ha uno sguardo attento, analitico. Ora sono abbastanza confusa. E a disagio. Profondamente a disagio.
Gentilmente ritiro la mano dalla sua e la guardo nello stesso modo in cui ha fatto lui poco fa, pensando di trovarci chissà che cosa. Gli rivolgo un muto interrogativo, lui fa un’alzata di spalle con un certo imbarazzo, e dice: «Guardavo le linee della tua mano».
«Cosa sei? Un chiromante? un veggente?», rido da sola delle mie stupide domande. «Cos’hai letto? Avrò un amore epico, una decina di figli e una vita lunga e soddisfacente, vero?».
Kevan fa un sorriso appoggiandosi allo schienale. Mi chiedo quando abbia intenzione di mettersi a lavorare al progetto di storia, ma di certo non sarò io a ricordarglielo.
«A dire il vero non lo so. Non credo in queste cose».
«Fortunatamente, nemmeno io». Traccio con l’indice il leggero solco sulla mia pelle che secondo le credenze dovrebbe essere la linea della vita. «Secondo questa linea, la mia vita non sarà poi così lunga. Mi dispiacerebbe davvero morire prima di aver avuto dieci figli». Rido di nuovo come una cretina, ma stavolta lui non accenna nemmeno un risolino. Si fa improvvisamente serio e volge lo sguardo verso la finestra con l’espressione persa nel vuoto, come se stesse pensando ad altro.
Finestra: 1. Abby: 0.
Comincio a strappare dei piccoli pezzi di foglio da uno dei miei quaderni e faccio delle palline di carta per passare il tempo. L’unica volta che alzo gli occhi davanti a me, mi accorgo che il professor Lexi ci sta fissando. Non appena il mio sguardo incontra il suo, distoglie subito l’attenzione da noi e la rivolge di nuovo al giornale. Nulla di strano, se non fosse che ci ha sorpresi entrambi a non fare nient’altro che guardare fuori dalla finestra e appallottolare della carta. Mi do un’occhiata intorno e tutti, ma proprio tutti, stanno lavorando alacremente al progetto di storia. Tutti tranne noi. Lexi lo ha visto benissimo, ma non ha commentato. Sembra quasi che non gli importi.
Stufa che Kevan se ne stia a rimuginare su chissà che cosa, mi schiarisco la voce per attirare la sua attenzione. Lui si volta verso di me e mi guarda come se avessi interrotto il suo sogno a occhi aperti.
«Ehm… non vorrei sembrarti una patetica studentessa in cerca di un buon voto, ma forse dovremmo metterci al lavoro, che ne dici?».
Tira un profondo sospiro e annuisce. «Sì, certo, hai ragione, ma prima… me lo dai il tuo numero e il tuo indirizzo?»
«Oh certo, sicuro. Ecco qui». Strappo un foglio dal quaderno e scrivo a caratteri cubitali numero di cellulare e indirizzo. Nel caso non capisse la mia calligrafia, scrivo in stampatello. In modo chiaro, come se stessi usando la tastiera di un computer. Non vorrei proprio che sbagliasse indirizzo.
«Grazie», risponde infilandosi il foglietto in una tasca dei jeans. «Allora se per te va bene, ci possiamo vedere verso le cinque?»
«Alle cinque va benissimo».
«Perfetto, allora cominciamo?».
Non sono mai stata così contrariata dal fatto che una lezione di storia finisse così presto. Saranno passati circa dieci minuti dall’ultimo commento di Kevan, quando la campanella suona segnando inesorabilmente la fine della mia ora perfetta: quella trascorsa con il ragazzo dei miei sogni, anche se solo per lavorare a un progetto di studio. Onestamente, a me sembra già una grande conquista.
Durante la lezione successiva ognuno riprende il proprio posto.
Voglio bene a Tess, da morire, ma stavo meglio accanto a Kevan.
Tess mi lancia un’occhiata d’intesa che accolgo con il naso arricciato e qualcosa di simile a un sorriso. Mi passo dietro le orecchie alcune ciocche di capelli sfuggite all’elastico e, all’improvviso, mi ricordo della tinta. Guardo Tess con gli occhi sgranati, le arpiono una mano con la mia e, prima che entri il professore per la lezione successiva, la trascino in corridoio. Mi accorgo solo di sfuggita che lo sguardo di Kevan mi segue fino a che non sparisco dietro la porta.
«Che succede?». Tess ha un’espressione preoccupata.
«Niente che tu non possa aggiustare. Ho bisogno che andiamo via da scuola, adesso!».
«Cosa? Sono appena le undici, non possiamo andare via».
«Dobbiamo, ti prego». Ho un tono implorante e faccio gli occhi da criceto triste. So che non può resistere.
«Se solo mi spiegassi il motivo di questa grande fuga, potrei accontentarti».
«Alle cinque Kevan verrà a casa mia per lavorare al progetto di storia».
«Cosa?».
Annuisco, un po’ elettrizzata, un po’ angosciata. «Sto bene, non temere, riesco ad affrontare il cataclisma che mi scatena all’interno, ma non credo che lui potrà affrontare il cataclisma che regna in casa mia. È un casino. Da quando i miei non ci sono, io e mia sorella viviamo come delle accampate. Mi devi aiutare a rimettere in ordine e a farmi la tinta ai capelli, prima che arrivi».
Tess si guarda intorno come se i muri della scuola avessero la soluzione a questo immane dramma, infine dice: «Va bene. A mali estremi, estremi rimedi. Recuperiamo le nostre cose prima che il professor Lexi ci becchi a scappare dalla sua lezione».
Torniamo difilato in classe e recuperiamo in fretta le borse. Rivolgo un sorriso di saluto a Kevan, che mi osserva sempre più stranito fino a quando non sparisco di nuovo dalla classe.
Sto suscitando il suo interesse, ma non me ne preoccupo adesso. Io e Tess abbiamo un’importante missione da compiere: sterminare tutti gli acari che da giorni ormai hanno stabilito il loro quartier generale in casa mia, e darmi un aspetto che non mi faccia sembrare una che ha litigato con il parrucchiere.