Capitolo 5

Kevan

 

 

 

 

 

 

In piedi davanti allo specchio, cerco di non lasciar trasparire il mio nervosismo, il quale, invece si riflette come il faro abbagliante di un’auto contro la vetrina di un negozio. Il mio tentativo di nasconderlo a Dakota è inutile.

Lei se ne sta seduta sul letto della mia stanza guardandomi come se avesse già capito tutto, infatti mi dice: «È un onore essere scelti dalla Confederazione, perché hai quell’espressione sconfitta da giorni? Siamo pronti, Kevan, il tuo errore in Ohio è stato perdonato. Ti viene data di nuovo la possibilità di svolgere bene il tuo compito. Falla valere».

«Siamo qui per ucciderli. Ancora. Come in Ohio. Non era questa la mia massima ambizione», le rispondo voltandomi verso di lei. Sento la mascella tendersi e i muscoli del corpo irrigidirsi. Il solo fatto di ammettere che il nostro compito è quello di sterminarli tutti mi fa sentire una specie di mostro.

«Sono alieni marci. Sono esseri abietti e pericolosi». Dakota impugna le lenzuola e capisco che è nervosa quanto me. Non so se per quello che ho appena detto, o poiché anche lei in fondo ha dei dubbi su quello che facciamo. Dakota è sempre stata più determinata di me. Ha sempre ubbidito agli ordini come un perfetto soldato, senza lasciar trasparire mai nessuna emozione.

«Tecnicamente anche noi siamo alieni marci per loro».

Non sembra soddisfatta della mia risposta perché aggiunge: «Mettiamola così: sono l’aberrazione della nostra razza. Il loro dna mescolato a quello degli abitanti di questo posto, ha provocato la contaminazione di una specie fino a qualche secolo fa pura. Nel tempo molti di loro hanno sviluppato poteri fuori dal normale, pericolosi…».

La interrompo con una smorfia di biasimo. «Certo, telecinesi e…».

«Non solo, e lo sai benissimo». Dakota mi riserva la stessa espressione.

«Sono uguali a noi, non li hai visti? Non hanno niente di diverso. Hanno la stessa pelle, gli stessi organi, lo stesso cuore, gli stessi occhi. Sono come noi», cerco di farle capire animandomi di più.

«Sono ibridi. Non sono come noi. Smettila con queste perle di buonismo scontato».

Sospiro, sapendo di non potermi ribellare se voglio avere salva la pellaccia. Se non rispettassi i piani della Confederazione, potrei giocarmi seriamente la vita. Per i traditori, infatti, la punizione è la morte. Ci sono andato parecchio vicino qualche tempo fa.

Dakota si alza di scatto dal letto, si dirige verso il mio armadio e tira fuori la scatola in cui nascondo un piccolo tablet. In realtà, altro non è che una sorta di diario digitale fornito a ogni membro della Confederazione. Lo lascia galleggiare in aria e con un piccolo movimento della mano, sfiora lo schermo. Le immagini si allungano fino a comporre un’invisibile parete. Le scorre sfogliando l’aria, fino a quando non trova quello che sta cercando. Nella sezione libreria, spulcia diverse vecchie edizioni di giornali. Mi mostra alcune foto e mi fa segno con l’indice di guardarle, assumendo la sua solita aria da saputella.

«Il primo caso accertato risale al 1888. Siamo a Londra, Regno Unito, dove l’uomo più comunemente noto come Jack lo Squartatore ha sgozzato e sventrato circa sedici vittime fra presunte e provate».

«La sua natura non è mai stata stabilita con certezza. Non sappiamo se fosse un ibrido o meno».

Dakota mi interrompe con un gesto della mano e decido di lasciarla continuare. «Facciamo un salto generazionale e andiamo intorno agli anni Quaranta del secolo scorso. Adolf Hitler. Era con certezza un ibrido. E la lista è ancora molto lunga».

«Dove vuoi arrivare, Dakota?»

«I nostri studi dicono che ogni ibrido è destinato a impazzire, presto o tardi. Nel migliore dei casi, tutti gli ibridi hanno una personalità bipolare, alternano fasi di euforia a fasi depressive. La parte aliena tende a sopraffare quella umana, e il sistema va in tilt. La loro energia è negativa sotto tutti gli aspetti».

«So come funziona, ho studiato anch’io». Sposto la sedia da sotto la scrivania e mi siedo appoggiando le braccia allo schienale. Odio questo posto. È tutto così maledettamente… bianco. Pareti bianche, lenzuola bianche, una piccola scrivania bianca appoggiata alla parete, una sedia bianca, scomodissima, un armadio bianco che contiene solo divise di colore bianco, come quella che indosso in questo momento. Qui dentro non posso più essere un normale studente. Qui dentro sono un soldato. Qui dentro sono solo un alieno.

È la seconda scuola che cambiamo da quando ci hanno ritenuti idonei per questa missione. Come in Ohio, dove ci trovavamo fino a qualche settimana fa, non dobbiamo fare altro che identificare gli ibridi che secondo la Confederazione si nascondono in questa città, e sterminarli.

Le nostre basi sono poche, come pochi sono i membri della Confederazione. In ogni base il personale è composto da qualche centinaio di individui, suddivisi in base a una gerarchia ben precisa. Il generalissimo Rhio è colui che tiene in mano le redini dell’intera comunità aliena. Distribuisce gli ordini e le missioni. Sotto di lui ci sono i comandanti delle varie basi, e di seguito diversi capitani a cui viene affidato un nutrito gruppo di soldati.

Le basi solitamente si trovano in luoghi ben nascosti, in modo che non possano attirare l’attenzione. In questa si entra da un’anonima grotta situata all’interno di un vasto bosco. Se anche qualcuno dovesse trovare la grotta, non potrebbe vedere l’entrata della base perché è mimetizzata tra le rocce. Vi si accede solo tramite lettura del proprio codice genetico, registrato nel database centrale alla nascita di ogni confederato. Ogni codice sconosciuto alla Confederazione è considerato nemico.

Le basi segrete sono il risultato di sopralluoghi alieni compiuti nei secoli scorsi, quando si decise di disseminare di quartier generali tutto il pianeta Terra, in caso fosse stato necessario rifugiarsi qui.

«Capisci cosa voglio dire, Kevan?»

«Cosa?». Distratto dai miei pensieri non ho ascoltato una parola di quello che Dakota ha detto finora. La vedo sbuffare spazientita, infine riprende a parlare. «Stavo dicendo… l’ultimo attacco di Samuel Fitzgerald è andato a segno. Un’intera base delle nostre nel Missouri è stata smantellata, alcuni dei nostri sono stati uccisi, altri sono dei fuggiaschi per colpa di quel folle. Continua a reclutare ibridi e il suo esercito di ribelli si sta allargando a macchia d’olio. Trovarli prima di lui è della massima importanza, o diventerà così forte da rovesciare il capo della Confederazione».

Scuoto la testa per niente convinto. «Rhio non è uno sprovveduto. Sa come difendersi e comunque questo conferma la mia tesi».

«Quale tesi?»

«Non stiamo uccidendo ibridi solo per la contaminazione della razza. Non avrebbe senso. Siamo un popolo pacifico».

«D’accordo, non è solo per quello che dobbiamo liberarci di loro. Se questi bastardi prendono il sopravvento, per noi sarà la fine».

«Hai davvero paura di loro, Dakota?»

«Io sì. Tu no? Molti di loro hanno sviluppato poteri superiori ai nostri e Samuel Fitzgerald è uno fra quelli».

Non le rispondo subito, ma mi fermo a riflettere su quanto dice. Samuel Fitzgerald ha una reputazione che lo porta in cima alla lista degli ibridi più ricercati dalla Confederazione. È il più pericoloso in assoluto. Da anni semina terrore fra la nostra gente. Odia la nostra specie, ma nessuno ha mai capito il motivo di tanto astio. Sembra che il solo a conoscere le vicende che hanno portato Samuel Fitzgerald a sollevarsi contro la Confederazione sia proprio Rhio.

Rhio sì stabilì sulla Terra nel lontano 1990. Personalmente non ho memoria di Niviux, il mio pianeta d’origine, anche se ci ho vissuto per circa quattro mesi dopo la mia nascita. Tutto quello che so della nostra storia aliena, lo so attraverso gli scritti dei nostri superiori, conservati nei libri digitali. So che Rhio è fuggito insieme a circa tremila dei nostri, a causa della guerra contro i Gadoriani, una specie aliena molto violenta, ma non conosco i dettagli di una vicenda che sembra essere iniziata molto prima del 1990. Tante sono le leggende narrate fra la nostra gente, molti hanno cercato di scoprire cosa sia accaduto a Rhio e a Samuel, ma nessuno conosce la verità. Combattere per una causa sconosciuta è molto frustrante. Non so se sia giusto quello che faccio, e ogni volta mi domando se non sono dalla parte sbagliata della barricata. Quello che mi fa più orrore è che sto lottando una guerra basata su un segreto che diventa sempre più oscuro ogni anno che passa. Non siamo autorizzati a chiedere spiegazioni a Rhio. Chi lo conosce bene sa che può essere crudele quanto il suo diretto nemico Samuel, e nessuno si azzarda a farlo arrabbiare.

«Gli ibridi esistenti non possono essere tanti».

«Sono più di quanti ti aspetteresti. Perlustriamo questo pianeta da secoli, hai idea di quanti di noi hanno avuto rapporti con i Terrestri da cui sono nati gli ibridi? E ancora quanti incroci Ibrido/Alieno esistano? O Ibrido/Umano? Sono impuri, ma con la straordinaria capacità di riuscire a comandare gli elementi naturali: aria, acqua, fuoco, terra, persino il tempo».

«Lo sai che sei davvero una saputella?», le dico avvicinandomi a lei. Afferro il tablet e lo ripongo in fondo all’armadio. «Ti trovo estremamente affascinante, Zarax», aggiungo chiamandola con il suo vero nome.

«Non chiamarmi così; abituati a Dakota, altrimenti Zarax potrebbe sfuggirti in presenza dei Terrestri».

«Se ti riferisci agli studenti della scuola, non credo che dovresti preoccuparti. Non sono così attenti come sembrano. Sensibili forse, ma fondamentalmente distratti dall’incessante fiume di ormoni in subbuglio che scuote i loro corpi».

«È proprio della loro sensibilità che mi preoccupo». Dakota torna a sedersi sul letto, stavolta si stende e incrocia le braccia dietro la testa rivelando un corpo pressoché perfetto. Resto a guardarla completamente affascinato, desiderando solo di starle accanto.

«Hai visto quella pazza furiosa di oggi, quella Abby Allen? Quella ragazza non mi piace. Ha qualcosa di strano».

Sollevo un sopracciglio e torno a fissare la mia immagine allo specchio per distrarmi dalla sua figura distesa su quel letto, d’improvviso diventato troppo invitante. «L’ho trovata semplicemente comica. Non è un ibrido, se è a questo che stai pensando».

Dallo specchio vedo Dakota che si stiracchia e si gira in posizione fetale. Sembra una gatta in cerca di carezze. «Come fai a dirlo? Per scoprirlo basterà solo analizzare il suo dna».

Mi giro a guardarla. «Andiamo, non crederai sul serio che quella… cosa buffa, possa essere un ibrido?»

«Quella cosa buffa mi ha mandato onde di energia molto potenti, e molto poco umane, se proprio lo vuoi sapere. Non dirmi che non te ne sei accorto. La sua materia era composta da milioni di particelle di energia pulsante pronte a esplodermi contro».

«L’ho sentita. Ma era solo colpa dell’adrenalina che le attraversava il corpo». Lo specchio torna a riflettere la mia immagine, e mentre osservo una piccola cicatrice d’addestramento che mi solca la mascella, ripenso a Abby Allen.

Dakota si sbaglia. Quella ragazza non è altro che una delle tante umane confuse che mi è capitato di incontrare. Con qualche rotella fuori posto probabilmente.

«Non è stata solo adrenalina. Sono certa che la ragazza non è solo una delle tante umane confuse che ti è capitato di incontrare».

La ammonisco con lo sguardo attraverso lo specchio. «Smettila di leggermi il pensiero».

«Bloccalo, così non lo leggo».

«Mi sono distratto solo per pochi secondi e tu ne hai subito approfittato».

«Che c’è? Nascondi degli oscuri segreti alla tua compagna d’armi?»

«No», rispondo. È che sono innamorato di te e non voglio che tu lo sappia.

«Se vuoi ti faccio leggere i miei, di pensieri, per pareggiare il conto». Dakota si solleva aggiungendo un altro cuscino sotto la testa, e la zip della tuta aderente si apre leggermente sul seno, scoprendo pericolosi pezzi di pelle bianchissima. Distolgo immediatamente lo sguardo prima che mi fiondi su quel letto e le faccia dimenticare che è innamorata di un altro.

«Tieniti pure i tuoi pensieri per te. Saranno terribilmente noiosi e riguarderanno tutti il capitano Lexion».

«A proposito del capitano Lexion, grazie per oggi. Per esserti prestato così facilmente a quella piccola messinscena. Credi che ci abbia visto?»

«Ci siamo baciati per dieci minuti e, considerato che come suoi sottoposti ci tiene costantemente d’occhio, ci ha visti sicuramente».

«Non era affascinante in tenuta da professore serioso?». Dakota sospira toccandosi le guance imporporate.

«A dir la verità, a me non fa lo stesso effetto che fa a te».

«Vorrei ben vedere». Dakota si lascia andare a una piccola risatina che la fa sembrare una bambina innocente, una volta tanto. Sento che sto perdendo il controllo delle mie emozioni.

«È almeno di dieci anni più grande di te, Dakota», le dico in tono di rimprovero. «Non può funzionare, ammesso che poi si accorga di te».

«Non cominciare con le prediche. Certe sensazioni non possono essere tenute a bada. Quando ti innamorerai anche tu, capirai cosa intendo».

Annuisco con un sorriso ironico. «Forse… un giorno». Mentre lo dico, il mio tono è rassegnato. Ho già imparato quanto certe sensazioni possano sfuggire al proprio controllo. Sono innamorato di Dakota dai tempi in cui siamo entrati a far parte dell’esercito della Confederazione, circa cinque anni fa. Eravamo due ragazzini sprovveduti, entrambi orfani. I nostri genitori sono morti durante la guerra contro i Gadoriani, ed è stato proprio Rhio a portarci in salvo, insieme a molti altri neonati divenuti nel tempo suoi fedeli soldati, rubando una delle navi madre nemiche carica di prigionieri di Niviux. Dakota e io eravamo stati messi nella stessa culla e da allora non ci siamo mai più separati; tuttavia, se da parte mia l’amicizia di un tempo è diventata qualcosa di più, da parte sua è rimasto sempre un affetto fraterno.

Non è facile convivere con qualcuno che ami, sapendo che non ti ricambierà mai.

«Continuerai ad aiutarmi a portare avanti questo scherzetto del siamo innamorati, nonostante non ti piaccia l’idea che sia cotta del capitano Lexion?».

Il tono di Dakota è quasi implorante. Ha paura che le dica di no, ma non posso farlo. Non ci riesco. Farei qualsiasi cosa per lei, anche la più assurda.

«Va bene, sta’ tranquilla».

Salta giù dal letto, corre ad abbracciarmi circondandomi da dietro le spalle e mi dà un bacio sulla mascella. «Grazie. Ti adoro».

Per qualche secondo vedo le nostre immagini riflesse nello specchio e penso solo a quanto saremmo perfetti insieme.

«Vedi di avvicinarti alla cosa buffa, intesi?». Mi lascia andare all’improvviso e si dirige verso la porta. «Se riusciamo ad analizzare il suo dna, ci toglieremo entrambi ogni dubbio».

«Cosa intendi per avvicinarsi?».

«Non lo so, diventa suo amico, vedi tu».

Quando Dakota si mette in testa qualcosa, è difficile farle cambiare idea. «Perché non ti offri volontaria tu?».

Dakota ha già aperto la porta e sta per uscire. «Sei una frana in fatto di femmine. Forse non te ne sei accorto, ma dal momento in cui ti ha visto, non ti ha staccato gli occhi di dosso. È ammaliata dal tuo fascino alieno. Approfittane. Con me non funzionerebbe di sicuro». Così dicendo mi lancia un bacio volante e richiude la porta, scomparendo dalla mia vista.

L’immagine di una ragazzina che sbatte il naso sul banco mi riempie la mente, e all’improvviso mi viene da ridere. So, però, che non sarà per niente divertente fare quello che mi ha chiesto Dakota; eppure, ancora una volta, non sono riuscito a dirle di no.