VI
PREDISPOSIZIONE ALL’EMICRANIA
Siamo abituati a pensare che ogni particolare risposta sia appresa oppure innata, e questo può essere fonte di confusione quando si considerano tali argomenti ... La reazione è ereditaria o acquisita? Né l’uno né l’altro: rispondere sarebbe molto fuorviante, sia per l’una sia per l’altra alternativa.
D.O. HEBB
Quando si dice che X è epilettico, si fanno due asserzioni: che egli va soggetto ad attacchi, e che ha la tendenza ad averne – caratteristica, questa, che si ritiene innata, e può essere definita predisposizione, diatesi o costituzione epilettica. Si può anche osservare che questa predisposizione non è solamente innata, ma è anche immutabile («epilettico una volta, epilettico sempre») e in quanto tale lo condanna a un’esistenza di precauzioni particolari, limitazioni (ad esempio, della guida di un autoveicolo), assunzione di anticonvulsivanti, ecc. Un correlato di tali assunti è rappresentato dall’identificazione di «segni» patognomonici di una costituzione epilettica: le cosiddette stigmate epilettiche.
Queste affermazioni, storicamente molto antiche, sono confermate solo parzialmente da dati accettabili; quel po’ di verità che esse contengono è gonfio di pregiudizi emotivi. Spesso si sentono asserzioni simili riguardo alla «predisposizione schizofrenica»; anch’esse devono essere sottoposte – e lo sono – alla più critica e minuziosa delle indagini. I due esempi possono introdurre l’argomento della predisposizione all’emicrania che, se da un lato è scevro degli accenti peggiorativi che caratterizzano le opinioni correnti sulla predisposizione all’epilessia o alla schizofrenia, dall’altro rivelerà implicazioni anche più complesse.
Il concetto di predisposizione all’emicrania si fonda su tre tipi di dati: in primo luogo, e soprattutto, su quelli provenienti da studi sull’incidenza famigliare del disturbo; in via complementare, su dati ottenuti in studi concepiti per rivelare i segni patognomonici della diatesi e per scoprire «fattori» o «tratti» di fondo nelle popolazioni emicraniche e preemicraniche. Il presupposto essenziale, naturalmente, è che l’emicrania sia una «malattia» chiaramente definita, come lo è, per esempio, l’anemia falciforme, che insorge nei portatori del carattere specifico – e soltanto in essi – quando sono presenti certe altre condizioni.
L’incidenza complessiva dell’emicrania
Il mal di testa è il malessere più comune che i pazienti lamentano con il medico, e l’emicrania è il più comune disturbo funzionale dal quale essi sono afflitti. I dati disponibili riguardano solo il mal di testa emicranico (emicrania con cefalea): queste stime variano dal 5 al 20 per cento, come incidenza sulla popolazione generale. Balyeat (1933) trovò un’incidenza del 9,3 per cento su una popolazione di circa 3000 persone da lui esaminata. Lennox e Lennox (1960) osservarono che il mal di testa emicranico colpiva il 6,3 per cento degli studenti di medicina, delle infermiere e dei pazienti non epilettici sottoposti alla loro indagine. L’incidenza calcolata da Fitz-Hugh (1940) ammonta al 22 per cento. Nella monografia di Wolff sono riportate e discusse molte altre stime quantitative.
È necessario fare un’osservazione generale, a proposito di tutte queste percentuali di incidenza. Le condizioni dell’indagine escludono molte categorie di pazienti e di emicranie: ad esempio i soggetti con attacchi poco frequenti e presto dimenticati, quelli con attacchi leggeri e non diagnosticati, e – non ultimi – i molti che soffrono di equivalenti emicranici o di aure isolate e che per questo motivo non vengono presi in considerazione nello stesso ambito. Si può sostenere che una consistente minoranza della popolazione, forse un decimo di essa, sia afflitta da emicranie cefalalgiche del tutto comuni e facilmente riconoscibili. È lecito sospettare che siano molto più numerosi coloro che hanno emicranie leggere o occasionali, equivalenti emicranici o aure emicraniche. Certe forme di emicrania, invece, sembrerebbero molto più rare. È stato affermato che l’incidenza dell’emicrania classica non supera l’1 per cento della popolazione complessiva (si tratta probabilmente di una sottostima). La nevralgia emicranica è ancora più rara; le forme di emicrania emiplegica e oftalmoplegica sono poi rarissime, ed è poco probabile che il medico generico ne incontri mai, in tutto l’arco della sua professione.
Ricorrenza famigliare ed ereditarietà dell’emicrania
Si sostiene da molto tempo, e con buone ragioni, che l’emicrania ha una forte tendenza a ricorrere in alcune famiglie; innumerevoli studi clinici e statistici stanno a confermarlo. Lennox e Lennox (1941), passando in rassegna una vasta popolazione di pazienti emicranici (con mal di testa), osservò che il 61 per cento di essi riferiva di un genitore affetto da emicrania, mentre solo l’11 per cento di un gruppo di controllo riportava un’analoga ricorrenza famigliare. Friedman ha calcolato che il 65 per cento dei pazienti emicranici di una clinica specialistica riferisce un’anamnesi famigliare di emicrania. Il fatto che l’incidenza famigliare sia frequente è incontestabile; è l’interpretazione di tale fatto che è ben lontana dall’essere chiara.
Il più ambizioso e accurato di tali studi statistici comparativi è quello di Goodell, Lewontin e Wolff (1954). Gli autori scelsero per il loro studio 119 pazienti con «gravi cefalee ricorrenti da molti anni», sottoponendoli tutti a una serie di quesiti molto precisi sull’incidenza di cefalee emicraniche in altri membri delle loro famiglie (ai fini di quest’indagine, non si fece alcuna distinzione fra emicrania classica ed emicrania comune). Mettendo a confronto la prole di queste famiglie con emicrania ricorrente, si trovò che questa colpiva il 28,6 per cento di coloro che non avevano alcuno dei due genitori affetti, il 44,2 per cento di coloro che avevano un solo genitore affetto, e il 69,2 per cento di quanti avevano entrambi i genitori emicranici. Goodell e collaboratori, confrontando l’incidenza osservata con quella attesa negli 832 figli considerati, concludevano che «c’è meno di una probabilità su mille che tali deviazioni [dall’incidenza attesa] possano verificarsi qualora fosse esatta l’ipotesi che non c’è ereditarietà ... È ragionevole, inoltre, ritenere che l’emicrania sia determinata da un gene recessivo la cui penetranza sia all’incirca del 70 per cento».
Nonostante lo studio sia molto accurato ed elegante, questa conclusione va considerata fortemente sospetta, perfino assurda. Ci sono almeno tre assunti sottintesi che sono assai dubbi: il primo riguarda il campionamento, il secondo l’omogeneità della popolazione studiata e il terzo – il più importante – l’interpretazione necessariamente ambigua di qualsiasi studio di questo tipo. In primo luogo, furono studiati solo pazienti con cefalee emicraniche gravi e ricorrenti da lungo tempo; anche i quesiti riguardanti i congiunti emicranici erano formulati secondo gli stessi criteri. Ma allora, se si fossero verificati attacchi di mal di testa emicranico leggeri, dimenticati, o non frequenti, o se invece si fosse trattato di equivalenti emicranici o di aure, le stime di incidenza sarebbero potute essere molto diverse da quelle ottenute. In secondo luogo, si ipotizzava, senza alcuna giustificazione, che la popolazione esaminata fosse geneticamente omogenea riguardo all’emicrania, e cioè che tutte le emicranie considerate (classiche, comuni o di qualsiasi altro tipo) risultassero, ai fini dello studio, equivalenti da un punto di vista genetico. In terzo luogo, e questo è il punto cruciale, l’incidenza famigliare non implica necessariamente ereditarietà. Una famiglia non rappresenta solo una fonte di geni, ma anche una circostanza ambientale di enorme potenza.28 Goodell e collaboratori, pur non ignorando questa riserva, non la presero sul serio. E invece deve essere tenuta in gran conto, alla luce delle prove (saranno discusse più avanti) che dimostrano come le reazioni dell’emicrania siano prontamente adottate, apprese ed emulate all’interno dell’ambiente famigliare. Uno studio genetico rigoroso avrebbe dovuto considerare la prole di genitori emicranici allevata da genitori adottivi non emicranici o, teoricamente, l’incidenza dell’emicrania in gemelli identici separati dalla nascita. Nessun metodo che sia meno rigoroso è adeguato a discriminare gli effetti genetici da quelli ambientali (nature versus nurture) in una reazione come l’emicrania, complessa e determinata da molteplici fattori. Senza tali controlli, gli studi statistici sull’emicrania (così come quelli sulla schizofrenia) non possono pretendere di andare oltre la quantificazione di ciò che già sappiamo, e cioè che l’emicrania tende a essere più comune in determinate famiglie. Non possono stabilire alcuna base genetica, e meno che mai una base tanto elementare (e intrinsecamente improbabile) come quella rappresentata da un singolo gene a penetranza parziale.
Se si riducessero le ambiguità del campionamento e della variabilità dei sintomi e si studiassero forme particolarmente rare di emicrania, si potrebbe stabilire in modo più plausibile la probabilità di una base ereditaria. Ad esempio, l’emicrania classica è all’incirca dieci volte più rara dell’emicrania comune e tuttavia tende a mostrare una ricorrenza famigliare più vistosa. L’emicrania emiplegica (che è difficile dimenticare o trascurare) tende a restare «tipica», è straordinariamente rara nella popolazione complessiva e si riscontra quasi sempre nel contesto di un ampio interessamento famigliare (Whitty, 1953).29
La questione non è meramente accademica, poiché se un paziente si ritiene «condannato» a un’esistenza tormentata da emicranie a causa di un quadro famigliare sfavorevole, e se anche il suo medico assume questo atteggiamento fatalistico, le probabilità di riuscita di un qualsiasi intervento terapeutico sono molto ridotte. Lennox e Lennox, che di solito sono assai ragionevoli, scrivono: «Individui emicranici dovrebbero pensarci due volte prima di sposare qualcuno con un’anamnesi personale o famigliare positiva per questo disturbo». Ma, visto il grado di incertezza concernente i fattori genetici e l’enorme importanza di quelli ambientali, questa affermazione è poco meno che mostruosa.
Segni della costituzione emicranica
Per comodità di trattazione, raggrupperemo qui gli altri due motivi sui quali si fonda la nozione di una specifica predisposizione all’emicrania: l’osservazione clinica di «segni» e l’osservazione sperimentale di «fattori» che vengono ritenuti indicatori diagnostici di soggetti sofferenti di emicrania. La nostra trattazione qui si limiterà a poco più che un accenno, poiché ci riserviamo di esporre più avanti (capitoli X e XI) una critica minuziosa del lavoro sperimentale attualmente compiuto sull’argomento.
Con il termine «segno» intendiamo, in questo contesto, una caratteristica clinica fortemente correlata con la tendenza all’emicrania e che perciò si riscontri con frequenza eccezionale nella maggior parte dei pazienti emicranici e dei loro congiunti. Alcuni di tali segni saranno considerati come parte integrante della costituzione emicranica, mentre altri potranno avere un legame fortuito ma straordinariamente comune con la tendenza all’emicrania. In tutti i casi, l’ipotesi implicita è che alla base dell’emicrania ci sia un fondamento genetico unitario – Wolff parla di un «fattore di stock». Così, volendo citare un esempio particolarmente stravagante di un presunto carattere emicranico:
«Erik Ask-Upmark riporta un’altra dimostrazione dell’esistenza del fattore di stock nell’emicrania [scrive Wolff]. Egli fece l’interessante osservazione che su 36 pazienti soggetti ad attacchi di mal di testa emicranico, 9 avevano i capezzoli retratti, mentre in un gruppo di 65 individui non emicranici c’era un solo caso di capezzoli retratti».
La maggioranza di tali osservazioni, o teorie, prevede un tipo costituzionale, con caratteristiche fisiche e psicologiche particolari, straordinariamente soggetto all’emicrania. Tourraine e Draper (1934) parlano, ad esempio, di un «tipo costituzionale caratteristico», in cui il cranio presenta caratteri acromegalici, l’intelligenza è notevole, ma l’assetto emotivo ritardato. Alvarez (1959) distingue le seguenti caratteristiche principali delle donne emicraniche: «... una corporatura minuta, curata, con seni sodi. Di solito queste donne vestono bene e si muovono velocemente. Il 95 per cento di esse ha un intelletto svelto e vivace ed esercita un grande fascino nelle relazioni sociali ... Circa il 28 per cento di esse ha i capelli rossi e molte sfoggiano chiome lussureggianti... Queste donne invecchiano bene».
Greppi (1955) dichiara di percepire uno «sfondo» emicranico, una costellazione psicofisiologica particolare, tipica e molto comune fra le persone affette da emicrania:
«... C’è una certa delicatezza, un certo garbo ... ci sono segni che indicano lo sviluppo di un’intelligenza e di una sensibilità precoci, di autocontrollo e di temperamento critico».
Queste citazioni esemplificano la concezione «romantica» della costituzione emicranica. Il fatto che così tanti autori, dall’antichità ai giorni nostri, si siano preoccupati di presentare un quadro adulatorio del paziente emicranico, ha un interesse non soltanto storico. Forse questa tendenza può essere collegata al fatto che coloro che scrivono sull’emicrania sono per la maggior parte emicranici essi stessi. In ogni caso, tali descrizioni si contrappongono a quelle tradizionali degli epilettici e della costituzione epilettica, con le minacciose implicazioni di «tara» ereditaria e di «stigmate» costituzionali.
Spesso si afferma che l’emicrania è caratteristica di una «personalità emicranica» particolare, per solito ritratta come ossessiva, intransigente, energica, perfezionista, e così via. Si può avere una misura dell’adeguatezza di tale concezione considerando la straordinaria varietà dello sfondo psicologico riscontrato clinicamente nei pazienti emicranici (si veda il capitolo IX e, per una discussione critica, il capitolo XIII).
Alcuni autori hanno dichiarato che i pazienti emicranici possono essere classificati in una o nell’altra delle quattro categorie psicofisiologiche tradizionali (si possono usare sia i termini ippocratici sia quelli pavloviani); ma basta averne conosciuti anche pochissimi per smentire questa supposizione. C’è tuttavia qualche prova del fatto che diverse forme di emicrania possono essere più comuni in particolari tipi costituzionali, come aveva ben compreso Emil du Bois-Reymond un secolo fa. Ad esempio, pazienti soggetti a emicranie «rosse» tendono a essere manifestamente eccitabili e ad avvampare per la collera (secondo l’espressione di Pavlov, sono «tipi fortemente eccitabili» o «simpaticotonici»), mentre gli altri pazienti soggetti a emicranie «bianche», di solito pallidi, tendono a svenire e a reagire chiudendosi in se stessi di fronte a stimoli emotivi («tipi inibitori deboli» o «vagotonici»). Tuttavia, nessuna asserzione generale è applicabile ai pazienti emicranici nella loro totalità.
Altri ricercatori hanno suggerito che la tendenza all’emicrania possa essere denotata da diversi parametri fisiologici: una particolare sensibilità ai movimenti passivi, al calore, all’esaurimento, alle sostanze depressive (quali l’alcol e la reserpina); esagerati riflessi cardiovascolari (ad esempio una sensibilità patologica del seno carotideo); «disordini della microcircolazione» a livello anatomico o funzionale; la prevalenza di disritmie cerebrali a onda lenta; una varietà di disfunzioni metaboliche e biochimiche. Allo stadio attuale si può solo affermare che nessuno di tali fattori si è dimostrato di importanza critica per i pazienti emicranici intesi come un gruppo unico, anche se alcuni di questi parametri possono mostrare variazioni coerenti in particolari sottogruppi di pazienti.
Diatesi emicranica e altri disturbi
L’idea che possano esistere altri disturbi correlati e collegati alla diatesi o predisposizione emicranica, e la ricerca di essi, non sono altro che logiche estensioni delle considerazioni già fatte; tuttavia diversi punti specifici richiedono un esame separato. Si tratta di un campo ricco di incertezze e di controversie, in parte su questioni di fatto, in parte su questioni di interpretazione (interpretazione delle correlazioni statistiche, per lo più) e non da ultimo su questioni di nomenclatura e di semantica.
Afferma Critchley (1963), la nostra massima autorità sull’argomento:
«... nella prima infanzia, una costituzione emicranica può manifestarsi come eczema infantile; poco più avanti, come chinetosi. A un’età leggermente più adulta, può presentarsi come attacchi ricorrenti di vomito ... Riguardo alla probabilità che le vittime dell’emicrania sviluppino ulcere peptiche, disturbi coronarici, artrite reumatoide o colite, la mia impressione da clinico ... è che esista una sorta di correlazione negativa. Un’emicrania che duri tutta la vita sembra conferire quasi una protezione contro il sopravvenire di altri disturbi da stress».
Graham e Wolff, d’altro canto, vedono i soggetti emicranici come eccezionalmente suscettibili a una varietà di altri disturbi. Così Graham (1952), classificando le malattie di 46 pazienti emicranici, scoprì che più della metà soffriva di mal di viaggio, più di un terzo di manifestazioni allergiche, e un terzo di un’ulteriore forma di cefalea da contrazione muscolare. Inoltre, le loro storie famigliari mostravano un grave carico di epilessia (10 per cento dei casi), allergie (30 per cento), artrite (29 per cento), ipertensione (60 per cento), apoplessia (40 per cento) ed «esaurimenti nervosi» (34 per cento).
Affrontando l’argomento dall’estremo opposto, Wolff (1963) riscontrò segnalazioni di cefalea (vascolare o da contrazione muscolare) soprattutto in pazienti affetti da disturbi della funzionalità cardiaca, ipertensione essenziale, rinite vasomotoria, infezioni delle vie respiratorie superiori, febbre da fieno e asma, disfunzioni gastrointestinali (ulcera duodenale e simili) e «psiconevrosi».
Come è possibile accordare l’immagine di Critchley, secondo cui i pazienti emicranici sono quasi privilegiati, potendo godere di una sorta di immunità dagli altri disturbi, con la visione pessimistica di Graham e Wolff, che li raffigurano sommersi da innumerevoli malanni? E se tali correlazioni – positive e negative – esistono, come interpretarle?
Prima di intraprendere una qualsiasi discussione generale, è bene esaminare più da vicino gli elementi disponibili che indicano una correlazione dell’emicrania con altri disturbi specifici. C’è accordo generale sul fatto che fra i pazienti emicranici è eccezionalmente comune un’anamnesi positiva per chinetosi, vomito o attacchi biliari ciclici nei primi anni di vita, anche se tali tendenze e tali attacchi vengono «sostituiti» dalle emicranie dell’età adulta, conservando solo di rado, nel seguito della vita del paziente, l’intensità che avevano all’origine. Purché siano di carattere esclusivamente statistico e si riferiscano a una popolazione vasta, le affermazioni che mettono in correlazione la chinetosi e l’emicrania non possono essere respinte. Se però ci si allontana da un approccio statistico, per considerare solo casi clinici individuali, diventa subito chiaro che molti pazienti emicranici (specialmente quelli con emicrania classica) non hanno mai sofferto di chinetosi o di violente manifestazioni viscerali, nei loro primi anni di vita; anzi, possono essere stati eccezionalmente resistenti a stimoli che provocano la nausea nella maggior parte della popolazione; al contrario, è ovvio che molti bambini che soffrono (godono?) di vomito ciclico, chinetosi e attacchi biliari non svilupperanno mai emicranie «adulte».
I fatti (o piuttosto le stime citate, con le relative fonti d’errore) che riguardano la correlazione dell’emicrania con l’ipertensione, le allergie, l’epilessia e simili, sono meno chiari, e non possiamo far altro che menzionare qualche studio fra le molte centinaia che gravano la letteratura. Gardner, Mountain e Hines (1940) scoprirono che in una popolazione di soggetti ipertesi l’emicrania era cinque volte più frequente che in un gruppo di controllo senza ipertensione. Questi autori mostrano opportune riserve nell’interpretare i loro stessi dati, e accettano come ugualmente ammissibili l’ipotesi di un fattore genetico comune e quella di altri fattori condivisi (per esempio la prevalenza di collera cronica repressa tanto fra gli ipertesi quanto fra gli emicranici). Balyeat (1933) rimase così colpito dall’incidenza di reazioni allergiche, in pazienti emicranici e nelle loro famiglie, da interpretare la correlazione come identità: così dichiarò che in molti casi l’emicrania era di natura allergica. Da allora questa opinione ha trovato un seguito sorprendente, nonostante Wolff e altri abbiano dimostrato con sperimentazioni decisive che l’emicrania non è quasi mai di origine allergica. Lennox e Lennox (1960) si sono interessati a lungo dei rapporti costituzionali fra emicrania ed epilessia – un concetto tabù. Studiando più di 2000 epilettici, hanno calcolato che il 23,9 per cento aveva un’anamnesi famigliare positiva per l’emicrania: valore ben più alto di quello ricavato per il gruppo di controllo. Ne concludono che l’emicrania e l’epilessia non solo hanno una base «costituzionale» comune, ma sono correlate le loro basi genetiche.
L’emicrania in rapporto all’età
Di solito i disturbi costituzionali si manifestano in età relativamente precoce. Bisogna vedere se questo sia vero anche nel caso dell’emicrania. In uno dei primi articoli sull’argomento, Critchley dichiarava (1933): «O una persona è afflitta dall’emicrania fin dall’infanzia, o ne è completamente risparmiata. È improbabile ammalarsene nell’età adulta ...». In letteratura sono riportati molti dati che sembrerebbero contraddire questa ipotesi. Lennox e Lennox (1960), studiando 300 pazienti emicranici, osservarono che il 37,9 per cento di essi aveva avuto il primo attacco fra i 20 e i 30 anni o più tardi.
La mia esperienza personale (1200 pazienti emicranici, la maggior parte dei quali adulta) mi ha fornito numerose conferme della frequenza di emicranie a insorgenza tardiva; mi ha inoltre fatto comprendere la necessità di frammentare il gruppo complessivo di pazienti in sottogruppi più piccoli e clinicamente omogenei, prima di poter fare una qualsiasi affermazione che abbia un significato. L’emicrania classica ha forse una maggior tendenza a presentarsi per la prima volta nell’adolescenza o al principio dell’età adulta; tuttavia ho visto una dozzina di casi nei quali l’attacco iniziale si verificò dopo i 40 anni – e la particolarità e la gravità delle emicranie classiche sono tali da rendere improbabile che i primi attacchi sfuggano alla memoria. L’insorgenza nella mezza età è molto più frequente nel caso delle emicranie comuni, delle quali ho visto almeno 60 casi presentarsi dopo i 40 anni, e forse un quinto di questi dopo i 50; questo aspetto clinico si riscontra in modo particolare nelle donne, che possono diventare vittime dell’emicrania durante o dopo la menopausa. La nevralgia emicranica, più di tutte le altre forme, è nota per poter insorgere in età avanzata. Un mio paziente ebbe il suo primo «grappolo» a 98 anni e in letteratura sono stati pubblicati molti casi di insorgenza intorno ai 75 anni. È incontestabile che l’emicrania abbia una tendenza generale a presentarsi precocemente nel corso della vita e a farsi meno frequente in tarda età; tuttavia questa è una regola che conosce numerose, importanti eccezioni.
Il concetto di diatesi emicranica implica che l’emicrania sia, in qualche modo, latente nell’individuo fino a che non è indotta a manifestarsi. Il caso clinico seguente mostra come essa possa rimanere celata per la maggior parte della vita, entrando poi in azione, per così dire, solo in presenza di una stimolazione ambientale straordinaria.
Caso 15 Questa paziente, una donna di 75 anni, si presentò lamentando emicranie gravi e frequenti: da due a tre attacchi alla settimana, ciascuno preceduto da inconfondibili spettri-fortificazione e da parestesie. Gli attacchi erano cominciati subito dopo la tragica morte del marito in un incidente automobilistico. La paziente ammetteva di essere profondamente depressa e di covare pensieri suicidi. Le domandai se avesse mai avuto attacchi simili, prima, ed ella rispose che aveva avuto attacchi identici da bambina, ma che essi non si erano più ripresentati, per quanto potesse ricordare, per 52 anni, cioè prima del suo attuale parossismo. Nel giro di alcune settimane la depressione della paziente diminuì grazie all’influenza combinata del tempo, della psicoterapia e dei farmaci antidepressivi: tornò a essere ancora una volta «se stessa», e le sue emicranie classiche scomparvero nel limbo in cui erano rimaste quiescenti per mezzo secolo.
Un altro caso clinico pone l’accento, forse con maggiore enfasi, sul fatto che una diatesi emicranica (ammesso che sia reale) può restare latente e insospettata fino a tarda età.
Caso 38 Questa paziente era una donna di 62 anni che soffriva di cefalee atrocemente forti da quattro mesi. La prima, anzi, era stata così allarmante che il marito, un medico, l’aveva fatta ricoverare immediatamente in ospedale. Si sospettava un’emorragia subaracnoidea o una lesione intracranica, ma tutti gli esami diedero esito negativo e dopo tre giorni l’attacco cessò. Un mese dopo la paziente ebbe un attacco simile, e il mese successivo un terzo attacco. Io fui consultato a questo punto. Interrogai la paziente, una testimone molto intelligente e attendibile, che si disse certa di non aver mai avuto alcun sintomo che ricordasse i suoi attuali attacchi periodici. Colpito dalla loro cadenza mensile, le domandai se di recente avesse cominciato ad assumere qualche farmaco, ed ella disse subito che il suo ginecologo le aveva prescritto, quattro mesi prima, un preparato ormonale da prendere a cicli (il farmaco era un contraccettivo estroprogestinico prescritto per i sintomi post-menopausa). Confrontando le date scoprii che ogni attacco si era verificato nel corso della settimana di sospensione fra i cicli di somministrazione ormonale. Le consigliai di provare a interrompere la cura ormonale: lo fece e non ebbe più attacchi.
Discussione generale e conclusioni
Questo è stato necessariamente un capitolo fatto di affermazioni e controaffermazioni; di dubbi, esitazioni e riserve. Per concludere, dobbiamo ora considerare le ragioni dei dubbi sugli studi statistici riguardanti la predisposizione all’emicrania e valutare quali significati si possano ancora legittimamente attribuire a questo concetto.
I nostri primi commenti devono riguardare la validità del campionamento. Affinché le affermazioni sulla frequenza di questo o quel carattere in una popolazione abbiano un valore o rivestano un interesse qualsiasi, tale popolazione dovrà essere relativamente omogenea. Riferito all’emicrania, ciò si fonda sull’assunto che essa rappresenti un singolo disturbo con una base unitaria. Ci si presenta, così, una variante di quell’invenzione rappresentata dall’individuo medio: l’emicranico medio è raffigurato come un perfezionista iperteso con un capezzolo retratto, allergie multiple, uno sfondo di chinetosi, due quinti di ulcera peptica e un primo cugino epilettico. L’esperienza clinica reale convince subito chiunque lavori con pazienti emicranici che essi sono un gruppo estremamente eterogeneo. Alcuni soffrono di emicranie classiche, altri di emicranie comuni; alcuni hanno anamnesi famigliari estremamente evidenti, molti non ne hanno affatto; alcuni hanno allergie, altri no; certi pazienti reagiscono a farmaci particolari e altri no; alcuni sono sensibili all’alcol e ai movimenti passivi e altri non lo sono; in certi casi gli attacchi cessano in giovane età, in altri cominciano tardi; alcuni hanno emicranie rosse, altri bianche; alcuni hanno componenti viscerali notevoli, mentre altri hanno componenti prevalentemente cefalalgiche; certi pazienti sono iperattivi, certi altri sono letargici; alcuni sono ossessivi, altri trasandati; alcuni sono brillanti, altri sono dei semplicioni... Per farla breve, la diversità dei pazienti emicranici è notevole come quella di un qualunque altro gruppo della popolazione. Questa eterogeneità della popolazione e dei sintomi in esame può invalidare e rendere priva di significato ogni indagine statistica e richiede, ai fini dello studio, la suddivisione del materiale clinico in gruppi più piccoli e omogenei. Dati disparati non devono essere messi insieme e confrontati. È impossibile mettere d’accordo l’impressione clinica di Critchley di una correlazione negativa fra l’emicrania e altri disturbi con la correlazione positiva affermata da Graham, Wolff e altri. Quello che si deve fare è chiedersi il valore di una qualsiasi di tali affermazioni generali. Per il medico dotato di spirito d’osservazione è chiaro che alcuni pazienti emicranici rimangono sorprendentemente fedeli alle loro emicranie, trovando in esse, a quanto sembra, adeguato sfogo ed espressione dell’instabilità o della tensione nervosa che li guida; altri pazienti manifestano trasformazioni multiformi e improvvise da un equivalente emicranico all’altro, o dall’emicrania all’asma, ai mancamenti, ecc. Un terzo gruppo sembra preda di una sorta di voragine psicosomatica spalancata, nella quale sono risucchiati tutti i possibili disordini funzionali. In alcuni, l’immagine di una malattia funzionale viene fissata e mantenuta fin dall’infanzia, ancorata a qualcosa di immutabile nella reattività fisica o nelle necessità emozionali; in altri, tensioni emotive modulate di continuo possono, per così dire, suonare sulla tastiera della reattività una serie infinita di variazioni della malattia.
In secondo luogo, dobbiamo occuparci della validità dell’interpretazione delle correlazioni statistiche. Ammettiamo che un determinato studio sia scevro di errori di campionamento e che da esso emerga un coefficiente di correlazione, un numero cioè che indica la coincidenza di due fattori, a e b. Se ne può dedurre che a causa b, che b causa a, o che entrambi i fattori condividono una causa comune. Nella letteratura sulla predisposizione all’emicrania troviamo tutte queste inferenze, in particolare l’ultima: per esempio, Balyeat ritiene che l’allergia provochi l’emicrania, alcuni autori vedono nell’emicrania un fattore che provoca o favorisce gli accidenti cerebrovascolari, mentre la maggior parte dei ricercatori presta fede all’ipotesi di una diatesi comune – il «fattore di stock» di Wolff – che può esprimersi come emicrania o nella forma di molti altri disturbi. Nessuna di tali inferenze può essere giustificata su base esclusivamente statistica: una correlazione non è niente altro che un’espressione di coincidenza, e di per sé non implica alcuna connessione logica fra i fenomeni studiati. Se un particolare gruppo di pazienti mostra un’alta incidenza sia di emicrania sia di ipertensione, ci possono essere centinaia di ragioni per spiegarlo, e i motivi dell’ipertensione non sono necessariamente connessi con quelli dell’emicrania. L’alta incidenza di reazioni allergiche nei pazienti emicranici è generalmente riconosciuta, ma la teoria di Balyeat sull’eziologia allergica dell’emicrania è errata, e lo si può dimostrare. In un caso come questo, dobbiamo fare ricorso a considerazioni di strategia e di analogia biologica, e limitarci a dire che nell’organismo le reazioni allergiche e quelle emicraniche possono servire a scopi simili (si veda il capitolo XII) e possono perciò alternarsi o coesistere come scelte fisiologiche equivalenti.
Infine, bisogna considerare la validità della terminologia usata in questo campo: predisposizione, diatesi, suscettibilità costituzionale, fattori famigliari, ecc. Si può accettare, con qualche riserva, il fatto che una predisposizione relativamente specifica possa esistere ed essere trasmessa in casi di emicrania emiplegica e in molti casi di emicrania classica, ma certo non in tutti; tuttavia questi casi sono rari e rappresentano meno di un decimo della popolazione emicranica complessiva. Dobbiamo esprimere fortissimi dubbi sull’esistenza di una qualsiasi predisposizione specifica all’emicrania comune e, a maggior ragione, su quella di una «diatesi emicranica» universale. Come spiegare, allora, l’apparente limitazione dell’emicrania a una parte della popolazione, e la sua ricorrenza in determinate famiglie?
Al momento attuale è possibile accettare solo le espressioni più vaghe e generali. Sembra evidente che molti pazienti emicranici si distinguano per qualcosa che è presente in loro in misura maggiore del normale.
Il repertorio di questo «qualcosa» è molto vasto. Critchley diceva che esso poteva manifestarsi nei primi anni di vita come eczema infantile, chinetosi e attacchi ricorrenti di vomito. E a questo breve elenco dobbiamo aggiungere tutte le varietà di emicrania viste nella prima parte, e inoltre le molte altre reazioni parossistiche – mancamenti, attacchi vagali e simili – che possono fondersi o alternarsi con le emicranie. È in questi termini – e cioè in quelli di una reazione determinata da molteplici fattori, con innumerevoli variazioni di forma e una plasticità apparentemente infinita – che va usato il concetto di diatesi emicranica, se deve conservare un qualsivoglia significato. Inoltre, questo qualcosa consente un numero infinito di gradazioni, cosicché la popolazione emicranica, ben lungi dall’essere chiaramente definita e distinta, si mescola – sotto tutti gli aspetti – con la popolazione generale. È da ritenere che ogni organismo possieda le potenzialità per sviluppare reazioni qualitativamente simili all’emicrania (si veda il capitolo XII), tuttavia questo potenziale è esaltato e reso specifico in una determinata frazione della popolazione.30 L’ipotesi superficiale di una «diatesi emicranica» come qualcosa di semplice, specifico, unitario, quantificabile o riducibile alla genetica elementare, non spiega nulla, non risponde a nulla, elude ogni interrogativo; peggio ancora, con l’uso di un’espressione senza significato, quest’ipotesi rende difficile chiarire i veri fattori che determinano l’emicrania nell’individuo e nel suo ambiente. È sicuro che in un paziente emicranico c’è qualcosa che lo rende maggiormente soggetto a quegli attacchi; tuttavia la definizione di questo qualcosa, di questa predisposizione, richiederà che noi esploriamo un campo di riferimento molto più ampio delle considerazioni di genetica e statistica esaminate in questo capitolo.
Se speriamo di comprendere o di curare un paziente emicranico, probabilmente scopriremo che le circostanze della sua vita sono state della massima importanza nel determinare e nel dar forma ai suoi sintomi; quando avremo completamente esplorato e valutato tali fattori ambientali, potremo legittimamente ragionare su possibili fattori costituzionali o ereditari. È indispensabile studiare con scrupolo le anamnesi dei pazienti, se si vuole sfuggire alla tentazione di concetti vagamente teorici («diatesi» emicranica, «fattore di stock» emicranico, trasmissione ereditaria attraverso un gene singolo, ecc.) che potrebbero essere null’altro che fantasticherie. Dobbiamo applicare al nostro caso le parole con le quali Freud chiuse la descrizione di un suo famoso caso clinico:
«Sono consapevole del fatto che in molti ambienti sono state espresse opinioni ... che mettono l’accento sul fattore ereditario acquisito per via filogenetica... Io sono invece del parere che si è stati sin troppo solleciti nel trovar loro spazio e nell’attribuirgli importanza ... Ritengo che tali opinioni siano ammissibili solo quando si osserva correttamente il giusto ordine di precedenza e, dopo che ci si è aperto un varco attraverso gli strati di ciò che è stato acquisito dall’individuo, si giunge infine sulle tracce di ciò che è stato ereditato».