Capitolo 27
Dakota
«Tutto bene là dentro?». La voce dell’ibrido arriva attutita da dietro la pesante porta in legno.
«Va’ a farti fottere… un’altra volta», rispondo incrociando le mani dietro la testa mentre osservo annoiata il soffitto della mia cella. Non mi interessa essere gentile con il mio carceriere, né mi tocca il fatto che lui non lo sia con me.
«Hai visite, passerotto».
«Non chiamarmi passerotto!». Sto per lanciare il volume di Moby Dick trovato per caso nel cassetto del comodino accanto al letto, quando la porta si apre all’improvviso. Sulla soglia c’è Lexion. Non sorride, non aggrotta la fronte, è semplicemente privo di espressione. Non fa una piega.
«Avanti, usciamo di qui». Fa un breve cenno con la mano invitandomi ad alzarmi dal letto.
«Perché? Comincia a piacermi questa fredda e umida cella». Non accenno a muovermi, anzi, incrocio i piedi e mi sistemo il cuscino dietro la testa.
Lexion solleva un sopracciglio. «Il sarcasmo non serve, Dakota. E non ti trovi in una cella. Ma in un alloggio per i minatori».
«Ed è più di quanto ti meriti. Fosse stato per me ti avrei sistemata in un cesso», aggiunge Jay esibendo il solito ghigno strafottente.
«Scommetto che è un ambiente a cui tu sei piuttosto abituato, vero?». Decido di alzarmi e mi avvicino ai due.
«Di sicuro puzza meno di te». Jay si allunga verso di me e mi annusa. «Puzzi, aliena».
Sono di sicuro arrossita. Sento le guance bruciarmi e avverto una cocente vergogna. Cerco di restare indifferente all’umiliazione, ma il sorriso beffardo del ragazzo mi fa quasi salire le lacrime agli occhi. Per tutta risposta stringo la mascella, i denti sfregano gli uni contro gli altri mentre trattengo stoicamente il pianto che minaccia di far trapelare tutta la mia debolezza. Lo so che puzzo. Sono impiastricciata di fluidi alieni fuoriusciti dalle ferite che ho causato agli insetti dello sciame, per non parlare del mio sudore, ma ciò non dà il diritto a questo idiota di sottolinearlo con un’espressione così soddisfatta. Lo odio. Lo odio con ogni cellula del mio corpo.
«Jay, pretendo che tu sia più gentile con Dakota», lo rimprovera Lexion, ma è una magra consolazione.
«Sì, certo». L’ibrido scuote la testa continuando a sorridere. «Piuttosto mi sparo in testa».
«Voto a favore dello sparo in testa», dichiaro incrociando le braccia sul petto in un gesto che vorrei sembrasse indispettito e invece risulta solo un patetico tentativo di proteggermi.
«Ci ho ripensato». Jay riduce gli occhi a fessura mentre mi fissa. «Voglio trascorrere tutto il tempo a tormentarti».
«Siete due stupidi ragazzini!», sbotta Lexion. La sua espressione è furente.
Respiro a fondo per tenere a bada la rabbia. Mi sento tradita e so di non avere nessun diritto di sentirmi in questa maniera, ma non riesco in alcun modo a trattenere l’insulto che mi sale alle labbra. «La stupida non sono io. Non sono io che ho sposato uno sporco ibrido».
Jay reagisce all’istante. «È di mia sorella che stai parlando!». Si avventa su di me e mi stringe il collo. Le sue mani bruciano e le iridi nei suoi occhi sono percorse da tante piccole saette. Sul suo viso i vasi sanguigni e le vene si rivelano, ed è come se fossero percorse da lava incandescente. Lexion lo afferra per le spalle e lo allontana a forza da me. Mi massaggio il collo e tossisco.
«Stavi per uccidermi!», urlo contro Jay.
«Ti giuro che se continui così lo farò, e né Lexion, né Kevan, né chiunque altro, potrà mai fermarmi».
Lexion lo spinge via a distanza di sicurezza. Mi afferra per le braccia. Il suo viso è a pochi centimetri dal mio. «Non azzardarti mai più a definire Emily in quel modo. Tu non sai che persona stupenda sia».
«Basta!». Mi libero dalla sua presa con uno strattone violento e lo allontano da me con uno spintone. Mi tremano le labbra e le lacrime trattenute fino a ora sfuggono al mio controllo. Mi passo i palmi delle mani sulle guance per cancellarle, in un gesto così duro che sembra tirarmi via la pelle. «Basta, per favore». Lui non può avere idea di quanto le sue parole mi feriscano il cuore. La mia mente è chiusa, non può leggerla, altrimenti sarei spacciata, ma non mi sorprendo quando Jay dice: «Ha una cotta per te». E mentre Lexion mi fissa indifferente a quel commento, giuro vendetta all’ibrido. Lexion abbassa lo sguardo per un istante. Deglutisco a vuoto aspettando una reazione che non tarda ad arrivare.
«È la cotta di una ragazzina. Ti passerà presto».
«Non osare sminuire quello che provo. E non sono una ragazzina».
«Onestamente, Dakota… per me lo sei, sei la sorellina minore del mio migliore amico. Non potrai mai essere nulla di più, nemmeno se non ci fosse Emily».
Il suo tono è freddo, duro. Mi chiedo se lo stia facendo apposta per farsi odiare. Be’, se la sua intenzione è questa, ci sta riuscendo benissimo.
«Lo hai sempre saputo, vero?»
«Era difficile non arrivarci. Ho qualche anno più di te e anche più esperienza».
Ingoio l’ennesima umiliazione. Le mie mani si stringono a pugno lungo i fianchi. Sento i denti che stridono e mando giù la bile che mi è risalita in gola.
«Ho il permesso di uscire da qui, capitano?». Rialzo lo sguardo su di lui e lo fisso negli occhi, fiera, senza vacillare, o almeno credo.
«Sì, hai il permesso. Non era intenzione di nessuno tenerti qui per più di un giorno. Avevi solo bisogno di una lezione, ma ricorda, Jay ti starà alle costole ogni secondo, quindi che non ti venga in mente di scappare».
Non mi volto verso l’ibrido, ma lo sento scrocchiare le nocche delle dita con un rumore secco.
«Vi seguo», dico infine.
Lexion ci fa strada nel lungo corridoio. Jay mi sta alle calcagna. Posso quasi sentire il suo fiato sul collo e quando mi sussurra all’orecchio: «Ti è andata male, passerotto», non riesco a trattenermi. Mi volto di scatto e gli pianto un pugno su quel suo odioso grugno. Geme di dolore mentre si copre il naso sanguinante. Lexion mi afferra per un braccio e, mentre mi trascina via, ho il tempo di dire all’ibrido: «A te è andata peggio, stronzo!».