Capitolo 23
Dakota
«Ma che diavolo prende a tutti?». Kevan mi ha appena lasciata come uno stoccafisso. Non lo riconosco più. Sembra ossessionato da questa storia e il posto in cui mi trovo ha tutta l’aria di essere l’anticamera dell’inferno.
Mi chino e prendo un sasso tra le mani. Lo annuso. È carbone. Siamo finiti in una miniera di carbone. Bene.
Faccio per rialzarmi quando qualcuno mi spinge di nuovo giù. «Ehi!». L’esclamazione mi sale spontanea alla bocca, mentre mi rimetto in piedi di scatto. Mi volto e incontro lo sguardo corrucciato del ragazzo che ha incenerito lo sciame servendosi solo di un accendino.
Mi fissa. Ha un’espressione indecifrabile dipinta su un volto che costringe a porsi molti interrogativi. Dall’orecchio fino al collo, e presumo persino più giù, la sua pelle è come un foglio di carta raggrinzito. La sua è decisamente una cicatrice da ustione. Tuttavia, il centro del viso è salvo, gli occhi sono chiari, i capelli scuri ritti in testa e tagliati a spazzola, disordinati. Ha le labbra strette e la mascella contratta. Ecco, se ora dovessi descrivere la sua espressione, direi che è crudele.
Sputa sulle mie scarpe e con voce rotta dal disprezzo, dice: «Levati di mezzo, aliena».
Sorprendendo prima di tutto me stessa per la mia reazione, che non è affatto quella che mi aspettavo, mi sposto senza dire una parola e lo lascio andare avanti. Deglutisco, immaginandomi quello che avrei fatto se non fossi stata così allibita. Avrei risposto a tono, forse gli avrei dato un pugno sul naso, e invece sono rimasta in silenzio, con uno strano senso di vergogna a farmi formicolare le braccia.
È così che ci si sente a essere disprezzati per ciò che si è?