Capitolo 33
Abby
L’assordante suono di una campanella mi scaraventa fuori dal mio sogno. E dire che è la visione onirica migliore che la mia mente sia stata capace di partorire in diciotto anni. Davvero, la migliore. Non so come altro potrei definire Kevan nudo sotto la doccia.
Il drin insistente vince e, nonostante le immagini persistano nella mia testa lasciandomi nello stomaco un consistente sfarfallio, sono costretta ad aprire gli occhi. Per un attimo, un solo, illusorio attimo, spero di incontrare lo sguardo impertinente di mia sorella Greta, pronta a tirarmi via le coperte per farmi alzare. Sollevo lentamente una palpebra, come se avessi puntata dritta negli occhi la potente luce di un faro, ma la penombra mi avvolge. Sollevo anche l’altra palpebra, e un sospiro svuota i miei polmoni dell’aria trattenuta fino a ora.
Speranze vane.
È successo davvero. È tutto vero.
L’ansia mi assale, ma non ho il tempo di pensare alla tachicardia perché mi giunge alle orecchie un mugolio di protesta, distraendomi dai miei pensieri. Mi metto seduta sul letto e do una testata contro una sbarra di ferro.
«Porca vacca!», mi sfugge. Alzo gli occhi sopra di me e mi ricordo di essere in un letto a castello. Due secondi dopo, due piedi delicati attaccati a un paio di gambe coperte da un pigiama dalla discutibile fantasia a pois, mi penzolano di fronte al viso.
Un salto, e ai piedi e le gambe si aggiunge il resto del corpo. Si tratta della ragazza di nome Birdy, mi pare. Un’acciuga, due palline da golf al posto delle tette e una massa di capelli biondo cenere spettinati sulla testa.
Sbadiglia senza coprirsi la bocca, accompagnando l’azione con un lungo suono che sembra quasi un gorgheggio. Di sicuro una curiosa tecnica di canto.
«È l’ora dell’allenamento», mi dice tra uno sbadiglio e l’altro. Si dirige verso la porta-finestra e la apre, lasciando entrare il chiarore del nuovo giorno. Respira a pieni polmoni l’aria che la investe e il suo viso, prima pallido di sonno, si colora improvvisamente di un vivo rossore. Fa un piccolo passo verso l’esterno, allunga una mano e sfiora con delicatezza la fronda dell’albero che si affaccia sul balcone.
Ho le allucinazioni, o forse sto ancora sognando, ma vedo un paio di piccoli rami attorcigliarsi attorno al polso della ragazza, come se fossero di gomma. Mi passo le dita sugli occhi, li stropiccio per bene, li riapro e ora i rami sono attorcigliati su tutto il braccio. Alcune foglie arrivano ad accarezzarle il viso.
Temo che la mascella mi sia arrivata sul pavimento. Un conto è sapere di avere a che fare con esseri particolari, un altro è vedere quello di cui sono capaci con i propri occhi.
Birdy mi guarda con un sorriso e subito dopo i rami si ritirano per tornare alla loro immobilità iniziale.
«Che… che diavolo è successo?», le chiedo con un filo di voce.
«Ho dato il buongiorno a Lambert», risponde come se non fosse capitato nulla di che.
«Lambert?». La ragazza indica l’albero. «Lambert. Lui».
Mi gratto la testa, con la bizzarra e curiosa voglia di scoppiare a ridere. «Quell’albero si chiama Lambert?»
«Già, Lambert. Cosa c’è di strano?». Non sembra avere idea di quanto ciò possa essere fuori dall’ordinario per me, o per chiunque altro, credo.
«Niente, figurati, Lambert è un bel nome», considerato che appartiene a un albero.
«Vestiti, siamo in ritardo per gli allenamenti». La vedo muoversi come una scheggia per la stanza e cinque minuti dopo ha indosso una tuta elasticizzata che la rende ancora più magra. Giusto come un ramo secco.
Emily ha recuperato dei vestiti anche per me. Li pesco dal fondo della sacca che ha deposto ai piedi del letto. Tiro fuori un comodo paio di jeans e un maglioncino viola. Lascio i capelli sciolti sulle spalle. Finalmente sono puliti.
Quando usciamo dalla stanza, vengo investita da un’orda di scalmanati che invade il corridoio. I più piccoli si inseguono l’uno con l’altro e Avril li rincorre a sua volta, chiamandoli a gran voce e urlando loro di non farsi male scendendo dalle scale. I ragazzi più grandi cercano di tenere i piccoletti a bada, ma in realtà alcuni di loro sembrano avere più fretta dei bambini. Poco più avanti scorgo Kevan e Dakota. Lui le tiene una mano sulla spalla in un gesto protettivo. Sono talmente perfetti insieme da farmi venire voglia di sbuffare. Ed è quello che faccio. Il mio minuscolo moto di frustrazione non sfugge agli occhi attenti di Jay che, all’improvviso, appare al mio fianco.
Ha diversi graffi sul volto, risultato della lotta della sera prima. I suoi capelli sono disordinati e il sorriso che mi fa, brilla come una piccola stella. A quanto pare, da queste parti le combinazioni cromosomiche sono particolarmente fortunate. Il ragazzo non passa di certo inosservato, per più di un motivo. Oltre a essere uno che si scalda facilmente, è bello come il sole.
«L’alieno ti piace, vero?», mi chiede, mentre un angolo della sua bocca si alza in un leggero ghigno.
Bollente, bello e anche perspicace.
«A me? No, è un tipo, ma non il mio».
Lui annuisce abbassando lo sguardo sul pavimento, nascondendo un curioso luccichio negli occhi. «Certo, si dice sempre così. Ricordo che lo disse anche mia sorella a proposito di Lexion. E guarda un po’?».
Mi sfugge una piccola risatina. «È probabile che Kevan mi noti quanto è imminente un’era glaciale».
Jay annuisce ancora una volta. È davvero strano il ragazzo, per certi versi affascinante, ma perlopiù inquietante. Sarà per l’aria di velato mistero che lo circonda o forse è solo colpa della mia fantasia iperattiva che vede eroi ovunque.
«E poi non lo sai? Lui e Dakota stanno insieme», gli annuncio con aria solenne.
Lui scuote la testa. «Balle. Non stanno insieme. È Lexion l’uomo di cui, a quanto pare, la nostra bella aliena è innamorata. L’ho ascoltato dalla viva voce di Dakota stessa, la principessa delle stelle».
È la seconda volta che la mia mascella casca sul pavimento e sono in piedi da poco più di mezz’ora. Un accenno di rabbia e umiliazione mi pervade e nei successivi dieci secondi diventa pressoché ingestibile. Ultimamente ho una capacità di perdere la pazienza fuori dal comune. «Ho sempre immaginato gli alieni come creature superiori, nonostante il mito di Superman, che diciamolo, era molto più terrestre che kriptoniano, quindi facile preda degli stessi istinti». Sto cominciando a parlare a raffica e a sparare frasi senza senso, lo sento. «Lana, Lois, Lana, Lois, la bilancia pesava prima da una parte, poi dall’altra. Non lo trovi un atteggiamento tipicamente umano? Io sì. Voglio dire, gli esseri di sesso maschile sono tutti così? E allora dove sta la differenza? Le chiamano forme di vita superiori e poi si comportano da ragazzini. La rossa di superiore rispetto a me ha solo le tette!».
Non mi accorgo di aver urlato fino a quando non vedo alcuni dei presenti voltarsi verso di me, compresi Kevan e Dakota. Fortunatamente i piccoli sono già arrivati di sotto.
Sento Jay fare un risolino soffocato, nascondendosi dietro un pugno. Ma ormai il mio cervello è entrato in modalità: “Off”. Può succedere di tutto.
Non dovrebbe importarmi della stupidissima messinscena romantica di Kevan e Dakota, ma di fatto mi importa, molto. La me più irrazionale si sente tradita. Procedo a passi svelti verso la coppia del secolo, la finta coppia del secolo, e come successe una volta nel corridoio della scuola, vomito loro addosso tutti i miei pensieri più sconclusionati.
«Clark Kent non si sarebbe mai prestato a un giochetto così infantile. Vergognati, Kevan! E tu… principessa delle stelle», dico, citando Jay che lentamente si avvicina a noi e mi osserva con un certo compiacimento. «Tu… pessima copia di Brooke Logan, ricordati che di superiore rispetto a me hai solo le tette. Le tette, capito?».
Oso persino puntarle l’indice contro la fronte e spingerla all’indietro. Mi guarda stranita, come se stesse avendo a che fare con una pazza. Probabile, ma non ha importanza.
Jay accanto a me si limita a sollevare le spalle e a proseguire verso le scale senza rivolgere la parola a nessuno, ma ridacchiando sommessamente. Lo seguo subito dopo.
«Abby, aspetta…», sento dietro di me. Mi volto verso Kevan che sembra confuso quanto Dakota. Non gli rispondo, gli volto nuovamente le spalle e proseguo la mia discesa. Sono irrazionale? Sì? Bene, chissenefrega! Da oggi in poi posso sempre dare la colpa alla mia natura ibrida.