XVII
AURA EMICRANICA
E COSTANTI ALLUCINATORIEb
Che cosa sono questi spettri geometrici? In che modo, e in quale ambito dell’economia del corpo o della mente hanno essi origine?
JOHN HERSCHEL, On Sensorial Vision (1858)
Introduzione
I disturbi visivi associati all’emicrania sono comuni (colpiscono infatti il 10 per cento della popolazione) e spesso sorprendenti, ed è per questo motivo che hanno attirato l’attenzione e la curiosità fin dai tempi più antichi. Ad esempio, nel secondo secolo, Areteo osservava che gli attacchi potevano essere accompagnati o preceduti da «lampi neri o violetti davanti alla vista, oppure tutti mescolati insieme, così da avere l’aspetto di un arcobaleno disteso nel cielo».
Nel tardo Settecento e poi nell’Ottocento comparvero decine di descrizioni accurate (e, soprattutto, di resoconti autobiografici) sia per mano di scienziati (George Airy, gli Herschel, Arago, Brewster, Wheatstone e altri), sia per mano di medici (Hubert Airy, Wollaston, Parry, Fothergill). Si ha la sensazione che a quel tempo ogni scienziato e ogni medico illustre soffrisse di emicrania e che tutti questi personaggi insigni facessero a gara per cercare di descriverla e di darne una spiegazione.
Particolarmente interessanti sono le splendide descrizioni e le illustrazioni lasciateci da Hubert Airy nel 1870, che ritraggono il peculiare fenomeno dell’arco a zigzag, scintillante e in espansione, in precedenza paragonato da Areteo a un arcobaleno:
«Quando arrivava all’acme, sembrava una città fortificata con una cerchia di bastioni sontuosamente colorati ... Tutta la parte interna della fortificazione ribolliva e si increspava, per così dire, in modo meraviglioso, come se si fosse trattato di un denso fluido animato di vita propria».
La comparsa di tali «fortificazioni», brillanti e luminose, come allucinazione o percezione costante in ogni attacco, indusse Airy a pensare che esse costituissero una sorta di «fotografia» di qualche struttura cerebrale ugualmente costante. John Herschel, pur avendo sperimentato lo stesso fenomeno («un disegno costituito da linee diritte ad angolo, molto simile nel suo aspetto generale ... a una fortificazione, con angoli sporgenti e rientranti, bastioni e rivellini»), fu spinto tuttavia a darne una spiegazione più complessa. Il movimento della fortificazione, egli riteneva, era incompatibile con qualunque «possibile regolarità strutturale della retina o del nervo ottico». Era chiaro che le fortificazioni nascevano a un livello superiore, nel cervello o nella mente; ma erano del tutto diverse dalle immagini mentali formate secondo la concezione solita, e cioè attraverso processi quali «... il richiamo di rappresentazioni... di persone o scene» o la visione di «volti umani in macchie casuali o ... immagini nel fuoco». Questo si spiega se consideriamo che le rappresentazioni sono personali, mentre gli spettri geometrici (come egli amava chiamarli) sono astratti; e l’immaginazione, così come viene normalmente concepita, dipende dalle associazioni, dalla memoria, mentre gli spettri geometrici sembrano sorgere ex novo. Ma allora questi spettri, questi disegni, provengono dalla «mente»? Se così fosse, sostiene Herschel, essi dovrebbero scaturire da una regione impersonale e inconscia, da una regione, del cervello o della mente, elementare e «geometrizzante», che «lavori all’interno della nostra organizzazione, [ma] distinta da quella della nostra personalità». Forse, conclude Herschel, rifacendosi per analogia al più naturale modello ottico, «nel sensorio esiste un potere caleidoscopico di formare disegni regolari mediante la combinazione simmetrica di elementi casuali». E con la nozione di questo potere sintetico e combinatorio si conclude la sua discussione.
Quindi, dove Airy pensa a una struttura fissa, Herschel pensa in termini di una attività, di un meccanismo o di un’intelligenza organizzatrice e geometrizzante. Per Airy, le allucinazioni emicraniche consentivano di scrutare, in modo assolutamente diretto o letterale, la struttura del cervello, mentre per Herschel esse permettevano di vedere il modo di operare della mente. Entrambi, comunque, ritenevano che il fenomeno mettesse in luce qualcosa di fondamentale.
Tipi o livelli di allucinazioni
Gowers era affascinato dalle Subjective Visual Sensations («Sensazioni visive soggettive»: così intitolò il suo articolo del 1895), e tornò più volte a trattarne, nel corso della sua lunga vita. Osservando le differenze fra le aure sensoriali dell’emicrania e quelle dell’epilessia, egli faceva notare che nel primo caso l’aura consisteva, quasi esclusivamente, di allucinazioni «elementari»: macchie luminose, figure stellate, fortificazioni e anche forme geometriche più complesse e varie; nell’epilessia, al contrario, la tendenza a vedere forme geometriche era meno pronunciata, mentre era più forte la tendenza ad avere allucinazioni vistose, con eventi e scene complesse. Il più delle volte, secondo Gowers, la scarica epilettica tendeva a «salire» dai centri sensoriali inferiori del cervello a quelli superiori, «dell’ideazione», e le allucinazioni sensoriali – quando si verificavano – erano piuttosto semplici e brevi, concludendosi nel giro di qualche secondo e rappresentando un semplice preludio degli aspetti più complessi dell’aura. Ad esempio, in un paziente epilettico accadeva che «... dapprima il battito cardiaco era solo percepito ... [poi] sembrò diventare un suono udibile ... quindi apparvero davanti agli occhi due luci ... [e infine] comparve la figura di una vecchia avvolta in un mantello rosso nell’atto di offrire qualcosa che aveva lo stesso odore delle fave tonca; [poi il paziente perse coscienza]».
Nell’emicrania, invece, la scarica non aveva un’analoga propensione a salire dai centri inferiori a quelli superiori, ma tendeva piuttosto ad «alloggiare» a livello dei centri inferiori, nelle regioni visive e tattili primarie della corteccia sensoriale. Gowers pensava che questa differenza potesse avere a che fare con il decorso temporale delle scariche: la rapida aura epilettica dura solo qualche secondo, mentre i lenti fenomeni eccitatori di un’aura emicranica possono continuare per mezz’ora, risvegliando un disturbo molto più complesso, sebbene «elementare», e confinato ai centri inferiori.
Molto saltuariamente, anche nell’emicrania si manifestano allucinazioni complesse e «personali»; possono comparire in concomitanza con le sensazioni elementari, oppure, con il passare del tempo, riportarsi a queste, come in un caso che ha descritto Kinnier Wilson:
«Un mio amico vedeva di solito, dapprincipio, una grande stanza con tre alte finestre ad arco e una figura umana, vestita di bianco, che gli voltava le spalle stando seduta o in piedi preso un lungo tavolo spoglio; per anni l’aura fu invariabilmente questa, ma a poco a poco tale scena venne rimpiazzata da una forma più sommaria (cerchi e spirali) che, ancora più tardi, si sviluppava di rado senza essere seguita da mal di testa».
Tuttavia, sono le forme più «sommarie» di aura che dobbiamo prendere in considerazione e suddividere in categorie ulteriori, per la nostra analisi. A questo proposito, è utile distinguere tre livelli di allucinosi geometrica. Il primo non è altro che il «vedere le stelle» (fosfeni) del linguaggio comune; il secondo è il classico spettro in espansione o scotoma, con il suo bordo di fortificazioni; il terzo – meno descritto, ma non meno comune – consiste in disegni geometrici intricati rapidamente mutevoli. I tre livelli hanno la tendenza a presentarsi in questo ordine, con i fosfeni che rappresentano il primo stadio della sequenza:
«[Le allucinazioni] più semplici assumono la forma di una danza di stelle, scintille, lampi o semplici forme geometriche che attraversano il campo visivo. Di solito, i fosfeni di questo tipo sono bianchi, ma possono anche avere colori brillanti: possono essere molte centinaia e sciamano rapidamente attraverso il campo visivo» (si veda il capitolo III, Introduzione).
A volte non c’è nient’altro, oltre a questa danza di fosfeni, sebbene per alcuni pazienti essa possa rappresentare qualcosa di più di un’aura, prolungandosi (assieme ad altri segni di estrema eccitabilità visiva) per tutto il corso dell’intero attacco. Possono presentarsi elaborazioni dei fosfeni, come in un caso descritto da Gowers, nel quale il paziente vedeva «un disco luminoso che saliva, si rompeva in una forma a quadrifoglio e poi scompariva».
Da questi fosfeni alcuni pazienti (non tutti) passano al secondo stadio, quello delle fortificazioni o scotomi scintillanti; altri sperimentano questi fenomeni fin dall’inizio, senza che essi siano preceduti da fosfeni. Il secondo stadio, come mostrano le descrizioni e le illustrazioni di Airy, comincia come una sorta di esplosione, una luce accecante vicino al punto di fissazione, che poi attraversa il campo visivo spostandosi verso l’esterno e assumendo la forma di una gigantesca falce di luna o di un ferro di cavallo. L’eccitazione è molto intensa: il margine di avanzamento di uno scotoma è luminoso come una superficie bianca esposta al sole di mezzogiorno. Il suo passaggio attraverso il campo visivo dura una ventina di minuti; la frequenza di scintillazione è di circa dieci al secondo.
Moltissime descrizioni dell’aura emicranica si limitano a questi due fenomeni, i fosfeni e lo scotoma, tuttavia ce ne sono altri più complessi che sono ugualmente caratteristici:
«... una sorta di agitazione o delirio visivo nel quale predominano motivi reticolati, sfaccettati, a scacchiera; immagini che ricordano mosaici, alveari, tappeti turchi, oppure motivi marezzati ... Queste invenzioni e immagini elementari tendono a presentare una luminosità brillante; sono colorate, molto instabili e soggette ad improvvise trasformazioni caleidoscopiche» (si veda il capitolo III, Allucinazioni sensoriali specifiche: allucinazioni visive).
In questo terzo stadio, il quadro può essere dominato da forme poligonali come quadrati, romboidi, trapezi, triangoli, esagoni, o da forme più complesse a volte contenenti minuscole repliche di se stesse. Agli inizi Herschel non aveva osservato tali elaborazioni, ma esse divennero più evidenti con gli anni, come egli ebbe a scrivere in una lettera ad Airy:
«Da quando vi scrissi l’ultima volta, sono stato visitato molto spesso dal fenomeno ... ed esso ha assunto alcuni aspetti nuovi: ad esempio la comparsa di aree a scacchiera colorata in alcuni angoli delle fortificazioni...
«Ecco che cosa ho trovato annotato in un memorandum dello scorso 22 giugno: “Oggi, le figure di fortificazione sono apparse due volte ... All’interno di esse, c’era anche una specie di motivo a scacchiera rettangolare, e un disegno simile a quelli che si vedono nei tappeti occupava il resto dell’area visiva”» (lettera del 17 novembre 1869, citata in Airy, 1870).
Qui i motivi reticolari e quelli che ricordano i tappeti vengono descritti nel contesto dell’aura emicranica, soprattutto in quanto sorgono, a volte, vicino agli angoli attivi delle fortificazioni.59 Ma ciò non basta a Herschel, che ci ha lasciato affascinanti descrizioni dei complessi disegni geometrici che vide sotto «l’influenza benedetta» del cloroformio (doveva sottoporsi ad un piccolo intervento chirurgico), e cioè «una sorta di bagliore negli occhi, immediatamente seguito dalla comparsa di un disegno bellissimo, assolutamente regolare e simmetrico, costituito dalla intersezione di numerosissimi cerchi, esterni e tangenti rispetto a uno centrale»; e, infine, descrizioni minuziose di diversi attacchi «spontanei», la cui eziologia non viene chiarita:
«Nella grande maggioranza dei casi, il disegno è un motivo a traliccio di losanghe con le diagonali maggiori disposte in senso verticale – ma a volte, tuttavia, sono orizzontali. Occasionalmente, nei punti di intersezione compaiono disegni ad arabesco minuti, precisi e apparentemente complessi ... [a volte] il motivo a grate viene sostituito da uno a rettangoli e in alcuni casi all’interno di essi compare un graticcio più minuto, o una specie di filigrana a rombi ... A volte, ma molto più di rado, compaiono disegni complessi e colorati come quelli di un tappeto, ma non di un tappeto visto di recente, che torna alla memoria: nei due o tre casi in cui ciò è successo, il disegno non rimaneva costante, ma continuava a modificarsi, dando a mala pena il tempo di apprezzarne la simmetria e la regolarità prima di essere sostituito da un altro – e non è un passaggio brusco a qualcosa di completamente diverso, ma piuttosto una variazione del primo motivo».
Più recente la descrizione di Klee (1968):
«La paziente del caso 10 riferisce di vedere triangoli rossi e verdi che sembrano spostarsi verso di lei e intanto si dilatano. Spesso dentro ai triangoli c’è un cerchio brillante. La paziente vede anche figure esagonali con un anello luminoso all’interno, e ha sperimentato anche la vista di uno scintillio rosso e giallo che le ricordava l’effetto di una coperta a quadri sventolata».
Più comunemente, gli elementi poligonali si combinano per formare le «maglie» di ciò che i pazienti paragonano, di volta in volta, a ragnatele, alveari, mosaici, reti, tralicci. Questi ultimi, ancora, sono dotati di una tipica mobilità: nel giro di secondi o di frazioni di secondo, infatti, le maglie cambiano dimensioni e forma (passando da una forma quasi circolare a una romboidale, trapezoidale o di qualunque altro tipo), in modo apparentemente spontaneo e autonomo, non influenzato dal pensiero o dalla volontà.
Se questi tralicci poligonali non sono troppo fitti, sembrano sovrapporsi a ciò che il soggetto sta osservando; come una rete leggera e delicata in continuo cambiamento (ciò è magnificamente illustrato nelle tavole 7a e 7b). Se il reticolo è molto fitto, esso romperà l’immagine in frammenti irregolari, cristallini, dai margini taglienti: questo strano fenomeno, è chiamato a volte «visione a mosaico» (tavola 6). Quando la frammentazione è più grossa, i pazienti possono paragonarne l’effetto a quello di una pittura cubista; quando è molto fine, a quello delle opere di stile pointilliste. Al tipico continuo movimento (cambiamento di scala) si accompagna, spesso, una mescolanza di scale diverse.
Durante un’aura, i pazienti possono inoltre percepire complesse figure arrotondate di tutti i tipi, come quel paziente di Kinnier Wilson che vedeva cerchi e spirali. Anche queste forme tendono a essere mutevoli e instabili, mostrando rapide modulazioni di forma, dimensioni e moto: i cerchi possono ruotare, diventare spirali, una spirale può trasformarsi in un vortice; un grande vortice può infine rompersi in piccole volute o mulinelli. L’intero campo visivo, o metà di esso, può essere agitato da una turbolenza che trascina le forme percepite degli oggetti in una specie di sconvolgimento topologico; i bordi diritti degli oggetti possono incurvarsi, i frammenti di una scena possono essere ingranditi o distorti come una stampa su un foglio di gomma sottoposto a stiramento. In questo caso Klee parla di metamorfopsia, nella quale i contorni degli oggetti vengono alterati e modulati. «In una paziente» egli scrive «le parti rettilinee della macchina alla quale stava lavorando apparentemente si piegarono in onde» (tavole 5a e 5b).
Infine, in questi stati, il mondo percettivo sembra impazzire; ogni oggetto appare dotato di movimento e di vita propri, vistosamente distorto e perturbato. Il paziente può percepire vento, onde, mulinelli e vortici; lo spazio stesso – che di solito è neutro, privo di grana, immobile e invisibile – diventa un campo violento, invadente e deformante.60 Si rimane ancor più affascinati quando si osserva che le alterazioni possono essere confinate a una sola metà del campo visivo, mentre l’altra rimane calma e imperturbata (tavole 2 e 5) o essere addirittura limitate ad una piccola area (o aree) all’interno dell’emicampo. L’arco luminoso dello scotoma scintillante, invece, può sovrapporsi a parte di ciò che si sta osservando e oscurarla, o decorare il bordo di un oggetto con aghi iridescenti, ma non distorce in questo modo lo spazio o il campo percettivo (tavole 1a e 1b). I fenomeni di distorsione si verificano solo a questo terzo livello di disturbo.
I disturbi del terzo livello presentano notevole instabilità: ci sono non solo rapide modulazioni, ma anche fluttuazioni veloci (e apparentemente istantanee): una rotazione si invertirà d’un tratto, senza alcun rallentamento o passaggio intermedio; un motivo a spirali o a losanghe verrà improvvisamente, caleidoscopicamente, sostituito da un altro. E tuttavia, dopo un certo periodo, anche se l’eccitazione sensoriale è intensa e continua, il tumulto dell’aura tende a modificarsi in un quadro complessivo più calmo, organizzato, geometrico. Attraverso il campo visivo possono diffondersi spirali regolari. Reticoli complessi appaiono e riappaiono; a volte sono molteplici e sovrapposti, e danno origine a intrecci e marezzature. A questo punto possono anche apparire forme geometriche di ordine superiore, quasi elaborazioni di reti a maglie poligonali, paragonabili alle conchiglie dei Conidi, ai gusci dei ricci di mare, o alle complesse architetture «alla Buckminster Fuller» dei Radiolari.
Queste reti hanno talvolta aspetto aciculare o cristallino, e possono crescere a vista d’occhio, a volte con improvvisi sussulti, «come cristalli di ghiaccio sul vetro di una finestra» o «piante primitive». Altre volte essi assumono forme dalla simmetria raggiata, simili a fiori o a pigne, che continuano ad aprirsi e a rivelarsi. Oppure ancora «mappe», «paesaggi» e pseudogeografie di grande complessità si generano costantemente davanti e dentro l’occhio, ingrandendosi all’infinito ma sempre uguali a se stesse. Questi disegni «geografici» non rappresentano mai luoghi reali o specifici; sono, per così dire, geografie sintetiche o immaginarie, creazioni del cervello eccitato. Anche queste con il tempo svaniscono, e ogni cosa riprende il suo aspetto normale. L’aura è finita; può esserci o no una cefalea. Nello spazio di 20 minuti avremo comunque assistito alla rivelazione di una complessità così stupefacente (e spesso bellissima), che la mente non potrà mai dimenticarla.
Durante un’emicrania, perfino durante l’aura più tempestosa, la mente che osserva di solito resta sgombra, capace di prestare attenzione, di osservare, di descrivere, di analizzare, di ritrarre e di ricordare. Così, anche se non ce l’aspetteremmo, abbiamo significative pitture che ci fanno vedere a cosa somigliano questi profondi stati aurici; non sono riproduzioni o «fotografie» esatte, ma possono essere considerate ricostruzioni meticolose.61 Inoltre, come chiariremo nel paragrafo seguente, abbiamo anche analisi precise di fenomeni analoghi in molti altri stati neurali.
Costanti allucinatorie
Forme geometriche molto simili a quelle osservate durante l’emicrania possono manifestarsi anche nel corso di varie intossicazioni, come hanno ben documentato Kluver (1928) per il peyote e Ronald K. Siegel (1975, 1977) per l’hascisch. La somiglianza di queste esperienze con quelle emicraniche si vede bene in alcuni dei casi citati da Kluver:
«Immediatamente davanti ai miei occhi [affermava un soggetto dopo un’iniezione di 0,2 g di solfato di mescalina] ecco numerosissimi anelli, che sembrano fatti di filo d’acciaio sottilissimo, tutti rotanti in senso orario; sono disposti in modo concentrico, e quello più interno è infinitamente piccolo, quasi puntiforme, e il più esterno ha diametro di circa un metro e mezzo ... Appena lo osservo, il centro sembra recedere nella profondità della stanza, lasciando immutata la regione periferica dell’immagine; poi il tutto assume la forma di un imbuto profondo fatto da anelli di filo metallico. Ma ecco che i fili si schiacciano, diventano nastri, con una traccia di striatura trasversale ... Si muovono ritmicamente, seguendo una traiettoria ondulata verso l’alto; fanno pensare a un lento, infinito corteo di piccole tessere da mosaico, che risalgono la parete in fila indiana. Improvvisamente l’intero quadro arretra – il centro molto più dei lati – e ora, in un momento, alta sopra di me, si erge una cupola decorata con splendidi mosaici ... La cupola non ha alcun disegno distinguibile. Però ora si stanno sviluppando su di essa alcuni cerchi; diventano angolosi e allungati ... ora sono rombi, ora rettangoli; ed ecco formarsi ogni genere di angolo bizzarro; e figure geometriche si rincorrono selvaggiamente da una parte all’altra della volta».
Vediamo ora una delle esperienze personali di Kluver:
«Mezz’ora dopo una seconda dose di peyote ... La coda di un fagiano (nel centro del campo visivo) si trasforma in una stella gialla luminosa, e la stella in scintille. Una vite lampeggiante in movimento, “centinaia” di viti ... Scintille, simili a conchiglie nell’atto di esplodere, si trasformano in strani fiori ... Forme di colori diversi. Cade una pioggia dorata ... gemme in rotazione attorno a un centro. Poi, con uno strappo, totale assenza di movimento. Forme regolari e irregolari dai colori iridescenti, che mi ricordano gusci di Radiolari, ricci di mare e conchiglie ... Movimenti lenti e maestosi lungo curve dalle forme diverse, e, simultaneamente, movimenti “folli” ... La sensazione che esista il movimento in sé ...».
A partire dalla sua stessa esperienza personale e da descrizioni di intossicazioni da mescalina che sono sorprendentemente simili, pur appartenendo a contesti culturali diversissimi, Kluver isolò certi universali dell’esperienza allucinatoria, o, come egli le chiama, certe «costanti di forma». Così scrive: «Una di queste costanti di forma, viene sempre indicata con termini quali grata, reticolo, opera di traforo, filigrana, disegno ad alveare o a scacchiera. Strettamente affine è la figura della ragnatela». Una seconda costante di forma, egli continua, «viene descritta con termini come tunnel, imbuto, vicolo, cono o vaso. Una terza costante di forma è la spirale». In questo caso, come in quello di altre costanti di forma, l’allucinazione può essere sperimentata, oltre che con la vista, anche con il tatto, come nel seguente brano riportato da Kluver:
«... il movimento attivo di una striscia forma una spirale luminosa, rapidamente rotante, che si muove avanti e indietro nel campo visivo. Allo stesso tempo... una delle mie gambe assume una forma a spirale ... La spirale luminosa e quella tattile si fondono, psicologicamente ... si ha l’impressione di un’unità somatica e ottica».
Fusioni simili sono state descritte a proposito delle allucinazioni reticolari, che possono non solo essere viste, non solo proiettate sulla superficie corporea, ma possono frammentarla e sostituirla, al punto che il corpo stesso viene percepito come un mosaico o un reticolo. Ancora Kluver riporta una descrizione:
«Il soggetto afferma che vedeva di fronte a sé un traforo; che le sue braccia, le mani e le dita si trasformarono in un traforo; e che egli stesso divenne infine identico a quel traforo».
Questa simultaneità di allucinazioni complesse sia nella sfera visiva, sia in quella tattile, non è insolita nell’aura emicranica: nella recente esposizione, tenutasi all’Exploratorium di San Francisco e intitolata «Mosaic Visions», diverse pitture raffiguravano tali reticoli nell’atto di diventare somatici o visivi, percepiti come «reti» o «ragnatele» sul corpo. Fatto importante, questo ci mostra che non si tratta solo di fenomeni visivi, ma di costanti di forma sensoriali; o, per dirla in termini più generali, di forme di organizzazione, presumibilmente fisiologiche, che possono manifestarsi a qualunque senso dotato di estensione spaziale.
Alcuni anni dopo aver completato la stesura di Mescal, Kluver tornò a quello che gli sembrava un argomento di grande importanza; nel 1942 egli scrisse un saggio di ampia portata sull’argomento (Mechanisms of Hallucination), nel quale esplorò la «geometrizzazione» espressa in queste costanti di forma; la tendenza non si ferma alla produzione delle forme principali (reticolo, spirale, ecc.), ma prosegue con la moltiplicazione e la ripetizione di tali motivi su scala sempre più piccola, a volte anche microscopica:
«La tendenza alla geometrizzazione espressa in queste costanti di forma è anche evidente nei due seguenti aspetti: a) le forme vengono frequentemente ripetute, combinate o elaborate in mosaici e disegni ornamentali di vario tipo; b) gli elementi costituivi hanno contorni di forma geometrica».
Questa «struttura ornamentale geometrica», come la chiama Kluver, nel corso di un’intossicazione o di un’aura può ampliarsi di molti ordini di grandezza, e nel far ciò si riproduce all’infinito (in quanto è composta da strutture autosomiglianti che differiscono, per lo più, per la scala).
Proprio di questa geometrizzazione senza fine – di questa geometrizzazione all’infinito – parlava Herschel quando si riferiva ai propri spettri geometrici; ed è questa che Louis Wain, l’artistica psicotico, riproduce nel suo gatto «a mosaico» (fig. 15c). (Ed è questa geometrizzazione senza fine, questa autosomiglianza, che distingue la generazione di frattali). Questa trama, geometrizzata all’infinito, di forme caleidoscopiche (indotta dall’hascisch) è stata mirabilmente illustrata, nel 1975, da Siegel e West nel loro libro Hallucinations (fig. 20).
Fig 20. Configurazione caleidoscopica geometrizzante. (Per cortesia di Ronald K. Siegel).
Kluver richiama l’attenzione sul fatto che allucinazioni e costanti di forma simili possono comparire in molte altre condizioni: in certe allucinazioni ipnagogiche, in fenomeni endoculari,62 nell’ipoglicemia da insulina, nei deliri febbrili, nell’ischemia cerebrale, in alcune epilessie, in seguito all’esposizione a stimoli visivi rotanti o lampeggianti. Né, d’altra parte, egli tralascia l’emicrania. (L’elenco di Kluver si potrebbe ampliare: un importante stimolo «negativo» alle allucinazioni, studiato nei particolari da Hebb, è la deprivazione sensoriale, nella quale, in modo caratteristico, il cervello deprivato comincia a generare semplici allucinazioni come «punti, linee o semplici disegni geometrici»; passa poi a «qualcosa che ricorda i motivi delle carte da parati»; successivamente a «oggetti isolati, senza uno sfondo»; infine perviene a «scene integrate, di solito contenenti distorsioni simili ai sogni»).63
Eziologie e cause tanto diverse e numerose, ma capaci di produrre gli stessi fenomeni; nella corteccia sensoriale, per Kluver, deve essere all’opera qualche via comune, qualche «meccanismo fondamentale». Le costanti di forma, invariabili nonostante abbiano origini estremamente diverse, devono essere costanti della struttura o dell’organizzazione corticale; devono dirci qualcosa di profondo sul modo di operare della corteccia sensoriale, sulla natura propria della percezione e dell’elaborazione sensoriale.
Il lavoro di Kluver, negli anni Venti, era un rapporto e una rassegna, per raccogliere e analizzare vari resoconti sull’azione dei farmaci. Negli anni Venti, l’uso della mescalina era raro e aveva carattere esoterico; quello dell’hascisch e degli psichedelici, invece, divenne epidemico negli anni Sessanta. Era quindi tempo per un’altra analisi, più impegnativa; la effettuò, al principio degli anni Settanta, Ronald Siegel (della University of California, Los Angeles). L’approccio di Siegel fu sperimentale e quantitativo, laddove quello di Kluver era stato più episodico e qualitativo. Siegel si rese conto quasi subito che i suoi soggetti dediti all’hascisch (e alla dimetil-triptamina) andavano incontro ad allucinazioni essenzialmente simili a quelle descritte da Kluver; perciò si spinse oltre, e non analizzò solamente costanti di forma (peraltro, con nove categorie, contro le quattro di Kluver), ma anche costanti di movimento (concentrico, rotatorio, pulsante, ecc.). Ne emerse un quadro più chiaro del flusso delle allucinazioni e delle alterazioni percettive nell’esperienza, e della sua organizzazione, complessa e dinamica, nello spazio e nel tempo.
È importante notare l’instabilità e le fluttuazioni rese esplicite dall’analisi di Siegel: l’uso dell’espressione «costanti di forma» da parte di Kluver dava un’impressione fuorviante di stabilità e invarianza nel tempo. In realtà, non siamo di fronte a uno stato di equilibrio stabile, ma piuttosto a uno stato altamente instabile, assai lontano dall’equilibrio, in continua riorganizzazione. A questo stadio dell’allucinosi c’è un movimento incessante, non solo concentrico, rotatorio e pulsante – certe forme di oscillazione sono quasi invariabili – ma che presenta anche improvvise fluttuazioni e brusche sostituzioni di un disegno o di un’immagine con un’altra – il fenomeno che Herschel, un secolo prima, aveva definito «caleidoscopico». Queste modificazioni caleidoscopiche, secondo le stime di Siegel, possono verificarsi al ritmo di 10 al secondo. Siegel, inoltre, estende la propria analisi a livelli superiori rispetto a quelli toccati da Kluver, e si occupa non solo degli schemi spazio-temporali elementari dell’allucinosi – astratti, indipendenti dall’esperienza, liberi dal contesto – ma si interessa anche della formazione di immagini nei suoi soggetti.
Kluver aveva lasciato intendere (questo affiora anche nelle rare esperienze emicraniche in cui la visione di motivi geometrici sfocia nell’allucinazione con scene e immagini) che i motivi geometrici possono formare uno «schermo» o una «matrice» sulla quale – o dentro la quale – possono sorgere vere immagini – spesso minuscole – di persone e luoghi entro gli interstizi o le maglie del reticolo.64 Le ricerche di Siegel lo confermarono, e le sue pubblicazioni (1975, 1977) contengono magnifiche illustrazioni di tale fenomeno. Come tutte le immagini, anche queste hanno sempre un carattere personale; mostrano la particolarità dell’immaginazione e della memoria dell’individuo e devono essere costruite a un livello più alto di quello della corteccia sensoriale primaria.
E però il superiore non può esistere senza l’inferiore. È noto che, sebbene non sia in grado di generare autonomamente immagini, la corteccia visiva primaria rappresenta un prerequisito per la loro formazione: infatti, pazienti con danni estesi a livello delle aree visive primarie, o con ablazione di tali aree, non solo sono ciechi, ma anche incapaci di evocare immagini visive interiori. Il decorso delle allucinazioni, nelle intossicazioni come nell’emicrania, allude a quel tipo di attività, di «pre-elaborazione», che potrebbe essere necessaria nella corteccia sensoriale per prepararla a forme di immaginazione più complesse. È chiaro che in queste condizioni l’attività corticale assumeva una forma grossolanamente patologica: essa diveniva infatti palese, allucinatoria, libera da vincoli, autonoma. Tuttavia essa potrebbe gettar luce anche sui meccanismi normali: ed è proprio questo, in realtà, il modo di usare la patologia.
Tav. 1a. Classica figura di fortificazione a zig-zag: la sua brillantezza, dal vero, è abbacinante come quella di una superficie bianca illuminata dal sole di mezzogiorno, e il bordo è in continua scintillazione.
Tav. 1b. Raffigurazione di una fortificazione emicranica, con i caratteristici angoli e linee, sia sottili, sia grossolani.
Tav. 2a. In questa natura morta con rose, metà dell’immagine è rimpiazzata da motivi emicranici a zig-zag, stelle, mulinelli – questi ultimi spesso concentrici e spiraleggianti. L’altra metà dell’immagine è normale.
Tav. 2b. Metà di questa immagine è sostituita da un’allucinazione geometrica formata essenzialmente da una raggiera di bande colorate e da una spirale (elica). Sopra si vede una frammentazione con margini netti, taglienti. Il lato destro dell’immagine è normale.
Tav. 3a. In questo dipinto di un paziente emicranico, motivi a spirale attraversano il campo visivo.
Tav. 3b. Una allucinazione «a tunnel» durante un’intossicazione da hascisch. Forme simili possono essere viste nell’aura emicranica.
Tav. 4a. Un paziente emicranico ha rappresentato se stesso nell’atto di vomitare, in un mondo che è tutta un’esplosione di reticoli, mulinelli e fortificazioni a zig-zag a riempire il campo visivo. L’ombra scura piegata su di lui potrebbe essere un’immagine fantasma.
Tav. 4b. «Tutto l’interno della fortificazione, per così dire, ribolliva e ondeggiava in modo mirabile, come se si fosse trattato di un liquido denso e animato di vita propria».
Tav. 5a. Percezione topologica erronea, o allucinazione, nella quale gli oggetti presenti in una metà del campo visivo sono distorti in linee curve. Questa paziente soffriva di un disturbo dinamico, con la percezione di forze violente tali da piegare la forma degli oggetti.
Tav. 5b. Oltre alle consuete fortificazioni emicraniche e a bizzarre inclinazioni, questa pittura illustra un’allucinazione tattile a spirale a livello delle gambe.
Tav. 6. Esempio affascinante di visione a mosaico: un intero volto è sostituito da piani e poligoni disgiunti, con bordi netti, come in un dipinto cubista.
Tavv. 7a, 7b. Questi due dipinti mostrano reticoli rettangolari e curvilinei, con scale spaziali diverse, che rimpiazzano parzialmente l’immagine. Nell’allucinazione reale, i reticoli mutano con grande rapidità.
Tav. 8. Simulazione al calcolatore di aura emicranica su una rete neurale: a-c) onda solitaria che si diffonde (simulazione dello scotoma); d) motivo assiale simmetrico (simulazione di costanti a reticolo o a rete); e) forma d’onda concentrica (simulazione di costanti a tunnel o ad imbuto); f) «ondulazioni» (corrispondenti a costanti di forma radiali o a spirale).
Le opere qui riprodotte sono state nella maggior parte eseguite da pittori non professionisti, per raffigurare i fenomeni visivi da essi sperimentati nelle aure emicraniche. Sono tentativi di riproduzione precisa, senza intenzioni simboliche. (Per cortesia della British Migraine Assn. e della Boehringer Ingelheim Ltd., salvo le tavole 3b e 8, fornite da Ronald K. Siegel e da Ralph M. Siegel).
I meccanismi dell’allucinazione
Le allucinazioni emicraniche più elementari, come abbiamo detto, sono i fosfeni, semplici luci quasi prive di struttura, in movimento nel campo visivo. Fosfeni praticamente identici a questi possono essere prontamente evocati mediante stimolazione elettrica diretta della corteccia visiva, sia a livello dell’area primaria (area 17 di Brodmann), sia a livello della corteccia associativa visiva circostante. Nei suoi studi, Penfield scriveva che tale stimolazione evocava
«... luci lampeggianti, luci danzanti, colori, luci brillanti, stelle, ruote, dischi blu, verdi e rossi, luci arancioni e blu, sfere colorate turbinanti...».
Sembra probabile, pertanto, che le emicranie comincino con un’eccitazione endogena di questo tipo a carico della corteccia visiva (di questo abbiamo prove fisiologiche dirette, fornite dall’elettroencefalografia e dalla misurazione dei potenziali visivi evocati relativi a tale stimolazione durante le emicranie). Tuttavia, la stimolazione della corteccia visiva primaria non può indurre altro che semplici lampi e fosfeni. Non si osservano mai forme più complesse né forme che evolvano in un arco di tempo significativo. Gli stessi Penfield e Rasmussen notano che «i frastagliati profili a zigzag delle immagini emicraniche non ci sono stati mai descritti». E Kluver aggiunge che anche le costanti di forma osservate nell’intossicazione da mescalina non sono evocabili mediante stimolazione del lobo occipitale. Entrambi questi fenomeni, è chiaro, richiedono una spiegazione diversa, lasciandoci intravedere un disturbo corticale più complesso e di più lunga durata.
Qual è, allora, la natura di questo peculiare processo corticale irradiante e prolungato? Quasi un secolo fa, Gowers scriveva:
«Il processo è assai misterioso ... C’è una particolare forma di attività che sembra diffondersi come le increspature sulla superficie di uno stagno sul quale sia stato gettato un sasso ... [e] le regioni che sono state attraversate dalle increspature rimangono in una condizione che richiama un disturbo molecolare delle strutture».
Quaranta anni più tardi, Lashley compiva uno studio minuzioso sui propri scotomi emicranici, disegnandone i contorni e descrivendone il modo di allargarsi quando attraversavano il suo campo visivo. Egli osservò che, durante l’espansione, la forma dello scotoma rimaneva costante, come se alla base del fenomeno ci fosse stato un qualche processo sempre uguale, uniforme e centrifugo. A quel tempo, negli ambienti scientifici si respirava un’atmosfera caratterizzata, in campo neurologico, da un’autentica passione per la localizzazione topografica dei fenomeni corticali; si vedeva il cervello come un mosaico di infiniti, minuscoli centri. Lashley, al contrario, aveva a lungo riflettuto, e concluso che dovevano esistere altri processi, di natura più globale, in grado di integrare l’attività di vaste aree di cervello (forse distanti). In un suo precedente articolo (1931), aveva svolto ampie considerazioni immaginando una «diffusione» – come un’onda – degli impulsi nervosi attraverso una rete cellulare omogenea: una diffusione che presentava analogie con quella del movimento di un’onda fisica o con la diffusione chimica, e che, analogamente a questi fenomeni, produceva complesse, tipiche figure di interferenza.
Nella diffusione dei propri scotomi emicranici Lashley vide un esempio di tale eccitazione, simile a un’onda, che si propagava attraverso un foglio di materia corticale – la propagazione aveva, in questo caso, un andamento lento e uniforme. Riportando su un grafico la velocità di espansione dei propri scotomi, e confrontandola con le dimensioni note della corteccia striata, Lashley dedusse in seguito che l’onda di eccitazione – dal momento della sua prima apparizione vicino alla macula – doveva poi diffondersi attraverso la corteccia a una velocità di circa 3 millimetri al minuto.
Quando Gowers aveva descritto, nel 1904, le «increspature» sullo specchio d’acqua della corteccia cerebrale, si era trattato solo di una metafora. E quando Lashley aveva ragionato sui movimenti ondulatori, nel suo articolo del 1931, si era curato di premettere che, parlando di corteccia cerebrale, concetti quali «azione di massa» e azione ondulatoria non potevano che apparire «altamente metaforici», aggiungendo, tuttavia, che «ciò nonostante, i fatti richiedono che si ipotizzi qualcosa di simile». Nel 1941, in seguito all’osservazione di fenomeni sperimentati su di sé, egli poteva essere molto più sicuro della reale esistenza di tali movimenti d’onda: le «increspature» di Gowers erano diventate qualcosa di più di una semplice metafora, erano diventate un dato di fatto quantitativo, misurabile.
Ma che dire dell’organizzazione di quest’onda e delle sue modalità di attivazione? Come interpretare le fortificazioni? Lashley osservò che queste, quando si presentavano, mantenevano il loro disegno caratteristico in ogni settore del campo visivo: erano in genere più fini e meno complicate nei quadranti superiori, più grossolane e intricate in quelli inferiori. Le fortificazioni non aumentavano di dimensioni con l’espandersi dello scotoma, ma con il crescere dell’area attivata se ne aggiungevano di nuove. Le scintillazioni «sembrano passare velocemente attraverso l’immagine in direzione del fronte d’avanzamento e vengono costantemente rinnovate sul margine interno, come nell’illusione di movimento data da una spirale rotante». La loro frequenza di scintillazione (circa 10 al secondo) e il loro disegno (linee e angoli) sembravano gli stessi per chiunque ne avesse avuto esperienza.
Lashley osservava che tale attività ripetitiva si manifestava anche in altre condizioni patologiche (citava ad esempio gli studi di Kluver sul peyote) e sembrava pertanto rappresentare non solo un processo emicranico specifico, ma un universale della reattività e dell’attività corticale. Tali motivi ripetitivi, egli concludeva, «dovrebbero essere stati previsti in base alla libera diffusione dell’eccitazione attraverso un campo neurale uniforme (con la disposizione strutturale dei circuiti riverberanti descritti da Lorente de Nó) ... la presenza di motivi ripetuti rappresenta il tipo di organizzazione dell’attività corticale, quale conseguenza di proprietà intrinseche della sua struttura architettonica».
Lashley fu molto criticato, e spesso trascurato, da parte dai suoi contemporanei, i quali non riuscivano a capirne né l’insoddisfazione verso i princìpi accettati della localizzazione, né il «fantastico» – così appariva loro – richiamo ad «azione di massa» e «onde». Oggi noi possiamo meglio apprezzare la portata e la preveggenza del suo pensiero; è triste che egli non sia vissuto abbastanza per vedere alcune delle conferme empiriche e delle applicazioni del suo ingegno. Infatti, poco tempo dopo la pubblicazione, nel 1941, dell’articolo di Lashley, Leão poté dimostrare che, in seguito a danni corticali, nella corteccia degli animali si poteva osservare una depressione irradiante (spreading depression) a diffusione lenta, che presentava esattamente le stesse proprietà e la stessa velocità di propagazione che Lashley aveva calcolato per i propri scotomi. In tempi molto recenti, avvalendosi delle nuove tecniche di magnetoencefalografia, è stato confermato che quest’onda di eccitazione e inibizione, che si diffonde lentamente attraverso la corteccia striata, può in effetti essere visualizzata durante il corso delle aure emicraniche (Welch, 1990).
Sulle strutture architettoniche capaci di organizzare questa eccitazione nessuna ipotesi poté essere avanzata prima degli anni Sessanta, quando Hubel e Wiesel riuscirono a dimostrare l’esistenza, nella corteccia visiva, di una grande varietà di «rilevatori di caratteristiche» tipicamente organizzati in piccole «colonne». Questo consentì di affrontare in modo diverso il problema delle fortificazioni emicraniche: nel 1971 lo fece Richards, usando (come avevano fatto prima di lui Lashley, Herschel e Airy) i propri scotomi come campo d’osservazione.
Ciò che davvero colpisce sulle fortificazioni – e che emerge in ogni loro descrizione, da quelle di Herschel a quelle di Lashley – è l’orientamento delle parti costituenti («linee diritte ad angolo ... con angoli sporgenti e rientranti, bastioni e rivellini»); ciò indica che i neuroni corticali attivati o presentano essi stessi tale orientamento (nel caso di corrispondenza letterale fra schemi corticali e immagini allucinatorie), oppure sono sensibili a orientamenti diversi. La seconda ipotesi è quella che Huber e Wiesel furono in grado di dimostrare nel 1963. Tuttavia, la dimensione delle colonne dei rilevatori di orientamento descritte da Hubel e Wiesel è di 0,2 mm, mentre le dimensioni delle dentellature calcolate da Richards corrispondevano a una distanza corticale di circa 1 mm. Quindi, secondo Richards, l’onda in avanzamento non attiva colonne singole, ma gruppi che rispondono allo stesso orientamento. Perciò (come indica Lance) un’onda di eccitazione, in avanzamento sulla corteccia, potrebbe attivare un gruppo di colonne dopo l’altro e, inducendone la stimolazione elettrica diretta, farebbe «vedere» al paziente barre di luce ad angoli diversi, che brillano via via che viene stimolata una colonna dopo l’altra. «In tal modo,» scrive Richards «la fortificazione emicranica è un eccellente esperimento naturale: le onde di disturbo in avanzamento lasciano tracce continue attraverso la corteccia e in meno di mezz’ora rivelano parte del segreto della sua organizzazione neuronica».
Scrivendo allora, nel 1970, sentivo che la teoria di Lashley-Richards, pur richiedendo forse qualche correzione nei dettagli, in linea di principio avrebbe potuto spiegare adeguatamente gli scotomi e le fortificazioni. Ma nessun modello di questo tipo (che implicasse, cioè, strutture citoarchitettoniche attivate da un’onda eccitatoria) mi sembrava applicabile al terzo livello dell’allucinosi emicranica individuato da Kluver: quello dell’apparizione di mosaici e reticoli in continua modulazione di scala e di forma; di forme curve come coni e spirali; e di forme geometriche di ordine superiore, come i motivi dei tappeti turchi e i gusci di Radiolari, tendenti a trasformazioni improvvise e caleidoscopiche. «È evidente» scrivevo nella prima edizione di Emicrania, nel 1970, «che a questo punto dobbiamo postulare qualche forma di schematizzazione funzionale al di sopra degli schemi citoarchitettonici anatomicamente fissati».
Avanzai allora diverse teorie, tra cui una basata su unità percettive («unità gnosiche») capaci di cambiare dimensioni, ma nessuna mi soddisfaceva. D’altra parte, nel 1970 non si poteva dire di più, non si poteva andare oltre l’intuizione che servissero una teoria o un principio completamente nuovi; erano ancora di là da venire i progressi empirici e concettuali necessari al successivo passo avanti. Occorreva una più profonda comprensione dell’anatomia funzionale e della fisiologia della corteccia visiva; bisognava sviluppare una teoria matematica per spiegare la propagazione di onde complesse in un mezzo eccitabile; non da ultimo, bisognava escogitare un modo per simulare con modelli opportuni grandi popolazioni di neuroni interconnessi. E bisognava forse anche escogitare un modo radicalmente nuovo di osservare i sistemi complessi e la loro auto-organizzazione nel tempo: cioè l’appena nata scienza dei sistemi dinamici non lineari, o (più in breve) la teoria del caos.
Sistemi capaci di auto-organizzazione
Quello che ci stava di fronte era un problema di morfogenesi: un problema riguardante l’origine e lo sviluppo di forme biologiche, anche se di tipo geometrico piuttosto semplice. L’interesse per tale argomento (sia a questo livello elementare, sia a livelli molto più complessi) risale ad Aristotele; per lo zoologo D’Arcy W. Thompson (nel quale si fondevano in modo singolare interessi umanistici, matematici e biologici) costituì una vera e propria passione, sfociata nell’opera On Growth and Form (1942), che è una lunga meditazione sul tema. Chi soffre di emicrania, o chiunque abbia un’esperienza personale delle costanti di Kluver, non può aprire On Growth and Form, non può guardarne le illustrazioni di Radiolari ed Eliozoi, di stelle marine e ricci di mare, di pigne e girasoli, o di spirali, reticoli, tunnel e simmetrie raggiate, senza riconoscerle con un’esclamazione di sorpresa.
Avevo ben presente tutto questo quando, nel 1968, abbozzai la stesura di una quinta parte di Emicrania; tuttavia, mi sembrava che l’impostazione esclusivamente topologica adottata da D’Arcy Thompson, pur potendo spiegare molti passaggi di una forma in un’altra – ad esempio, quello da un reticolo piano a uno curvo (si veda la tavola 7) – non potesse invece rendere conto dei cambiamenti improvvisi e globali, delle fluttuazioni e dei mutamenti caleidoscopici, propri dell’aura emicranica. Per questo motivo abbandonai il progetto della quinta parte.
Per spiegare quei fenomeni, occorreva un’impostazione diversa, che non era disponibile né ai tempi in cui scriveva D’Arcy Thompson, né quando io scrivevo Emicrania. Il primo a intravederla, sebbene in chiave del tutto teorica, fu il matematico Alan Turing; in uno dei suoi ultimi articoli, egli esaminò i problemi della morfogenesi e la possibilità che trovassero un modello – o un inizio – in un’onda: un’onda simile alle configurazioni di concentrazioni chimiche che potevano generarsi, come egli mostrò, in corrispondenza di un punto critico di un sistema chimico complesso in un mezzo di diffusione (Turing, 1952).
Qualche anno dopo, Belousov e, in modo indipendente, Žabotinskij, studiando miscele complesse di solfato di cerio, acido malonico e bromuro di potassio disciolti in acido solforico, avrebbero scoperto un sistema cosiffatto. Se questi reagenti vengono disposti in uno strato sottile, senza venire agitati, compaiono spontaneamente, e si accrescono, diverse forme d’onda geometriche: onde circolari che si espandono concentricamente da un centro fisso, spirali che ruotano verso l’esterno, in senso orario o antiorario, e così via. Agitando i reagenti, non si osserva più la formazione di questi motivi spaziali, ma si manifestano schemi temporali altrettanto notevoli; ad esempio, improvvisi cambiamenti o oscillazioni: l’intera miscela diventa blu per un minuto, poi rossa, poi ancora blu, con tale regolarità da costituire (secondo l’espressione di Prigogine) un orologio chimico.
Di sistemi chimici così, capaci di generare le più complesse geometrie nello spazio e nel tempo, ne sono stati scoperti o inventati molti altri; sempre però sono presenti certe forme di base, affini alle costanti allucinatorie di Kluver, o anche agli elementi che si combinavano nel caleidoscopio sensoriale di Herschel. Ad esempio, Muller e collaboratori (1989) di recente hanno fatto rilevare:
«Per quanto complessi possano essere i modelli chimici osservati ... è evidente che se ne può isolare un certo numero di tipi di struttura di base ... Questi sono punti singoli, punti di ramificazione, spesso con una geometria triangolare, nastri dai bordi netti, strisce diffuse, cerchi, chiazze con gradi diversi di regolarità, spirali ed eliche. Dislocazioni, poligoni o bersagli sono già composizioni di tali elementi ... Spesso queste sono realizzate rispettando scale spaziali diverse».
Questo spontaneo organizzarsi della materia in quadri complessi poteva sembrare – ed effettivamente sembrò – semplicemente una stranezza, uno scherzo di natura, finché Ilya Prigogine si rese conto dell’importanza letteralmente cosmica (o cosmogenetica) di tali sistemi, risolvendo in un sol colpo un dilemma scientifico e filosofico che aveva messo a dura prova i pensatori fin dal tempo dei Greci.
Aristotele considerava la produzione delle forme organiche come conseguenza di uno scopo, di un progetto; Democrito vi vedeva il risultato di una giustapposizione casuale di atomi. Da più di 2000 anni, idealismo e materialismo si fronteggiano, ed è chiaro che nessuno dei due sistemi filosofici può dare una spiegazione della natura (né di alcunché). Per interpretare i suoi spettri geometrici, Herschel oscillava fra le due posizioni, vedendoli ora come espressione di «un pensiero, un’intelligenza», ora come il risultato di un dispositivo puramente meccanico: il caleidoscopio, allora assai in voga nei salotti vittoriani. Era chiaro che nessuna delle due spiegazioni teleologiche lo soddisfaceva – e, in realtà, nessuna delle due avrebbe funzionato.65 Bisogna invocare un principio completamente diverso, un principio di affioramento o di evoluzione, che non implichi alcun modello o progetto preesistente, ma piuttosto uno spontaneo emergere di ordine e di forma.
Prigogine chiama questo nuovo principio «auto-organizzazione» e lo vede come un potere creativo universale presente in natura, che crea ordine, complessità, che crea la «freccia del tempo»; una auto-organizzazione spontanea che emerge nella natura a ogni livello, da quello cosmico a quello chimico-fisico, biologico, culturale. Esso diventa così un modo interamente nuovo di vedere la natura – o Dio.
Il principio dell’auto-organizzazione, della complessità che emerge in modo spontaneo, apre la nostra mente a una nuova, affascinante concezione della natura: una prospettiva creativa o evoluzionistica al posto (o quale complemento) di quella meccanicistica dell’universo o di quella della «morte termica». In realtà, sistemi che si auto-organizzano rappresentano la regola, in natura; ciò non toglie che, paradossalmente, siano stati «scoperti» solo trent’anni fa, e solo dopo anni, con lo sviluppo delle teorie del caos, ne sia stata data un’analisi matematica completa. Oggi vediamo che, come ricorda Prigogine, la natura «pensa» in termini di equazioni differenziali non integrabili, «pensa» in termini di caos e di auto-organizzazione, «pensa» in termini di sistemi dinamici non lineari. («L’universo» afferma Prigogine «è come un gigantesco cervello»). Questi sistemi sono di solito come sospesi in una condizione lontana dall’equilibrio, che conferisce loro sensibilità, criticità, capacità di modificarsi in modo radicale e imprevedibile, di generare e di fare evolvere forme e strutture nuove. Essi presentano «comportamenti universali», come li chiamano i teorici del caos; ma per quanto siano molto diffusi, nella vita quotidiana ci rimangono per la maggior parte nascosti, non visti, insospettati.
Il cosmologo Paul Davies scrive:
«Per tre secoli la scienza è stata dominata dai paradigmi della meccanica newtoniana e della termodinamica, che presentano l’universo come una macchina sterile o come uno stato di degenerazione e decadimento. Ora, invece, c’è il nuovo paradigma dell’universo creativo, che riconosce il carattere progressivo e innovativo dei processi fisici» (Davies, 1988).
Se ci chiediamo come mai questa nuova concezione non sia emersa prima nella scienza (in un certo senso, essa era sempre stata lì da intuire), troveremo una risposta parziale nel carattere ideale della scienza: essa impiega modelli ideali e semplificati che di rado corrispondono alla complessità del reale. La dinamica classica si fonda su semplificazioni del genere: si analizza il movimento di un pendolo ignorando l’attrito, o il movimento di due corpi celesti ignorando tutti gli altri. Questi sistemi semplificati o ideali si trovano in una condizione di eterno equilibrio; non ci sono perturbazioni, non c’è alcuna «freccia del tempo».
Ma in generale i sistemi naturali non sono chiusi, bensì aperti, nei confronti dell’ambiente; essi sono parte del mondo, con tutte le sue vicende. Questa apertura all’ambiente causa fluttuazioni imprevedibili che spingono il sistema sempre più lontano dall’equilibrio. Si arriva presto a un punto critico – questi sono i punti singolari ai quali si riferisce J.C. Maxwell (si veda il capitolo VII, Post scriptum) – e qui si verifica un brusco cambiamento, una biforcazione, in corrispondenza della quale la fluttuazione, ora enormemente amplificata, conduce il sistema in una nuova fase, che può a sua volta pervenire a un nuovo punto di biforcazione. Si ha così una rapida divergenza, si aprono innumerevoli vie alternative. Nei sistemi classici, chiusi, le fluttuazioni vengono rapidamente smorzate e soppresse; nei sistemi reali, aperti, è piuttosto vero il contrario e le fluttuazioni diventano il «via», il «motore» dell’intero processo. Prigogine parla di «ordine attraverso le fluttuazioni», che vede come un fondamentale principio organizzatore della natura.
Ma non c’è stato il solo Prigogine al timone di queste nuove scoperte, di questa nuova corrente di pensiero; vi sono state molte scoperte indipendenti ma concomitanti in decine di campi non collegati, e solo oggi vediamo come siano tutte connesse, al livello più profondo. Ad esempio, un complesso sistema aperto che ha sempre frustrato i tentativi di predizione a lungo termine è quello meteorologico. Fino ai primi anni Sessanta si pensava che se avessimo potuto disporre di informazioni e potenza di calcolo sufficienti saremmo stati in grado di compiere accurate previsioni a lungo termine. Edward Lorenz ha mostrato che non era così: i sistemi in questione si comportano in modo non lineare e le equazioni differenziali alle derivate parziali che li rappresentano non convergono a un’unica soluzione, ma divergono e si biforcano in innumerevoli alternative.
Ne è nato un campo di studi del tutto nuovo – quello della teoria del caos, o della dinamica non lineare. E la teoria del caos, come sempre di più scopriamo, ci offre una chiave fondamentale per comprendere le complessità e le molteplici irreversibilità della natura.66
Un’altra impostazione è stata quella di Benoit Mandelbrot, con la sua scoperta delle periodicità e delle dimensioni non intere («frattali»). Nel suo The Fractal Geometry of Nature, Mandelbrot presenta una serie di figure, ottenute al calcolatore, che somigliano in maniera prodigiosa a nuvole, alberi, fiocchi di neve, catene montuose, e così via: un intero mondo di paesaggi «naturali» la cui scala varia dal livello geologico a quello microscopico. È caratteristico delle forme naturali il fatto di esistere simultaneamente su molte scale diverse mantenendosi simili: di essere, cioè, isomorfiche, a qualunque scala. Il ben noto «insieme di Mandelbrot», ingrandito o analizzato al calcolatore, dà luogo a una successione infinita di figure autosomiglianti che, per così dire, erano presenti fin dall’inizio. Siamo vicini alle «strutture geometriche ornamentali» di cui parla Kluver, che presentano una successione potenzialmente infinita di autosomiglianze, su scala sempre più piccola. Questi fenomeni sono incomprensibili secondo la tradizionale visione di un mondo euclideo «normale», ma appaiono perfettamente naturali, anzi inevitabili, una volta accettata l’idea di dimensioni frazionarie o frattali.
Negli ultimi vent’anni, quindi, si è messa in moto una nuova rivoluzione, che ha riunito i concetti e le scoperte di molti campi e discipline, fino al punto che oggi cominciamo a vedere «comportamenti universali» (l’espressione è di Feigenbaum) operanti a tutti i livelli, da quello cosmico fino a quello neurale (Feigenbaum, 1980). L’enorme complessità di tali comportamenti universali confuta chi ritiene che la realtà debba essere «semplice»: per illustrare o per dare soluzione formale a questi comportamenti universali è stato necessario non solo sviluppare nuove branche della matematica, ma anche costruire supercalcolatori di potenza enorme.
Un nuovo modello dell’aura emicranica
Questi sviluppi ci hanno stimolato a riesaminare il problema delle forme (complesse e in continua evoluzione) dell’aura, e, più in generale, quello delle costanti di forma allucinatorie, secondo una prospettiva impensabile quando questo libro fu scritto per la prima volta. Altrettanto importanti sono state le nuove possibilità di simulazione: modelli di reti di neuroni dotate di almeno alcune delle proprietà della corteccia reale, di cui si può rendere visibile, mediante supercalcolatore, il comportamento in seguito a stimolazione. Quello che stiamo cercando di fare, in altre parole, è vedere se, una volta portate in condizioni critiche, lontane dall’equilibrio, tali reti generino realmente motivi spaziali e temporali simili a quelli dell’aura.
Un modello è di per sé una semplificazione; perciò non possiamo dotare il nostro modello di tutto ciò di cui dispone la vera corteccia: cento milioni di cellule, di venti tipi diversi, disposte su sei strati, con un’infinità di connessioni, intrinseche ed estrinseche. Tuttavia, possiamo simulare alcune realtà; soprattutto, quella del tempo (Siegel, 1991). I neuroni della corteccia hanno potenziali d’azione che risultano da un complesso movimento di ioni dentro e fuori la cellula, in funzione del tempo. Questi potenziali d’azione costituiscono la base stessa della funzione neurale, in quanto sono gli unici mezzi di comunicazione fra neuroni. I potenziali d’azione non si trasmettono istantaneamente, attraverso una rete, ma impiegano un certo tempo per propagarsi lungo l’assone e attraverso le sinapsi. Il fattore tempo è significativo: le aure emicraniche insorgono nel tempo, si evolvono nel tempo e si sviluppano nel tempo; esse non sono, cioè, eventi spaziali indipendenti dal tempo. Il nostro modello, costituito solo da 400 «neuroni» (disposti secondo un quadrato di 20 × 20), e di un unico «tipo cellulare» (eccitatorio), è dotato ciò nondimeno delle seguenti proprietà temporali che la fisiologia ha mostrato essere cruciali: potenziali d’azione, ritardi di propagazione (cioè il tempo impiegato dal potenziale d’azione per passare da un neurone al successivo) e sinapsi, a costituire una «anatomia funzionale», una connettività che assomiglia a quella della vera corteccia. È possibile variare tutti questi parametri, come pure lo stimolo.
Quando si analizza questa rete con un piccolo supercalcolatore, si osservano tre tipi di comportamento completamente diversi, che dipendono dai parametri usati. Un singolo stimolo focalizzato può indurre la propagazione di onde che si dipartono dal punto di stimolazione finché (al modo «tutto-o-niente» proprio dei potenziali d’azione) esse d’improvviso collassano, cessano di esistere. Nella loro fase iniziale, possiamo considerare queste onde analoghe ai fosfeni, mentre nella successiva diffusione verso l’esterno, attraverso la rete nervosa, sono analoghe alle onde corticali a diffusione simmetrica che sono alla base dell’espansione uniforme degli scotomi. Va notato che tali onde, nel nostro modello, sono create dall’eccitazione e dalla propagazione dei potenziali d’azione; esse non sono irradiazioni o diffusioni puramente fisiche.
Con parametri diversi, l’onda primaria di attività può produrre onde secondarie e terziarie (ciascun neurone eccitato potrebbe essere fonte di tali onde supplementari) le quali a loro volta possono entrare in collisione, dando luogo, in modo apparentemente casuale, a interferenze costruttive e distruttive, producendo così una massa di eccitazione in fermento. Il fenomeno può essere considerato analogo al disturbo violento e tumultuoso che agita le prime, turbolente fasi del terzo stadio, prima che esso si organizzi in reticoli e in altre forme.
Con parametri ancora diversi, avviene un fenomeno significativo e del tutto nuovo: si presentano disegni geometrici complessi che poi, in modo spontaneo, si trasformano, nel tempo e nello spazio. Alcuni, relativamente semplici, corrispondono ai reticoli, alle forme radiali e alle spirali osservabili nelle emicranie; altri invece fanno pensare alle forme «ornamentali» più elaborate che sono state descritte da Kluver.
È possibile provocare i tre comportamenti, distinti e distintivi, della nostra rete facendo variare un singolo parametro, ad esempio la forza delle connessioni sinaptiche. Ma i disegni non dipendono solo dalla forza sinaptica: li si può ottenere anche variando il ritardo di trasmissione. È come se il sistema stesso disponesse solo di una certa gamma di comportamenti che sono gli «universali» del sistema – il risultato, cioè, di una «auto-organizzazione» spontanea della rete. In questo caso è come se venisse eccitato un campo, un intero campo di neuroni, che si organizza e si comporta come un tutto coerente; come se tale campo, una volta eccitato, imboccasse una propria traiettoria indipendente, determinata solo dalle proprietà globali e dalle connessioni del campo. La nostra ipotesi è che anche i neuroni della corteccia visiva primaria formino un «campo» come questo (un «campo» nel senso di Lashley), tale che integrazioni ed eventi neuronici complessi vi siano determinati non tanto da considerazioni locali di microanatomia – nuclei, colonne e centri – quanto piuttosto da considerazioni globali di azioni d’onda e di interazioni in un medium neuronico enormemente complesso, spontaneamente attivo e dotato di vita propria.
Simili paradigmi globali di campo sono stati utilissimi per farci comprendere i ritmi cardiaci, la «costituzione» elettrica del cuore, con le sue geometrie spaziali e temporali, e soprattutto la patologia di tali attivazioni, quando i modi normali di auto-organizzazione e di caos possono essere enormemente amplificati, assumendo un carattere distruttivo. È corretto aspettarsi che essi si rivelino non meno utili nella comprensione dell’attività cerebrale, tanto più che, quando affrontiamo schemi di attività complessi, in evoluzione o in rapido cambiamento, molti dei meccanismi «classici» si dimostrano limitati, anzi del tutto inutili. Questa limitazione è ben evidente ai livelli «superiori»; ma lo è anche a livello della corteccia visiva primaria, dove vengono generati e si trasformano gli spettri geometrici elementari dell’emicrania e altre condizioni.
A conclusioni analoghe giunsero Ermentrout e Cowan, già impegnati in ricerche sul sistema visivo, quando vennero a conoscenza del lavoro di Kluver sulle costanti di forma allucinatorie; e infatti il loro lavoro del 1979 fu dedicato proprio a Kluver. Ermentrout e Cowan si chiedevano anche se un’analisi della propagazione d’onda nella corteccia visiva primaria potesse spiegare le costanti di forma osservate nell’emicrania e in altre condizioni. Il loro modello non era troppo realistico (la propagazione dell’onda era istantanea e non si teneva conto del tempo), e però, quando arrivarono ad analizzare le equazioni scritte con la matematica dei gruppi e la teoria delle biforcazioni, scoprirono anch’essi che le soluzioni dovevano essere cercate in stati stazionari a doppia periodicità, ad esempio «griglie» e «ondulazioni» spaziali che, proiettate sulla retina, sarebbero state percepite come le costanti di forma descritte da Kluver.67 C’è convergenza, quindi, fra i loro risultati e i nostri, fra i risultati di un’analisi matematica formale e una simulazione compiuta su calcolatore.
È sempre possibile che si tratti di una mera coincidenza, e cioe che stiamo ottenendo disegni geometrici di tipo «corticale» in un modo che non ha niente a che fare con il reale funzionamento della corteccia – imitazioni che non costruiscono un vero modello. Ma sembra poco probabile che il cervello non si avvalga di un meccanismo così semplice e naturale (un meccanismo, in realtà, che in natura è universale) e che per ottenere lo stesso risultato impieghi qualche altro meccanismo necessariamente più complicato e scomodo.
Così, siamo tornati al punto di partenza, quasi un secolo e mezzo dopo che Herschel, meditando sui suoi spettri geometrici, si chiedeva se non ci fosse «un potere caleidoscopico nel sensorio». Ora, sul finire del ventesimo secolo, possiamo imitare questo caleidoscopio sensoriale lasciando che una rete neurale capace di auto-organizzazione crei autonomamente le proprie forme: possiamo immaginare che nel cervello vi sia un «caleidoscopio» spontaneo e dinamico. La nostra rete modello – e il cervello stesso – creano queste geometrie a partire da tempo ed energia. Sherrington parlava del cervello come di un «telaio incantato» capace di tessere motivi cangianti, evanescenti, ma sempre pregni di significato. Ma egli si riferiva a pensieri e immagini, mentre noi ci occupiamo di qualcosa che è al tempo stesso più elementare ed essenziale – cioè della creazione, della rappresentazione, di disegni e forme pure.
Non si pensi che questa attività auto-organizzatrice, i complessi schemi dell’ordine e del caos, si manifestino solo in condizioni patologiche. Aumentano le indicazioni secondo cui i processi caotici e capaci di auto-organizzarsi sono eventi normali nella corteccia, e anzi, in realtà, un prerequisito per la percezione e l’elaborazione sensoriale, dalle quali sono anche vincolati. Ne è segno chiarissimo il fatto che emergano in forma grossolanamente esagerata quando non c’è alcun input sensoriale che li vincoli (si veda il capitolo XVII, Costanti allucinatorie). Tuttavia i processi del caos e dell’auto-organizzazione nella corteccia sono normalmente locali, microscopici e perciò invisibili; solo in condizioni patologiche essi diventano coerenti, sincroni, globali, palesi – prendono cioè il sopravvento e si introducono nella consapevolezza come allucinazioni strutturate. Il nostro modello era concepito per mostrare l’attività normale, i normali processi di auto-organizzazione; solo quando alterammo certi parametri, essi divennero patologici – il nostro modello ebbe, per così dire, un’emicrania.
Negli ultimi vent’anni, il nostro modo di vedere la Natura è cambiato: siamo arrivati a riconoscere i processi dinamici non lineari, i processi caotici e capaci di auto-organizzazione in una vasta gamma di sistemi naturali, e a capire che essi hanno una parte essenziale nell’evoluzione dell’universo. Tuttavia, non è necessario spingersi a osservare l’aggregazione dei Mixomiceti o le orbite di Plutone per cercarne qualche esempio: un laboratorio naturale, un microcosmo, si trova nella nostra stessa testa. In definitiva, è proprio in questo senso che l’emicrania è affascinante, poiché essa ci mostra, nella forma di un’esposizione allucinatoria, non solo un’attività elementare della corteccia cerebrale, ma un intero sistema che si auto-organizza, un comportamento universale in atto. Essa ci mostra non solo i segreti dell’organizzazione neuronica, ma il cuore creativo della natura stessa.