Capitolo 6
Abby
motivi per cui scappare in un’altra città:
• Evitare di continuare a essere lo zimbello della scuola.
• Allontanarmi da quell’impiastro di mia sorella.
• Far venire i sensi di colpa ai miei genitori per il loro evidente disinteresse nei miei confronti.
• Cercare di diventare una rockstar anche se non so cantare.
• Andare a un concerto dei Muse, dato che i miei non mi ci hanno mai voluto mandare, terrorizzati dalla possibilità che qualcuno potesse portarmi sulla via della tossicodipendenza. (Come se la droga girasse solo ai concerti rock).
• Far sentire terribilmente la mia mancanza a Tess, così la prossima volta imparerà a non trattarmi come una pazza.
• Dimenticare che il nuovo ragazzo più carino della scuola sta insieme a una specie di piovra con i tentacoli anche nella bocca.
• Mangiare schifezze a profusione.
• Sentirmi indipendente.
• L’ultimo motivo non mi viene, penserò a qualcosa più tardi.
motivi per cui restare qui:
• In fondo questa scuola mi piace, e di essere sulla bocca di tutti un giorno sì e l’altro pure, mi importa davvero tanto? Naaaa.
• Mia sorella senza di me vivrebbe troppo tranquilla e io non voglio darle certo questo vantaggio.
• Far venire i sensi di colpa ai miei genitori che mi sapranno sola ad aspettarli qui.
• Se non so cantare, non ho motivo di provare a diventare una rockstar.
• Fra circa due settimane i Muse si esibiranno a Kansas City e stavolta i miei hanno promesso che mi ci faranno andare se ad accompagnarmi ci sarà mia sorella. Posso sopportare la sua presenza e quella di Matt, per i Muse.
• Tess mancherebbe più a me di quanto io potrei mai mancare a lei.
• Ricordarmi che il nuovo ragazzo più carino della scuola sta insieme a una piovra che ha i tentacoli anche nella bocca, per mantenere i piedi ben piantati per terra e venire finalmente a patti con il fatto che non sono né Lana Lang, né Lois Lane e che Superman vorrà sempre una di loro due. Doppia l, batte doppia a di Abby Allen. In realtà non ci ho neanche provato a farmi avanti, ma se lo facessi è evidente che lui non avrebbe occhi che per me. (Facile scrivere cazzate quando nessuno ti legge).
• Evitare di mangiare schifezze a profusione se non voglio diventare come l’ippopotamo di Madagascar.
• Sentirmi indipendente forse implicherebbe anche il fatto di essere sola, nel mio caso. Non credo mi piacerebbe molto.
È naturale che non avendo scritto l’ultimo motivo per cui andarmene, non scriverò nemmeno quello per cui restare.
Chiudo l’agenda, la ripongo al sicuro nel cassetto della scrivania, e appoggio il viso su una mano. La mia immagine si riflette sulla superficie di un cd buttato a caso fra i libri di scuola. Lo prendo e me lo rigiro tra le mani. È tutto impolverato. Da quando non do una ripulita a questo casino che è la mia stanza? Il cd non ha titolo, ma vedo che non è vuoto. Lo infilo nel lettore e premo il tasto play aspettando di sentire cosa c’è inciso.
Una musica lenta si diffonde nell’aria impregnata di puzza di calzini sporchi, gettati alla rinfusa sul letto. Riconosco subito la canzone, è una delle mie preferite e ovviamente è dei Muse: Exogenesis-Symphony Part 3 (Redemption). È triste, molto triste, e mi lascio cullare affranta dalle sue note. Chissà per quale masochistica necessità, quando ci si sente depressi, si tende sempre ad ascoltare canzoni e a guardare film che inducono ad annegare nelle proprie lacrime.
Come sta succedendo a me in questo preciso istante. Il cuore ha preso a battermi forte nel petto, un po’ perché questa canzone è proprio bella, un po’ perché in questo momento mi sento una specie di nullità. Odio sentirmi così. Lo odio perché sento di perdere il controllo su tutte le mie emozioni.
Okay, lo so che detto da me ha un che di comico. Perlomeno è contraddittorio, considerato che le mie azioni sono totalmente fuori controllo. Diciamo che sono diversamente controllata. D’altra parte, niente che sia normale appartiene al mio modo di essere, e non è che sia una cosa di cui andare proprio fieri, me ne rendo conto.
La canzone dei Muse si interrompe e la traccia seguente è malinconica quanto la prima. Questa deve essere una di quelle compilation da sbattimento sentimentale che Greta usa quando litiga con Matt. Non capisco come sia finita sulla mia scrivania, ma non me ne importa molto. I brani che contiene non sono male. Un punto per i gusti musicali di mia sorella. Un fatto storico questo, che non si ripeterà mai più.
Cerco un fazzoletto di carta e ne trovo uno sotto un bicchiere con del latte rappreso vecchio di almeno due giorni. Si vede che mia madre non è nei paraggi. Lo uso per ripulirmi il viso dalle lacrime e soffiarmi il naso così rumorosamente che mi vergogno di me stessa. Sconfortata, guardo l’orologio e mi accorgo che sono le sette e trenta passate. È ora che esca dalla tana. Non posso perdere altri giorni di scuola o penseranno che sia scappata davvero.
Vado in bagno a darmi una sciacquata al viso e controllo lo stato del mio naso. Il gonfiore è diminuito di molto e anche il rossore ai lati è pressoché scomparso. Sono quasi presentabile, non fosse per i capelli che stanno perdendo la piega riccia che Tess mi ha fatto qualche giorno fa e stanno tornando a essere i soliti spaghetti, lisci e anonimi, appiccicati alla fronte.
Faccio una smorfia alla mia immagine riflessa nello specchio e prendo la bottiglietta dello shampoo. Piego la testa in avanti più volte scuotendo i capelli con forza, ritorno a guardarmi allo specchio con le guance tirate in dentro e le labbra atteggiate a un piccolo broncio. Alzo lo shampoo accanto al viso, mi passo una mano tra la chioma che dovrebbe essere fluente, invece è solo scompigliata, e dico: «Perché io valgo».
Rimango in questa posizione per qualche secondo, cercando di convincermi che non ho niente da invidiare alle super top model a cui è evidente che cotonano i capelli ogni volta che devono girare uno spot del genere; tuttavia, sconfitta dall’evidenza dei fatti, ripongo lo shampoo e torno a occuparmi del viso.
Copro il pallore con un velo di fondotinta e un altro di cipria, poi completo il tutto con un leggero passaggio di fard color pesca. Mi dona il color pesca. Sulle labbra passo un po’ di gloss al sapore di fragola che fa venir voglia di leccarle, anche se non è quello il suo utilizzo finale. Un tocco di mascara volumizzante, e il gioco è fatto. Sembro quasi carina.
No, accidenti, lo sono. Sono carina.
Termino l’opera di restauro spazzolando energicamente i capelli e raccogliendoli in una coda alta. E solo alla fine di tutto questo processo, mi accorgo di non essere ancora vestita.
Mi dirigo verso l’armadio, lo apro e sembra che all’interno sia scoppiata la bomba atomica. Una montagna confusa di abiti mi sfida a trovare quello che cerco, così decido di indossare la prima cosa che capita. Ficco la mano nel groviglio di stoffa e tiro fuori un perizoma. Per quanto possa essere carino e sexy con i suoi piccoli orsetti lavatori disegnati sul cotone leggero, non credo sia adatto per la scuola, perciò lo lancio di nuovo nell’armadio e stavolta provo a impegnarmi seriamente nella ricerca.
Trovo una camicia grigia a righe nere, ci abbino sopra una giacca bordeaux con il cappuccio e un paio di jeans attillati. Li infilo negli anfibi e direi che sono pronta.
La mia Ford è in garage con la marmitta finalmente riparata. Mi è costata un occhio della testa, ma ne è valsa la pena.
La strada è un percorso a ostacoli, oggi. La notte precedente Wichita è stata devastata da un temporale e il tragitto fino alla scuola è una sfida fatta di buche, pozzanghere e tronchi d’albero. Quando sono a circa un chilometro dalla destinazione finale, scorgo sul ciglio della strada la figura esile di Tess. Ha l’ombrello aperto per evitare la fastidiosa pioggerellina che insiste a cadere fitta. Stavolta indossa le scarpe da ginnastica.
Se fossi bastarda come a volte vorrei essere, tirerei dritta, ma non lo sono, e lei è comunque la mia migliore amica. E poi diciamola tutta: me la sono presa per una cavolata e visto che la mia tristezza degli ultimi giorni dipende quasi tutta dal fatto che Tess mi manca, decido di fermarmi.
Accosto al marciapiede e suono piano il clacson. Abbasso il finestrino e dico: «Ehi, non è che mi daresti indicazioni fino alla scuola, vero?».
Tess prova maldestramente a fare la sostenuta, ma vedo gli angoli della sua bocca tremare per un sorriso che vorrebbe trattenere.
«La conosci la strada, mi pare. La percorri da anni», risponde guardando dritta davanti a sé.
«No, nei giorni scorsi un virus mi ha colpito al cervello e ha rimosso parte della mia memoria a lungo termine. L’ultima cosa che ricordo è che ho avuto un attacco di stronzaggine acuta e me la sono presa con la mia migliore amica per niente. Oh, e ricordo anche che lei ha perfettamente ragione quando dice che sono pazza».
Tess abbassa lo sguardo, ma non risponde. Sembra che sia intenta a contare con molta attenzione i suoi passi.
«Dài Tess, mi dispiace. Cambierebbe qualcosa se una volta arrivate a scuola dichiarassi apertamente davanti a tutti il mio effettivo ed evidente squilibrio mentale? Una specie di coming out».
Finalmente si ferma, sospira e si volta verso di me. Senza dire niente, chiude l’ombrello e monta in macchina. «Parli sempre troppo. Sei logorroica».
«Lo so», ammetto con un sorriso. Tess si toglie le piccole goccioline di pioggia che, come tanti piccoli diamanti, si sono posate sui suoi ricci scuri e poggia lo zaino sul tappetino, fra i piedi.
«Avanti, che aspetti, siamo in ritardo. E abbiamo un sacco di lezioni noiose, oggi. Prima inizieremo, prima finiremo».
Annuisco e ingrano la marcia mentre mi torna l’allegria. Quando litighiamo, fra noi è sempre così. Una battuta cretina dell’una, una risposta ironica dell’altra, e tutto ridiventa com’era. Questa consapevolezza mi fa sentire al sicuro, perché so che le tempeste, piccole o grandi, che ci investiranno, non affonderanno mai la solida nave che è la nostra amicizia.
«Siamo meglio del Titanic», dico ad alta voce. È ciò che ci ripetiamo ogni volta che facciamo la pace dopo qualche screzio.
Tess inclina la testa da un lato e fa una smorfia replicando: «Inaffondabili».
Restiamo in silenzio per qualche secondo. «Hai una terribile ricrescita scura sui capelli», esordisce subito dopo.
«Dovremmo rifare la tinta», le dico. Siamo tornate quelle di sempre e mi sento finalmente sollevata. Avevo un enorme peso sul cuore.
«Prepara tutto quello che serve. Dopo i compiti verrò a casa tua e ti aiuterò a farla. E vedi di farla finita con questo biondo moscio».
«Dici che è il caso che torni del mio colore naturale?»
«Se non vuoi sembrare uno spaventapasseri sbiadito, direi di sì».
Inizialmente ci mettiamo d’accordo per il castano, ma Tess sostiene che forse sia meglio il castano scuro perché deve coprire la vecchia tinta bionda. Io non me ne intendo di colori di capelli, è lei l’esperta, quindi la lascio fare.
Nel frattempo siamo arrivate a scuola. Parcheggio l’auto nel posto riservato agli sfigati, quello vicino ai cassonetti dell’immondizia, e altri sfigati come me mi rivolgono cenni di saluto con le mani coperte da guanti senza dita, nell’illusione che questo li faccia sembrare alla moda. Mi sorridono, esibendo orgogliosi i loro apparecchi per i denti che brillano alla luce del mattino. Zaino in spalla, insieme a Tess, faccio il mio quotidiano ingresso all’inferno.
La scuola: per molti un luogo di ritrovo, per altri un luogo di rimorchio, per pochi un luogo di studio, per me un luogo di tortura, un territorio dove scontrarsi giorno dopo giorno con le mie mille mila insicurezze, fornite gratuitamente, e con spietata durezza, dai miei compagni. Se mi importasse qualcosa – intendo più del necessario – per me sarebbe davvero un grosso problema, ma grazie al cielo riesco a pensare con la dovuta indifferenza a quelli che ritengo dei drammi secondari. Voglio dire… c’è di peggio nella vita.
Percorriamo parlottando i corridoi della scuola per raggiungere i nostri armadietti. Da lontano scorgiamo a+a (Amber e Andy). Hanno un’aria agitata e si scambiano dei sorrisetti nervosi. Questo può significare solo una cosa: novità scottanti in arrivo.
«Allora, chi ha lasciato chi stavolta?», esordisco raggiungendole.
«Tieniti forte», mi dice Andy tutta eccitata. «Avanti, diglielo Amber».
«È successa una cosa fantastica, Abby». Amber mi prende le mani fra le sue e le stritola.
«Ehi, quanto entusiasmo. Gavin si è deciso a farsi avanti, finalmente?»
«Ma no, Gavin non c’entra».
«E allora?»
«Allora?»
«Sì, allora?».
Amber strizza l’occhio a Andy, poi con un moto d’orgoglio dice: «La novità del giorno è questa: mio fratello ha mollato quello stoccafisso di Janice».
Il sorriso mi muore sulle labbra all’istante e in un attimo torno seria. «E questa tu me la chiami novità?»
«Ma hai sentito cosa ho detto?»
«Sì, ho sentito, ho sentito». Sospiro penosamente, mentre Tess mi rivolge un sorriso comprensivo. «È la stessa cosa che mi dici ogni due settimane circa, che è più o meno il tempo che serve a tuo fratello per stancarsi di una ragazza. L’unica cosa che cambia ogni volta, è il nome della ragazza. Questa volta è toccato a Janice. Ne apparirà subito un’altra all’orizzonte, vedrai».
«Ma… Abby…».
«Amber, Andy, sono felice che vi preoccupiate del mio perenne stato di single per scelta – forse sono l’unica ragazza in tutta la scuola che non ha ancora avuto un vero ragazzo e di questo non ne vado fiera, credetemi – ma dovreste pensare a trovarlo per voi un fidanzato, piuttosto che sperare inutilmente che io e Alex finiamo insieme. Sto aspettando il mio eroe e non posso permettermi distrazioni. Non posso rischiare che mi trovi occupata quando arriverà. Grazie, ma no, non provo interesse per Alex. Per quanto mi riguarda, può continuare a saltellare da una ragazza all’altra senza destare minimamente la mia gelosia».
«Be’, no», si intromette Tess. «Magari no. Voglio dire, perché dovrebbe saltellare da una ragazza all’altra? Non è meglio che se ne trovi una sola?»
«Ma lui vuole Abby», le fa notare Amber.
«E perché mi vuole? Perché non gliel’ho ancora data come fanno tutte».
«Lo so che vuole Abby». Tess incrocia le braccia sul petto e le parte un tic nervoso all’occhio.
Oh merda!
«È che…», Amber sospira, «è che voi due siete fatti per stare insieme».
Alzo gli occhi al cielo e dico: «Sì, nei tuoi sogni romantici o in un mondo perfetto. Ma in questo mondo io e Alex non staremo mai insieme. Sono già interessata a qualcun altro».
«Chi è il fortunato?», chiede Andy rizzando le orecchie.
«Quello nuovo», rispondo senza vergogna.
«Ma è stra-accoppiato con la stangona con cui è arrivato».
«Non sono gelosa». Alzo il mento in un gesto di sfida che le fa sorridere entrambe. Mi accorgo che anche Tess se la ridacchia alle mie spalle.
«Che c’è da ridere?», dico fingendomi offesa.
«Dài, Abby, sii obiettiva…», sta dicendo Amber.
«Cosa intendi esattamente per obiettiva? È obiettivamente chiaro che sotto quest’involucro alieno in realtà si nasconde il clone di Claudia Schiffer, e lui prima o poi se ne accorgerà. Datemi retta, ragazze, non perdete tempo con questa storia. È una partita persa in partenza».
Faccio un sospiro sbattendo le ciglia e saluto con la mano come Miss Kansas, e proprio in quell’istante, uno dei miei peggiori incubi si materializza davanti ai miei occhi. Arriva con il suo pollaio al seguito, camminando un passo avanti alle sue servette. Ci manca solo un bel ralenti.
«Oh, ecco qua la Nina, la Pinta e la Santa Marianna», squittisce Bridget.
Ah, beata ignoranza! Lo sanno pure i sassi che era la Santa Maria, non la Santa Marianna, ma la ragazza che ha appena parlato non ha molto tempo per arricchire il suo bagaglio culturale, dovendo spenderne un quarto per la cura del corpo perfetto, un altro quarto per le public relations, un altro ancora per le feste e l’ultimo quarto per dormire.
«Bridget. Ti darei il buongiorno, ma sento un rospo in gola, proprio qui… cough… cough… chchchch…». Fingo di avere un conato di vomito. Se non posso nascondermi da lei, allora è meglio difendersi con un bell’attacco diretto.
«Sei rivoltante!», mi dice esibendo un’espressione disgustata.
Continuo la mia piccola sceneggiata portandomi le mani al collo, soffocandomi per finta. In questo momento è tutto perfetto: io che faccio il pagliaccio, Tess, Amber e Andy che ridacchiano alle spalle di Bridget, e lei e le sue amiche che mi guardano come se potessi attaccargli chissà quale virus; è allora, però, che mi sento addosso gli occhi di qualcuno. Distolgo lo sguardo da Bridget.
I miei occhi, arrossati e fuori dalle orbite per lo sforzo di simulare un soffocamento da vomito, si posano sulle figure perfette di Dakota e Kevan. Lui mi sembra persino più bello di quanto lo ricordassi, con quel ciuffo ribelle che gli ricade su un lato sulla fronte. Ha una sacca verde militare in spalla. Indossa una maglietta grigia con sopra una camicia nera aperta. Le maniche sono arrotolate fino ai gomiti e le gambe sono fasciate dai soliti jeans stretti infilati nelle Timberland. Niente mi sembra più perfetto di questo ragazzo. E mi sta guardando.
Mi sta guardando. Santo cielo. Non avrei voluto che mi vedesse mentre faccio l’idiota. Di nuovo.
Tossisco sul serio mentre la saliva mi va di traverso. Ci manca poco che soffochi davvero. Lo vedo alzare un angolo della bocca in quello che sembra un sorriso, passarsi la lingua sulle labbra e scuotere la testa, prima di proseguire seguito dalla sua compagna.
Voglio morire.
Voglio morire sul serio.
Non ho mai desiderato tanto qualcosa.
Un sacco di gente muore all’improvviso, perché io no?
Mi appoggio senza forze all’armadietto dietro di me con il cuore che mi sta saltando fuori dal petto. Le ragazze mi fissano cercando di capire se sto bene o se sto avendo un infarto.
«Molto interessante», dice Bridget con un ghigno, mentre le iene ridens dietro di lei sghignazzano. «E così ti piace il tizio nuovo, eh?».
Se avessi l’energia di parlare e non stessi ardentemente sperando di venire risucchiata da una voragine, le direi che ha detto una cavolata, ma non ci riesco; e comunque dalla mia espressione si capisce chiaramente che il tizio nuovo non solo mi piace, ma mi ha completamente stregata.
«Gli eventi stanno prendendo una piega inaspettata», continua Bridget. Ormai non la ascolto più e, quando se ne va ridendo come una cretina, sento Tess dire: «Cavolo ragazza, non sapevo fossi già a questo punto».
«Eh?», domando come in trance, abbandonando la testa contro l’armadietto e girandola verso di lei. Sembro fatta. Il mio cervello continua a ripropormi la camminata di Kevan in un estenuante e deleterio rewind.
Amber e Andy si guardano confuse, poi Andy dice: «Forse è meglio se la porti da qualche parte a riprendersi, prima dell’inizio delle lezioni».
Capisco benissimo di sembrare un po’ matta in questo momento, ma… non so come spiegarlo. Sento il cervello completamente fuso e non capisco come un ragazzo possa fare questo effetto. No, in effetti lo capisco, se il ragazzo è Kevan.
Credo di aver trovato il mio Superman.
Mi torna in mente il ritornello di una delle canzoni della compilation di Greta. Non so come diavolo faccio a ricordarlo così bene, visto che l’ho sentito solo una volta ma, mentre Tess mi tira per un braccio per portarmi in bagno, comincio a canticchiarlo.
Give a little time to me
We’ll burn this out
We’ll play hide and seek
To turn this around
And all I want is the taste
That your lips allow
My my my my give me love…2
«È Give me love di Ed Sheeran, vero? Bella canzone». Tess mi tiene un braccio sulle spalle come farebbe l’infermiera di un ospizio con una vecchietta rincretinita e, quando ci chiudiamo in bagno, che per mia fortuna è deserto, apre l’acqua e me ne spruzza un po’ in faccia.
Mi riscuoto come se mi stessi risvegliando da un sogno e mi guardo allo specchio. Sono rossa come un peperone e il rossore non interessa solo il volto, si è esteso al collo e presumo anche al petto. In effetti noto delle chiazze sparse. Sembro affetta da una brutta malattia.
«Oh Tess!». Mi volto verso di lei e avverto all’istante il bisogno di un abbraccio, perciò mi rifugio tra le sue braccia con uno slancio che rischia di buttarci entrambe sul pavimento. Tess mi dà delle tenere pacche sulle spalle. «Va tutto bene, Abby, va tutto bene», cerca di rassicurarmi.
«Sono pazza, vero? Non posso essere normale».
Lei sorride e mi scosta per guardarmi in faccia. «Sei proprio cretina. Certo che sei normale».
«Ti prego, non cercare di indorarmi la pillola. Sembravo completamente andata quando l’ho visto passare, te ne rendi conto. Passare! Non mi ha rivolto la parola, mi ha solo guardata e io mi sono sciolta come neve al sole. Non è normale. E poi mi sento come se fossi percorsa da scariche elettriche, come se fosse tutto amplificato, come se avessi un tamburo nella testa. Dio, sto impazzendo!». Torno a guardarmi allo specchio e spalanco gli occhi per capire se c’è qualcosa che non va in me, tipo lo sguardo iniettato di sangue.
«Ti sei solo presa una cotta stratosferica, Abby, nient’altro che questo. È capitato a tutti».
«Mi fa sentire fuori dal mondo».
«Ci credo. Il tuo ragazzo ideale si è incarnato e te lo ritrovi persino qui a scuola. È un po’ come se il tuo attore preferito ti chiedesse di sposarlo».
Gli esempi di Tess calzano sempre a pennello. «Sì, ma il mio ideale non era fidanzato».
Tess storce il labbro. «Potrebbe essere un problema, in effetti».
«Ma ha sorriso… mi ha sorriso, lo hai visto?»
«Abby…».
Il suo tono comprensivo e dubbioso mi fa capire che non pensa che sia una cosa positiva. E in fondo una parte di me, quella che non ha ancora mostrato i primi sintomi della schizofrenia, lo sa. «Okay, non serve che tu me lo ricordi. Mi stavo esibendo in una delle mie imperdibili performance che suscitano ilarità a vagonate».
Tess fa un’alzata di spalle, ma non dice niente. Lo so che non vuole ferirmi sottolineandomi una scomoda verità.
«Forse dovrei concentrarmi davvero su Alex, magari mi passa». La osservo attentamente mentre lo dico, per carpire ogni sua più piccola espressione. Senza alcuna difficoltà, le leggo in viso un accenno di sconcerto, una piccola contrazione della mascella e infine uno sguardo rassegnato.
«Potresti, perché no? Alex è un bravo ragazzo».
«Perché non me lo hai detto?»
«Che cosa?»
«Che hai una cotta per Alex».
Mi guarda spalancando gli occhioni verdi e sembra voler obiettare, ma ci rinuncia e incurva le spalle con aria rassegnata. «Non aveva importanza. Lui ti fa il filo dalle elementari. Non mi vede nemmeno».
Ecco, questo sinceramente lo ritengo un mistero irrisolto. Come si possa non notare una come Tess non me lo so spiegare. È praticamente perfetta. Non solo è bella, è anche intelligente, spiritosa, determinata. È un’asina in matematica, lo so, ma alla fine, quanto potrà mai contare la matematica nella vita di una persona? Basta saper far di conto.
«Dovresti invitarlo al ballo di primavera».
«Non ci penso nemmeno. Ha invitato te».
«Ma gli ho detto di no».
«Non mi sembra giusto».
«Non essere stupida. Se vuoi qualcosa, va’ e prenditela».
«Farai così con Kevan?». Tess incrocia le braccia sul petto e dà un’occhiata all’orologio. Siamo in ritardo per la prima ora, ma non sembra importare a nessuna delle due.
«È diverso. E lo sai».
«Perché c’è la super stangona?»
«Per quello e per il fatto che… be’, non credo di essere il suo tipo. Lo hai visto anche tu che genere di ragazza frequenta. Sarebbe come paragonare un cane di razza a un bastardino».
«I bastardini sono molto più simpatici». Tess mi scompiglia la coda, sorridendo.
«Non mi metterò a scodinzolare, ora», la ammonisco. «E comunque stavamo parlando di te e Alex».
«Non c’è nessun io e Alex». Tess torna improvvisamente seria e si mordicchia il labbro inferiore. È nervosa.
«Solo perché non c’è stata un’occasione che ne creasse i presupposti».
«Adoro il tuo esaltante ottimismo, ma possiamo parlarne un’altra volta? Al ballo di primavera manca solo una settimana».
«Cinque giorni e undici ore».
Tess mi strattona per un braccio. «Sembra che l’attacco di Kevanite acuta ti sia passato. Andiamo a lezione. Almeno alla seconda arriviamo puntuali, che dici?».
Con un’alzata di spalle, la seguo fuori dal bagno e tiro un profondo respiro prima di entrare in classe.
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2 Dammi un po’ di tempo/Bruceremo tutto quanto/ Giocheremo a nascondino/ per capovolgere le cose/ E l’unica cosa che voglio/ è il sapore che concedono le tue labbra/ Mia, mia, mia, mia dammi amore..