INTRODUZIONE
Abbiamo finora preso in esame le possibili forme dell’emicrania e le condizioni nelle quali essa può insorgere. Liveing, Gowers e Jackson, un secolo fa, già potevano disporre di queste informazioni (almeno in gran parte) e le usarono, soprattutto Liveing, come fonte di sorprendenti intuizioni non solo sulla natura dell’emicrania, ma anche sull’organizzazione dell’attività cerebrale.
In molti campi della medicina, questo metodo classico (cioè la raccolta e l’uso di dati clinici) è stato messo in ombra o addirittura sostituito da metodi sperimentali sempre più perfezionati. L’esperimento scompone, analizza e semplifica, sforzandosi di ottenere condizioni uniformi in ciascuna prova, con l’esclusione di tutte le variabili tranne quella che si è scelto di osservare. L’applicazione di tali metodi allo studio e alla comprensione dell’emicrania ha avuto meno successo che in altri campi; ciò nondimeno, è ancora diffusa l’aspettativa che la «causa» dell’emicrania stia per essere scoperta, da un momento all’altro, grazie al sopravvenire di qualche rivoluzionaria «conquista» scientifica.
Il desiderio di individuare con certezza un singolo fattore nella patogenesi delle emicranie ha portato molti ricercatori a estrapolare i dati in modo irragionevole, asserendo che l’emicrania fosse dovuta a un disturbo acuto della microcircolazione (Sicuteri), oppure a un deficit d’ossigeno in un’area strategica del cervello (Wolff), o ancora a un’alterazione del livello della serotonina ematica, e così via.
La ricerca di un unico fattore causale – il fattore X – avrebbe probabilità di successo se l’evento studiato avesse forma fissa e determinanti fissi. Ma l’essenza stessa dell’emicrania, come abbiamo visto, sta nella varietà delle forme che essa può assumere e nella varietà di circostanze in cui può manifestarsi. Perciò, sebbene un tipo di emicrania possa essere associata a un fattore X e un altro a un fattore Y, sembra impossibile, a prima vista, che tutti gli attacchi possano avere la stessa eziologia.
Ma adesso ci troveremo di fronte un problema molto più importante, che nasce dal fatto che l’emicrania non può essere considerata semplicemente come un evento che si verifica nel sistema nervoso in modo spontaneo e senza motivo: l’attacco non può essere considerato separatamente dalle sue cause e dai suoi effetti. Un’esposizione in termini fisiologici non può illuminarci sulle cause dell’emicrania o sulla sua importanza come reazione, o come fattore del comportamento. Perciò già nella stessa formulazione di una domanda come: «Qual è la causa dell’emicrania?» è implicita una confusione logica. E questo perché abbiamo bisogno non di un’unica spiegazione o di un unico tipo di spiegazione, ma di diversi tipi, ciascuno con un’area di pertinenza sua propria. Due sono le domande da porsi: perché l’emicrania assume le forme che assume? Perché si manifesta quando si manifesta? Non è possibile fondere questi due interrogativi, e lo comprese molto chiaramente Liveing il quale, dopo aver discusso le teorie vascolari sull’emicrania (che erano di moda anche ai suoi tempi), osservava:
«Nessuno pensa che una condizione di iperemia o di ischemia dei centri nervosi sia l’antecedente necessario di un attacco di starnuti, di riso, di vomito o di terrore, né immagina che tale ipotesi possa aiutarci a comprenderlo».
Queste sono tutte reazioni a qualcosa, e perciò non possono essere spiegate senza fare riferimento a questo qualcosa. Lo stesso vale per l’emicrania – anzi, per tutte le emicranie, anche per quelle che insorgono periodicamente e senza relazione apparente con circostanze esterne, poiché anche queste devono essere interpretate in rapporto a qualche evento o a qualche ciclo interno dell’organismo. Inoltre l’emicrania non è semplicemente un processo fisiologico; per quanto riguarda il paziente, essa è un complesso di sintomi, e perciò deve essere descritta in termini esperienziali.
Così, per spiegare l’emicrania abbiamo bisogno di tre diverse terminologie, di tre universi di trattazione. In primo luogo, dobbiamo descriverla come un processo o un evento a livello del sistema nervoso, e per questa descrizione si useranno i termini della neurofisiologia (o termini quanto più possibile vicini a questi); in secondo luogo, dobbiamo descrivere l’emicrania come una reazione, e in questo caso useremo i termini della riflessologia o delle scienze del comportamento; infine, dobbiamo descrivere l’emicrania in quanto essa si intromette nel mondo dell’esperienza come un particolare complesso di sintomi al quale viene attribuito di solito un particolare valore affettivo o simbolico: per quest’ultima descrizione useremo termini psicologici o esistenziali.
È impossibile dire alcunché di adeguato sulla natura dell’emicrania senza considerare il fenomeno allo stesso tempo come un processo, una reazione e un’esperienza. Possiamo osservare, per analogia, che le stesse considerazioni si applicano (essendo insorta la stessa confusione) alla comprensione di un evento psicofisiologico come la psicosi. Anch’essa richiede una descrizione a questi tre livelli. Asserire che (tutte) le psicosi siano «dovute» a disturbi del metabolismo aminergico (o a deficienza di tarasseina, o di vitamine, ecc.) non è solo sbagliato – e lo si può dimostrare – ma anche privo di senso, proprio come lo sono asserzioni simili riferite alla genesi dell’emicrania. Anche se fosse possibile dare una descrizione neurofisiologica esatta, ad esempio, di una psicosi catatonica, essa non ci direbbe nulla sulle sue cause e sui contenuti. Per la maggior parte, infatti, le psicosi spontanee riguardano qualcosa e sono in risposta a qualcosa, e queste cause e questi contenuti emotivi non possono essere descritti in termini fisici.
I capitoli X e XI saranno dedicati a considerazioni sulle basi fisiologiche dell’emicrania; dapprima discuteremo prove sperimentali e teorie recenti sul meccanismo dell’emicrania (cap. X); seguirà una discussione generale sulla struttura dell’emicrania, basata sia su prove cliniche, sia su prove sperimentali. I capitoli XII e XIII tratteranno gli aspetti strategici dell’emicrania, espressi dapprima in termini comportamentali, e poi in termini psicodinamici.