Capitolo 21
Abby
Ho sentito il vento schiaffeggiarmi la faccia e una mano forte e al contempo tenera coprirmi il viso per ripararmi dalle sferzate gelide. Ho sentito i capelli in bocca e solleticarmi le labbra, finirmi nella gola, mentre sempre la stessa mano mi spostava le ciocche indisciplinate.
Ho sentito i polmoni bruciare a ogni respiro, ho sentito il cuore rallentare il battito, mi sembrava che la morte mi chiamasse. Lo sconosciuto aveva un timbro di voce profondo, caldo, carezzevole. Pronunciava il mio nome come se mi amasse, come se mi volesse a tutti i costi con sé. Apro gli occhi, nella nebbia del mio torpore vedo di nuovo parte delle immagini che mi hanno tormentata. Solo che stavolta non sono un parto della mia mente.
È vero. È tutto vero.
Sotto di me un materasso duro mi comprime la schiena. Sento l’odore del sangue e del sudore. Le lenzuola ne sono impregnate. Un rosso vivido colora un’improbabile fantasia a fiori. Sono abbastanza lucida da considerare queste lenzuola orrende, ma non è orrendo il volto dell’uomo chino su di me. “È giunta la morte?”, mi chiedo. È giovane, la mascella squadrata gli dà un’aria decisa, ma gli occhi sono troppo dolci, chiari e dalle ciglia troppo lunghe per appartenere a un uomo. Li strizza, come se tentasse di trattenere le lacrime, ma una scivola via e gli finisce sulle labbra. La spazza via con il dorso della mano e quelle stesse labbra, prima piene e lucide, si stringono in un moto di sofferenza. Pronunciano il mio nome e perdo di nuovo conoscenza.
Penso che la morte alla fine abbia vinto, ma che in fondo è bella.