Capitolo 25
Dakota
Lexion si allontana con un braccio sulle spalle di Emily. Non riesco a guardarli ed è una fortuna che i miei occhi siano offuscati dalle lacrime. Mi impediscono di vedere con chiarezza. Le asciugo con violenza, il dorso della mano le trascina via, le nocche delle dita mi fanno male agli zigomi, ma è niente in confronto al dolore che mi brucia dentro. Kevan è rimasto a contemplare la figura dell’ibrido immersa in una vasca piena di un liquido che non ho capito fino in fondo a cosa serva. L’uomo accanto a lui fa esattamente la stessa cosa, come se Abby fosse una specie di dea da adorare. Quel perfetto sconosciuto ha qualcosa che mi inquieta. Il suo sguardo ha incrociato il mio per pochi secondi, eppure, in quel breve lasso di tempo, ho sentito una potente scarica elettrica strisciare lungo la mia spina dorsale.
Avrei voluto che Kevan restasse con me e invece mi ritrovo da sola, spintonata dalle rozze mani di un ibrido, in uno stretto cunicolo che porta chissà dove. Mi volto a guardarlo, mi fermo, lui mi sbatte contro, ma non mi muovo. Di nuovo mi spinge, colpendomi una spalla. «Muoviti, aliena». Ancora un’altra spinta. La rabbia e la frustrazione sono sensazioni che mi travolgono con violenza e, quando arrivano, raramente riesco ad arginarle. Con la stessa prepotenza lo colpisco al petto. «Tieni le tue luride mani lontane da me, ibrido».
«Altrimenti?».
Si avvicina ancora di più. Sento il suo fiato sul volto. È caldo e sa di menta. Mastica una gomma senza preoccuparsi di farmi vedere l’interno della sua bocca. La allunga sulla lingua e la riempie d’aria formando un piccolo, fragile palloncino, che mi scoppia in faccia riempiendola di goccioline di saliva. La nausea mi assale, ma cerco di non darlo a vedere. Il bastardo non merita di vedere la mia debolezza. Sarebbe concedergli una soddisfazione troppo grande. Inspiro a fondo, mentre mi ripulisco il volto. Tiro su col naso, stringo la mascella, ma non riesco a trattenermi. Un secondo dopo gli sputo dritto in un occhio. Lo vedo vacillare, fare un passetto indietro, la sua mascella squadrata è contratta quanto la mia. Estrae il polsino della felpa rossa che indossa sotto la giacca di pelle e lo passa sul volto per asciugarlo. Le sue labbra si piegano in un sorriso che non sembra per niente indulgente. Gli occhi azzurri scintillano di una luce perversa ed enigmatica. Non riuscire a leggere i suoi pensieri rende tutto molto più complicato.
«Che succede qui?», ci interrompe Lexion. Si avvicina e guarda prima me, poi il ragazzo. «Jay?»
«Niente», risponde lui.
«Dakota?». Lo sguardo del capitano si sposta di nuovo su di me.
«Devo considerarmi una prigioniera?».
Non un solo muscolo del volto di Lexion si muove. La sua espressione è imperscrutabile. «Dipende».
«Da cosa?»
«Hai intenzione di scappare?».
Scuoto la testa con un sorriso ironico e alzo gli occhi al cielo. «Pensi davvero che te lo direi?»
«Allora puoi considerarti una prigioniera». Il suo tono è duro, ma non so se a ferirmi di più è questo, oppure il sorriso sfrontato di Jay. La sua espressione soddisfatta è sale sulle mie ferite.
«Mio fratello si starà rivoltando nella tomba, sporco traditore!». La voce mi esce strozzata. Deglutisco, ma non riesco a mandare giù il groppo di ansia che mi soffoca.
«Non conoscevi tuo fratello e, credimi, quello che sei non gli sarebbe piaciuto».
Le sue parole sono stilettate in pieno petto. Il pizzico di disprezzo che colgo nella voce del capitano basta a farmi sentire una completa nullità e a costringermi a rimettere tutto in discussione. Cosa sono? Cosa faccio di sbagliato? Lexion sembra intercettare i miei pensieri perché risponde: «La verità è davanti ai tuoi occhi, Dakota, devi solo cominciare a guardare, non limitarti a vedere».
«Che diavolo vorrebbe dire?»
«Li vedi questi ragazzi?». Lexion sposta lo sguardo sul gruppo di giovani intorno a noi. Mi fissano con espressioni che vanno dalla pietà, all’indifferenza, all’ostilità. «Cosa vedi?»
«Un mucchio di ibridi, una razza inferiore. E tu ci sei mischiato in mezzo».
Jay digrigna i denti. Le sue mani si stringono a pugno e diventano incandescenti. «Ti prego, Lexion, posso pensarci io a lei?».
Il capitano lo ammonisce con lo sguardo. Jay stringe le labbra e rimane in silenzio.
«Sai cosa vedo io? Persone», dice, Lexion. «Con poteri straordinari, abilità particolari che le rendono ancora più speciali».
«Sono felice per te», ribatto, incrociando le braccia sul petto.
«Stupida e anche infantile», commenta Jay.
Lexion svuota i polmoni con un lungo sospiro e abbassa la testa. È l’immagine della resa. Per lui non sono altro che una sconfitta.
«Portala nei sotterranei e resta di guardia», ordina il capitano. «Quando saremo sicuri che non scapperà, tornerà in superficie con il resto del gruppo».
«Che cosa? No… non puoi farlo davvero… non puoi!». Le mani di Jay mi afferrano per le braccia, mi trascinano via, lontano da Lexion, lontano da chiunque. Il capitano mi volta le spalle e prosegue lungo il cunicolo seguito dal gruppo di ibridi.
«Dove mi stai portando? Lasciami andare!». Mi dibatto per sfuggire alla presa di Jay, ma sembra essere forte quanto e più di me. Non parla. Si limita a condurmi via con violenza. I miei piedi inciampano nei suoi, ma non si preoccupa quando mi calpesta. Il suo braccio intorno al mio collo riesce a tenermi bloccata, mentre con la mano libera apre una porticina sulla parete destra del cunicolo. Una luce al neon rivela la presenza di una lunga rampa di scale che si tuffa in un’oscurità che spero non nasconda niente di troppo spaventoso.
Pochi secondi dopo siamo lungo un altro corridoio, più largo stavolta. Su ognuno dei due lati ci sono una serie di porte affiancate l’una all’altra. Sembrano celle. Ne apre una e mi spinge dentro. Ci sono un letto che non sembra affatto comodo, un piccolo angolo cottura, una scrivania e un ripostiglio con una porta semiaperta che svela l’esistenza di un bagno.
Senza troppa gentilezza – non che ne abbia dimostrata alcuna fino a questo momento – Jay mi spinge sul letto.
«Fatti una bella dormita, aliena».
«Ho un nome, lo sai, ibrido?»
«Per quanto mi riguarda, non esisti. Di conseguenza, non hai neanche un nome». Jay apre lo sportello di una piccola credenza e ne osserva il contenuto. «Hai cibo e acqua in abbondanza. Per qualsiasi altra cosa… arrangiati».
«Perché state facendo tutto questo? Cosa volete?»
«Non sono tenuto a darti spiegazioni. La tua presenza qui non era prevista, ma dato che ormai ci sei, meglio contenere il danno».
«Danno?»
«Danno, sì. Non ci senti? Stai dalla loro parte, non possiamo rischiare che riveli la nostra posizione mettendoci tutti in pericolo».
«Non potrei mai mettere in pericolo Lexion», dico con una certa enfasi. Jay sembra accorgersene e sorride. «O Kevan», aggiungo subito.
«Commovente, ma non me ne frega niente, aliena. Tu resti qui».
«Va’ a farti fottere, ibrido».
Jay scoppia in una risata e mi lancia un sacchetto di patatine. Lo afferro e lo getto sul pavimento. Lui lo recupera, lo apre e me lo svuota addosso. Mi afferra per il colletto della tuta e mi avvicina al suo viso. «Non provocarmi, aliena. Prendo fuoco facilmente».
«Sei pazzo, come tutti quelli della tua razza». Gli stringo i polsi, cercando di allontanarlo da me, ma lui sembra godere della mia paura. Piazza la fronte contro la mia guardandomi in cagnesco, poi mi lascia andare sul letto e torna calmo. Non avrei mai voluto ammetterlo, ma ho paura. E i motivi per cui ho paura sono una moltitudine. Sono ostaggio di un branco di pazzi, le persone di cui mi fidavo di più al mondo si sono rivelate dei traditori, il ragazzo che mi ha condotta qui sembra avermi scelta come bersaglio e temo che possa darmi fuoco da un momento all’altro.
Lo guardo allontanarsi, uscire e chiudere la porta a chiave. Sento una sedia spostarsi sul pavimento. Non posso vederlo, ma sono certa che è seduto oltre la parete.
Mi abbandono contro il cuscino. Le patatine sbriciolate sono ancora sparse sul letto. Mi chiedo cosa ne sarà di me, dove andrò a finire. Mille domande mi tormentano e spero con tutta me stessa di uscire quanto prima da questa specie di incubo.