Capitolo 35
Abby
Sono finalmente sola, lontana dal chiasso di una stupida scazzottata, dalle grida di incitamento dei compagni di Jay e dagli sguardi di rimprovero di un uomo che non conosco affatto, e che sembra essersi autoproclamato mio tutore, senza che nessuno glielo abbia chiesto.
Mi ritrovo a percorrere un sentiero stretto, ben attenta a non allontanarmi troppo dall’abitazione. Dal punto in cui mi trovo riesco ancora a vederla, un po’ più in basso rispetto alla mia posizione. Sono su una piccolissima altura circondata da alti abeti e qui, protetta da questi giganti, ho la sensazione di riuscire a controllare meglio le mie emozioni.
Mi appoggio contro il tronco di un albero, dando le spalle alla casa e a tutto il resto, respirando a fondo per calmare i battiti accelerati del cuore. Sono arrabbiata. Sono frustrata. Sono impotente. Chiudo gli occhi assaporando la pace del momento, lasciandomi cullare dai suoni tranquillizzanti del bosco, quando qualcosa mi tocca una spalla facendomi sussultare. Allarmata mi volto solo per incontrare lo sguardo cupo di Kevan. Ha un paio di grossi lividi sulla mascella e i capelli gli ricadono in ciuffi disordinati sulla fronte.
«Pensavo fossi ancora nell’arena a dare sfoggio delle tue abilità di gladiatore insieme a quell’altro idiota». Non vorrei avere questo tono di rimprovero, ma l’alternativa sarebbe peggio.
«Diciamo che il tuo Fottetevi tutti quanti è stato un valido incentivo a smettere», risponde Kevan passandosi una mano fra i capelli e riportando il suo ciuffo ribelle in ordine. «Mi dispiace», aggiunge pochi istanti di silenzio dopo.
«Ti dispiace di che, esattamente?», gli chiedo. Incrocio le braccia sul petto e alzo il mento impettita, sentendomi assolutamente ridicola.
Lui sembra confuso. Un secondo prima ha lo sguardo corrucciato, quello dopo, solleva le sopracciglia con aria interrogativa. «Adesso mi chiedo di quante cose dovrei essere dispiaciuto».
«Da dove comincio?»
«Comincia dall’inizio, se non ti dispiace. Chiarirebbe meglio l’intera faccenda».
«Bene». Tiro un sospiro, che non so come si trasforma in uno sbuffo prepotente. «Cominciamo dal fatto che sei un alieno e che ho dovuto scoprirlo dopo essere finita in una specie di incubo fantascientifico». Mi blocco per qualche istante, per riprendere subito dopo. «Va bene, non è questo il vero problema, anche se ciò mi rende una folle, perché non è normale accettare qualcosa di così… come dire… particolare? No. Assurdo. Il vero problema è che mi hai mentito».
«Hai ragione. Ma come avrei potuto dirti chi ero e qual era il mio compito, senza essere preso per pazzo? Saresti scappata da me in un batter d’occhio», si difende lui, alzando le mani e lasciandole cadere contro le gambe, frustrato.
«Non è a questo che mi riferisco quando dico che mi hai mentito».
«Ah no?». Gli occhi di Kevan mi scrutano, curiosi. Il suo sguardo mi mette a disagio e mina la mia naturale attitudine alla sfacciataggine. Se solo non fosse così bello, così perfetto in ogni suo più piccolo particolare. Diamine, trovo sexy anche i suoi neonati lividi sulla mascella.
«No, ecco». Avrei potuto fare un commento più stupido?
«Allora a che ti riferisci?», insiste.
«Al tuo rapporto con Dakota. Non state insieme». C’è un attimo di silenzio imbarazzante tra di noi, in cui ho l’opportunità di riflettere sul fatto che di tanto in tanto, potrei anche sforzarmi di apparire una persona seria, invece della ragazzina noiosa che dà costantemente prova della sua incredibile stupidità. Pertanto, il secondo dopo aggiungo: «Non sono affari miei, lo so, non dovrebbe importarmi».
«Non dovrebbe importarti, ma ti importa. Perché?».
Kevan non me la rende per niente facile e ancora una volta mi meraviglio della mia incredibile capacità di ficcarmi in situazioni senza via d’uscita.
«Be’… perché…»
«Be’, perché?»
«Dammi tempo, okay? Sto elaborando».
«Hai tutto il tempo che vuoi, io da qui non mi muovo». Kevan punta le mani sui fianchi e il gesto evidenzia i pettorali che si tendono sotto la maglietta. Elaborare mentre osservo i suoi muscoli alieni non è un’impresa semplice.
«Ecco… perché…». Non ho idea di come proseguire senza risultare completamente deficiente. E soprattutto sto davvero pensando di rivelargli una verità che potrebbe essere usata contro di me in più di una situazione? Senza considerare il fatto che probabilmente scoppierà a ridermi in faccia. Oppure no. Kevan non è il tipo che ferisce i sentimenti di una ragazza in modo così plateale, si limiterà a un sorrisetto di circostanza con cui dimostrerà tutta la sua pietà.
Forse ciò è anche peggio della palese, derisoria, sfacciata, pubblica umiliazione. Ma a chi importa in fondo? A me no di certo. Sono successe cose molto più gravi, che fanno impallidire una banale dichiarazione d’amore. Così, lascio che sia l’istinto a decidere per me e, senza aspettare ulteriori riflessioni che potrebbero allontanarmi dalla folle idea che mi è appena saltata alla mente, raggiungo Kevan con un solo passo e mi sollevo in punta di piedi per riuscire ad avvicinarmi al suo viso. L’attimo dopo, le mie labbra sono incollate alle sue.