VIII
EMICRANIA CIRCOSTANZIALE
In questo capitolo prenderemo in esame le circostanze che tendono a provocare attacchi di emicrania. Ci limiteremo a condizioni acute e transitorie che possono, in quanto tali, indurre un singolo attacco di emicrania, rimandando al prossimo capitolo la discussione sulle circostanze determinanti croniche. In massima parte, i nostri dati provengono dalle osservazioni compiute da pazienti attendibili che hanno imparato a controllare l’insorgenza dei propri attacchi, a tenere diari, a comportarsi da osservatori imparziali delle proprie tendenze. Questi dati sono integrati, qua e là, da osservazioni sperimentali effettuate in condizioni controllate. È opportuno ripetere ancora che non si può pensare di stabilire una corrispondenza puntuale fra la circostanza e l’attacco; i due eventi saranno tutt’al più legati da una tendenza generale.
Le circostanze da considerare sono così varie e numerose che, per semplicità di esposizione, si rende necessaria una classificazione preliminare. Le categorie adottate sono assolutamente informali e non hanno la pretesa di essere rigorose. Qua e là, per amore di immediatezza e di efficacia, ho preferito fare ricorso al gergo.
Emicranie attivate (o da risveglio)
Comprendiamo in questa categoria le emicranie che insorgono in circostanze che attivano, destano, disturbano e irritano l’organismo.33 Fra queste riconosciamo la luce, il rumore, gli odori, l’inclemenza delle condizioni atmosferiche, l’attività fisica, l’eccitamento, le emozioni violente, il dolore fisico e l’azione di determinati farmaci. Vi dovremmo anche includere il risveglio dei prodromi emicranici e delle aure, in quanto forme di eccitazione intrinseca che possono essere seguite da una reazione emicranica. Questo elenco non ha la pretesa di essere completo.
Luce e rumore
Molti pazienti affermano con insistenza che la luce abbagliante e il rumore assordante possono provocar loro un’emicrania. Di solito essi pongono l’accento sull’intensità e la durata della circostanza, sul fatto che essa è insopportabile, sul fastidio che precede l’attacco e sull’esplicito desiderio di porvi fine: quiete, luci attenuate. Molti di questi pazienti si presentano dal medico portando occhiali scuri e non pochi di essi hanno imparato la parola «fotofobico». Non tollerano le spiagge estive affollate, con la luce del sole che batte a picco sul mare, né le officine lampeggianti di luci crude. Altri pazienti dichiarano una particolare insofferenza nei confronti della luce degli schermi cinematografici e di quelli televisivi.
A questo proposito, va considerato il problema delle luci intermittenti: un fattore scatenante altamente specifico, che presumibilmente dà luogo a meccanismi di reazione affatto speciali (ne parleremo più avanti, in questo capitolo).
Odori
Abbiamo parlato di allucinazioni olfattive occasionali, durante l’aura emicranica, e dell’intensificazione, della distorsione e dell’intolleranza nei confronti degli odori – fenomeni che possono verificarsi piuttosto comunemente durante un’emicrania. A queste si possono ricondurre numerosi resoconti ingannevoli o svianti che in altre circostanze sembrerebbero attribuire agli odori il ruolo di fattori scatenanti. Vi sono, però, casi di pazienti attendibili che sembrano avere sviluppato (o che possiedono innata) una particolare sensibilità per determinati odori (il catrame viene menzionato spesso), oppure una sensibilità generale per i «cattivi» odori. Questi casi clinici sono comuni, specialmente nei coloriti resoconti della letteratura più antica. Liveing, per esempio, cita il caso seguente:
«... membro illustre dell’Accademia, medico ospedaliero, non poteva prender parte a un’autopsia senza essere istantaneamente colpito da un attacco di vomito e di emicrania. Lo stesso accadeva se trascuravano di arieggiare con cura le corsie del reparto prima della sua visita».34
Condizioni atmosferiche inclementi
Sembra che, in pazienti predisposti, una qualsiasi condizione climatica estrema possa scatenare un attacco di emicrania, o esserne ritenuta responsabile. Esempi classici sono il vento e la tempesta: numerosi pazienti dichiarano di possedere una sorta di chiaroveggenza meteorologica e di poter predire l’approssimarsi di cicloni o di temporali basandosi sulle emicranie che li colpiscono in tali circostanze. Una collega mi raccontava che la sua infanzia, trascorsa in Svizzera, fu rovinata dalle emicranie che la assalivano periodicamente durante le burrasche di vento che ogni anno soffiano su Zurigo da sud-ovest. In altri luoghi non ebbe mai alcun attacco.
Altri pazienti, con reazioni meno stravaganti, tendono ad avere emicranie ricorrenti con climi molto caldi o umidi. In questi casi, la circostanza dovrebbe forse essere interpretata in modo diverso, come un fattore che probabilmente induce fiacchezza e prostrazione, le quali a loro volta favoriscono l’insorgere dell’emicrania.
Attività fisica, eccitamento, emozioni
L’attività fisica violenta (che per sua natura deve comprendere motivi di eccitamento sia fisiologico sia psicologico) è spesso menzionata dai pazienti più giovani come unica causa dell’emicrania. In modo molto caratteristico, l’attacco arriva poco dopo l’esercizio fisico, molto di rado durante il suo svolgimento. Possiamo ricordare un paziente già citato in precedenza (caso 25) i cui classici attacchi emiplegici insorgevano solo dopo una corsa campestre aspramente competitiva, e mai in altre circostanze.
Le emozioni violente superano tutte le altre circostanze acute per la loro capacità di provocare reazioni emicraniche, e in molti pazienti, soprattutto quelli che soffrono di emicranie classiche, sono responsabili della grande maggioranza degli attacchi. Scrive Liveing: «La natura dell’emozione non sembra avere molta importanza, purché essa sia vissuta molto intensamente». Penso, tuttavia, che si possa essere più precisi: in pratica, la causa scatenante più comune è la collera improvvisa, anche se la paura (panico) può essere ugualmente potente nei pazienti più giovani. L’improvvisa esaltazione (in un momento di trionfo o di inattesa buona sorte) può avere lo stesso effetto.
Queste reazioni hanno una qualità paradossale, in quanto tendono ad arrestare il soggetto nel pieno dell’eccitamento o subito dopo il suo acme. Ci sono molti paralleli clinici, alcuni dei quali possono servire come «alternative» della reazione emicranica: in particolare vanno ricordate le acutissime reazioni rappresentate dalla narcolessia e dalla catalessi (che si verificano spesso in risposta alla collera, all’orgasmo o ad un eccitamento gioioso), le reazioni di «mancamento» (sincope vasovagale) e di deliquio (stupore isterico) in risposta a improvvisi shock emotivi – piacevoli o spiacevoli che siano – e, in un contesto più marcatamente patologico, le reazioni di «congelamento» dei pazienti parkinsoniani e di blocco degli schizofrenici. È da notare che reazioni di questo genere non sono limitate agli esseri umani. Nel capitolo XI faremo riferimento a molti analoghi e omologhi biologici.
Bisogna osservare che, in tutti i casi, le emozioni che provocano gli attacchi sarebbero classificate come «cinetiche», secondo la terminologia di James Joyce: esse risvegliano l’organismo e, nel loro corso normale, tendono a determinare un’azione (lotta, fuga, salti di gioia, riso; ecc.). A esse si contrappongono le emozioni «statiche» (terrore, orrore, compassione, soggezione, ecc.) che trovano espressione nell’immobilità e nel silenzio, e si dissolvono lentamente, per lisi o per catarsi, dopo molte ore. È rarissimo che queste emozioni statiche accendano un’emicrania.
A questo punto è possibile riconoscere due diversi stili secondo i quali tensione o emozione possono sciogliersi: attraverso un’emissione (verbale, somatica o viscerale) che di colpo abbatte uno stato di tensione; attraverso una lenta dispersione, una lisi, che porta allo stesso risultato in modo più graduale: il riso contro il pianto, la scintilla contro i fuochi di Sant’Elmo.
Per accennare ad altre forme di eccitamento psicologico, osserviamo che alcuni pazienti sono così sfortunati da incorrere in attacchi di emicrania subito dopo un orgasmo (si vedano, al riguardo, i casi 2 e 55). Infine, come abbiamo già suggerito, il ciclo di eccitamento-inibizione può assumere caratteri di totalità e interiorizzarsi; in questo caso un’aura o i prodromi possono agire provocando un’emicrania.
Dolore
Il dolore somatico (ai muscoli e alla cute) tende a irritare e a risvegliare; il dolore viscerale, invece, tende a produrre l’effetto opposto, inducendo nausea, passività, ecc. Entrambi, anche se con meccanismi differenti, possono provocare un’emicrania. L’esempio forse più comune del primo caso è fornito dall’insorgenza di un dolore muscolare acuto in un individuo attivo: risvegliato, reso collerico e intralciato dal dolore, questi sviluppa un’emicrania che si sovrappone agli altri suoi disturbi. (Gli effetti del dolore viscerale saranno presi in considerazione in seguito).
La questione delle reazioni ai farmaci in rapporto all’emicrania verrà discussa separatamente più avanti in questo stesso capitolo.
Emicranie da prostrazione e reazioni d’urto
Questo termine indica l’insorgenza di emicranie negli stati di esaurimento, prostrazione, sedazione, passività, sonno, ecc. Molte di queste circostanze sono associate normalmente o fisiologicamente a sazietà o soddisfazione, a una sonnolenza e una stanchezza piacevoli, a un sonno ristoratore. Ma immaginiamo che la reazione fisiologica sia più intensa, e che assuma una sfumatura psicologica spiacevole: avremo allora una reazione da prostrazione, di un qualche tipo. Queste reazioni rappresentano così accentuazioni, caricature, della condizione serena e tranquilla.
Sazietà e digiuno
Un pasto abbondante è seguito da piacevoli sensazioni di appagamento, da leggera sonnolenza, mentre procede, pur se inavvertita, la digestione, ecc. Un’osservazione più scrupolosa rivelerà numerose reazioni postprandiali.
«Il quadro descrive l’attività parasimpatica in un anziano che dorme dopo aver pranzato. La frequenza cardiaca è lenta e il respiro è rumoroso a causa della broncocostrizione; le pupille sono ristrette; gocce di saliva scorrono dall’angolo della bocca. L’applicazione di uno stetoscopio all’addome rivelerà un’attività intestinale intensa» (Burn, 1963).
È la rappresentazione, poco invitante e quasi swiftiana, del nonno che si gode il sonnellino dopo pranzo.
Consideriamo adesso le stesse reazioni fisiologiche amplificate, distorte e rese sintomatiche. A questo riguardo è possibile riconoscere tre sindromi da collasso: indigestione, sindrome del gastroresecato, emicrania postprandiale. Volendo, si può aggiungere che la prima è causata da un sovraccarico dello stomaco e la seconda da un’ipoglicemia acuta, anche se entrambe le osservazioni sono discutibili. Da un punto di vista fenomenologico, peraltro, tutte rappresentano parodie o variazioni patologiche del normale torpore e stato vegetativo postprandiale.
Bisogna considerare anche certe reazioni patologiche al digiuno. A distanza di alcune ore dall’ultimo pasto, diventare un po’ inquieti e domandarsi quando ci si mette a tavola sono reazioni «normali»: si ha cioè un’attività e uno stato di risveglio legati al desiderio di cibo. Se il pasto non arriva e il digiuno si prolunga, presto o tardi sopravverranno sintomi di prostrazione o di collasso. Dopo x ore di digiuno, in qualche paziente i valori della glicemia andranno fuori della norma. In queste circostanze, una percentuale piccola ma ben definita di pazienti va soggetta a reazioni di tipo emicranico.
Caso 54 Donna di 47 anni, soggetta a emicranie comuni – da tre a cinque al mese – senza causa immediata identificabile. Le fu chiesto di tenere un diario, nella speranza che questo potesse rivelare circostanze causali cui in precedenza non si fosse prestata attenzione. Alla visita successiva il diario rivelò che gli attacchi tendevano a insorgere quando saltava la colazione. Fu sottoposta allora a un test per valutare la capacità di metabolizzare il glucosio: dopo cinque ore il valore della glicemia era di 44 mg (in 100 cm3 di sangue). A questo punto la paziente era pallida, sudava e aveva mal di testa. Ulteriori esami portarono alla diagnosi di ipoglicemia funzionale. Si raccomandò alla paziente di abituarsi a fare sempre un’abbondante colazione e a tenere un bicchiere di succo d’arancia zuccherato sul comodino. Da quel momento, si liberò quasi completamente dei suoi attacchi.
Caldo e febbre
Le reazioni normali al caldo comprendono stanchezza e sudorazione; se c’è febbre, a questi sintomi si possono anche aggiungere malessere e mal di testa vascolare. Numerosi pazienti emicranici sono iperreattivi nei confronti degli stimoli termici e hanno la tendenza ad avere degli attacchi in associazione al caldo e alla febbre. Ad esempio, un attacco di leggera influenza o un raffreddore febbrile, che sarebbero eventi banali per la maggioranza della popolazione, possono rappresentare l’occasione di un’emicrania invalidante, in soggetti predisposti.
Movimento passivo
Quando è dolce, il movimento passivo ha di solito un effetto tranquillante e soporifero: è per questo che si culla un bambino per farlo addormentare. Tuttavia, in una parte della popolazione, la risposta al movimento passivo (o alla stimolazione vestibolare diretta) è disordinata e intollerabile; durante l’infanzia, o anche in seguito, queste persone possono soffrire di grave chinetosi (con nausea, vomito, pallore, sudorazione fredda, ecc.); se oltre ai sintomi elencati c’è un mal di testa vascolare, ne risulterà un’emicrania da movimento. Un eccesso di risposta alla stimolazione vestibolare è forse la più comune e certamente una delle più invalidanti idiosincrasie di numerosi pazienti emicranici, ai quali sono perciò negati molti dei più semplici piaceri della vita: da piccoli non possono giocare con l’altalena, più grandicelli non potranno andare sulle montagne russe, e per tutta la vita saranno loro preclusi i viaggi in autobus, in treno, in nave o in aereo. È importante notare come in queste reazioni sia fondamentale la passività e la stimolazione passiva; molti pazienti soggetti a chinetosi sono perfettamente in grado di guidare l’auto o di pilotare la loro barca o il loro aeroplano.
Esaurimento
Una giornata di intenso lavoro porta normalmente una piacevole sensazione di stanchezza, ma in pazienti predisposti può determinare una variante patologica e cioè un esaurimento, un collasso incipiente, a volte un’emicrania. Allo stesso modo, ci può essere l’incapacità di sopportare una perdita di sonno facilmente tollerabile dai più. È molto probabile che questo difetto di sonno provochi, in pazienti predisposti, un’emicrania o una reazione emicranoide, e non di rado altre reazioni associate (già discusse nel capitolo V), in particolare narcolessia. Altri fattori, ad esempio una malattia, una diarrea, un periodo di digiuno, possono sommarsi a un affaticamento o a una perdita di sonno altrimenti irrilevanti e portare il paziente a un livello critico di esaurimento, in cui è probabile che si verifichi una reazione di prostrazione. Parry (afflitto da aure visive isolate) notava, riferendosi a se stesso:
«A volte esse sono provocate ... da un grande affaticamento, specie se concomitante con un digiuno di 8÷10 ore ... come pure dall’esaurimento che segue a un forte attacco di diarrea».
Reazioni a farmaci
Abbiamo già accennato all’argomento delle reazioni ai farmaci in rapporto all’emicrania, ad esempio a proposito dei cosiddetti «postumi della sbornia», di reazioni anomale alla reserpina, ecc. Anche queste reazioni devono essere interpretate come esagerazioni e perversioni di risposte fisiologiche normali. È normale che chiunque, dopo aver bevuto molti alcolici, si sentirà assonnato o leggermente indisposto; ma una nausea intensa, un’emicrania comune, o un attacco di nevralgia emicranica dopo un solo bicchiere sono una reazione certo eccessiva. Rappresentano quella reattività anormale che molti pazienti emicranici devono imparare ad accettare come parte di sé, sia nel caso che decidano di scendere a un compromesso con questa predisposizione, sia che scelgano di opporvi resistenza o di assumersene il rischio. Allo stesso modo, i «postumi della sbornia», se intensi, rappresentano una reattività patologica e non di rado sono il preannuncio, o il primo segno, di un futuro candidato all’emicrania.
Oltre all’alcol, c’è un immenso numero di farmaci depressori, alcuni dei quali sono notoriamente pericolosi per determinati pazienti. Fra tutti, quello che gode di fama peggiore è forse la reserpina, che può essere usata, in una varietà di preparazioni farmaceutiche, per controllare l’ipertensione. Essa può provocare non solo emicrania, ma molte altre reazioni associate, come per esempio stupore, narcolessia, shock, depressione (psicologica) e acinesia parkinsoniana.
È opportuno menzionare anche gli usi e gli abusi delle amfetamine. Queste provocano un violento risveglio dell’attività nervosa centrale e periferica, seguito di solito da un «crollo»» di entità proporzionale, non appena la loro azione svanisce. Abbiamo già visto che alcuni pazienti possono paragonare spontaneamente le fasi eccitatorie e inibitorie delle loro aure all’azione (alle azioni) delle amfetamine (si vedano i casi 67 e 69); più avanti (nella Parte quarta) avremo occasione di parlare degli usi terapeutici delle amfetamine nell’emicrania. Qui ci interessa la predisposizione all’emicrania e ad altre reazioni associate nel periodo di «rilassamento» successivo a un iperdosaggio di amfetamine. Può essere istruttivo il caso seguente.
Caso 43 Questa paziente, ventitreenne, andava soggetta a una o due emicranie comuni al mese fin dall’età di 19 anni. Otto settimane prima di consultarmi, le sue condizioni erano improvvisamente peggiorate. Diceva di avere, ora, emicranie quotidiane, al principio confluenti l’una nell’altra («status emicranico»). Altri sintomi insorti molto recentemente comprendevano un’intensa stanchezza, attacchi frequenti di narcolessia, lacrimazione persistente, diarrea e depressione. Sulle prime non fui in grado di spiegare questo improvviso e misterioso cambiamento nel suo stato, e mi chiedevo se avesse subìto qualche trauma emotivo del quale rifiutava di parlare. Alla seconda visita, ammise di essere stata, in passato, fortissima consumatrice di Ritalin: non ne prendeva meno di 1600 mg al giorno, e ciò per più di un anno. Quando smise improvvisamente di assumere il farmaco, subì la mostruosa sindrome da astinenza che abbiamo descritto: uno stato di depressione e di crollo dominato dall’attività parasimpatica.
Situazioni di «rilassamento»
È noto che le emicranie tendono a insorgere «dopo l’evento» – quale che sia l’«evento». Spesso, ad esempio, i pazienti affermano di avere emicranie dopo un esame, un parto, un successo negli affari, una vacanza. Un significativo schema ricorrente di questo tipo è esemplificato dalle «emicranie del fine settimana» (che a volte si alternano con le depressioni, le diarree, i raffreddori del fine settimana), che insorgono durante il periodo di prostrazione successivo a una settimana frenetica. Queste tendenze saranno discusse più ampiamente nel capitolo IX e nella Parte terza.
Emicranie notturne
Spesso i pazienti si stupiscono del fatto che un’emicrania possa destarli dal sonno; questo stupore, poi, non fa che aumentare quando gli si assicura che un’associazione fra sonno ed emicrania è non solo comune, ma del tutto prevedibile.
Sulla base di anamnesi scrupolose si distinguono molte varietà di emicrania notturna: ci sono attacchi che insorgono in piena notte, strappando i pazienti al sonno più profondo; altri tendono a venire all’alba, insinuandosi in un dormiveglia agitato; altri ancora si fondono con i sogni (le anamnesi più attendibili si ricavano da pazienti con emicrania classica che si svegliano nello stadio della cefalea con un chiaro ricordo di immagini oniriche mescolate a figure scotomatose); e infine ci possono essere attacchi associati a incubi (terrori notturni e sonnambulismo).35
Gli attacchi di nevralgia emicranica tendono, par excellence, a svegliare i pazienti dagli stati di sonno più profondi, e il loro instaurarsi è estremamente acuto; tuttavia chi soffre di attacchi notturni non è mai in grado di ricordare alcun sogno, dal momento in cui essi insorgono.
L’emicrania classica è a volte notturna, quella comune lo è molto spesso; ho appunti riguardanti più di quaranta pazienti gravi i cui numerosi attacchi erano esclusivamente notturni. Molti di questi pazienti asseriscono che, nelle notti durante le quali hanno gli attacchi, sognano di più, o in modo più intenso; studi elettroencefalografici eseguiti tenendo sotto osservazione per tutta la notte alcuni di tali pazienti hanno dimostrato un aumento manifesto dell’estensione del sonno paradosso (sonno REM o sonno con sogni) durante gli attacchi (dottor J. Dexter, 1968; comunicazione personale).
Dai pazienti soggetti a incubi notturni si hanno resoconti eccezionalmente chiari a proposito del frequente legame fra l’esperienza dell’incubo e i successivi sintomi emicranici (si veda, ad esempio, il caso 75). L’associazione è chiara; meno chiara è la sua interpretazione: è difficile dire se l’esperienza del sogno o dell’incubo generi un’emicrania, o ne sia generata, o semplicemente abbia un certo numero di affinità cliniche e fisiologiche con l’esperienza emicranica.
Né, d’altra parte, queste interpretazioni si escludono. Abbiamo citato numerosi casi clinici che mostrano la possibilità di «stati onirici», di stati deliranti e di incubi come componenti delle aure emicraniche; ci si può chiedere se, in qualche caso di associazione costante fra incubi ed emicranie classiche, i primi non rappresentino di per sé la principale o unica manifestazione dell’aura.
È altrettanto plausibile pensare che l’intensa eccitazione emotiva e fisiologica del sogno (e soprattutto dell’incubo) possa rappresentare uno stimolo adeguato a suscitare l’emicrania, in soggetti predisposti. Attualmente non è possibile spingersi oltre l’osservazione che le emicranie hanno un’indubbia propensione a insorgere durante il sonno e ad essere associate a sonno agitato e popolato di sogni.
Emicranie di risonanza
Sotto questo titolo dobbiamo considerare un’importante forma di emicrania circostanziale, molto specifica, piuttosto rara, e cioè l’evocazione di uno scotoma scintillante da parte di luce intermittente di determinate frequenze, di stimoli visivi specifici e anche di certi ricordi e quadri visivi.36
Una luce intermittente proveniente da una qualsiasi fonte (emessa da un tubo fluorescente o da un televisore, riflessa da schermi cinematografici o da superfici metalliche, ecc.) può provocare l’immediata comparsa di uno scotoma scintillante che ha frequenza identica a quella dello stimolo. L’uso di uno stroboscopio dimostra che per provocare lo scotoma scintillante sono efficaci solo frequenze comprese in una banda molto stretta (8÷12 stimoli/secondo). Si è visto che questa stessa banda di frequenze è la più efficace nel provocare contrazioni fotomiocloniche, o fotoepilessie propriamente dette, in pazienti predisposti.
Diversi pazienti mi hanno dato accurate descrizioni di questi scotomi generati dalla luce; uno dei casi più interessanti è quello di un’infermiera che – in risposta alla luce intermittente – era colpita, alternativamente, da fotomioclono e fotoepilessia.
Allo stesso modo, la fissazione dello sguardo su particolari motivi o disegni grafici può servire da stimolo intermittente. Liveing ce ne dà diverse descrizioni:
«Piorry racconta di sé ... che può produrre a volontà il fenomeno del cerchio vibrante luminoso fissando intensamente lo sguardo, oppure anche leggendo».
Viene anche riferito di un paziente colto da attacchi dopo aver guardato carte da parati o vestiti a righe. Bisogna riconoscere la strettissima analogia fra questi fenomeni e quelli della fotoepilessia e dell’epilessia da lettura. Nel caso della prima, ad esempio, lo stimolo, costituito da un motivo in movimento, può essere fornito facendo ondeggiare rapidamente le dita davanti agli occhi oppure – in un caso pubblicato – muovendosi su e giù davanti a una tenda alla veneziana.
L’analogia può essere spinta anche oltre. In un’ampia rassegna dei loro pazienti epilettici, Penfield e Perot (1963) descrivono in alcuni casi la «precipitazione psichica» degli attacchi, causata dall’intensa visualizzazione delle circostanze nelle quali aveva avuto luogo il primo attacco. Allo stesso modo Liveing osserva, a proposito di Sir John Herschel, «afflitto da stati emicranici esclusivamente visivi ... che un attacco insorse perché aveva permesso ai suoi pensieri di indugiare nella descrizione delle visioni».
Siamo così spinti a cercare una spiegazione per due dati di fatto: l’immediatezza della risposta scotomica, e il suo sincronismo esatto con la frequenza dello stimolo. L’ipotesi più conveniente è che tali fenomeni siano dovuti a un accordarsi, all’instaurarsi di una risonanza, all’interno del sistema nervoso, in seguito all’impatto con lo stimolo appropriato. Gli stimoli eccitatori non sono necessariamente visivi: già la parola «risonanza» suggerisce l’idea del suono! L’intolleranza al rumore (fonofobia) è un aspetto quasi universale dell’irritabilità caratteristica di molte emicranie; ma qui si vuole sottolineare la tipica capacità esacerbante o eccitatoria posseduta da suoni di determinate frequenze.
L’ambiente in cui viviamo è sempre più aggressivo e rumoroso, con effetti scatenanti, su certi pazienti emicranici, che risultano chiarissimi nei loro racconti. Su alcuni, ad esempio, è immediato l’effetto del martello pneumatico: essi dicono che è soprattutto il martellamento ripetuto e veloce a provocare l’emicrania; non l’intensità, dunque, ma il carattere percussivo del rumore. In alcuni pazienti, può provocare emicrania il ritmo della musica rock ad alto volume, per il combinarsi di alto volume e ripetitività accentuata – il fenomeno è analogo a quello dell’epilessia musicogena.
Il fatto che non sia l’intensità del suono in quanto tale, né un timbro particolarmente detestato, ma la sua frequenza a dare intolleranza specifica, può essere dimostrato sperimentalmente in un laboratorio clinico, tenendo sotto osservazione le onde cerebrali del paziente mediante elettroencefalografia. In queste condizioni si può osservare che solo particolari frequenze di luce a lampi o di rumore battente causano disturbi macroscopici nel tracciato, dapprima trascinando le onde cerebrali in sincronia con lo stimolo, e poi innescando una risposta cerebrale acuta, parossistica.
In sorprendente contrasto, stimoli piacevoli, melodiosi e musicali riportano le onde cerebrali al ritmo regolare, e possono porre fine alla risposta parossistica sia dal punto di vista clinico, sia da quello elettrico. Si può vedere chiaramente come il suono sbagliato, o l’«anti-musica», sia patogeno e generi l’emicrania, e come il suono giusto, la vera musica, sia rasserenante e ridoni benessere al cervello. Questi effetti, singolari e fondamentali, richiamano l’aforisma di Novalis: «Ogni malattia è un problema musicale; ogni cura è una soluzione musicale».
Una risposta simile – dapprima di «trascinamento» e poi di «accensione», secondo il gergo elettroencefalografico – può essere evocata anche mediante stimoli tattili. Nel capitolo III se ne trova un bell’esempio nel caso 75, in cui l’emicrania era provocata dalle intense vibrazioni del motore di una motocicletta.
Emicranie provocate da distorsioni del campo visivo
Allo stesso modo in cui possono essere suscitate da ritmi insoliti e disturbi temporali, le emicranie possono anche essere provocate da strane simmetrie o asimmetrie spaziali. Il seguente racconto, fatto da un osservatore dotato (caso 90), illustra la strana vulnerabilità o sensibilità spaziale di alcuni pazienti.
«Alcune delle mie emicranie cominciano con disturbi che interessano il campo visivo; altre possono essere provocate da distorsioni e stranezze inaspettate che mi colpiscono d’improvviso. Se un bottone di un soprabito è allacciato male, tutto il soprabito mi appare storto e mi disorienta. Poi questa asimmetria del soprabito diventa asimmetria della mia visione, dà inizio a una distorsione locale nel mio campo visivo che in seguito si può espandere fino a fagocitarlo quasi per intero. Oppure può esserci qualcosa di storto in un volto, come un tic, una smorfia, uno spasmo – una qualunque asimmetria, insomma. Una volta mi colpì quando mi capitò di guardare un uomo affetto da paralisi di Bell. La percezione è momentanea, ma può mettere in moto un disturbo spaziale che dura diversi minuti».
Klee parla di strane forme di «metamorfopsia» – distorsione dei contorni, dislocazioni eccentriche nell’ambito del campo visivo, micropsia, macropsia e simili – come elementi di gravi aure emicraniche (si veda il capitolo III, Visione a mosaico e visione cinematica), ma non tratta il problema dell’induzione, in alcuni pazienti, di aure visive a opera di sembianze alterate o comunque inattese degli oggetti. Il paziente emicranico (come l’artista) può essere straordinariamente sensibile a tutte le «trasformazioni», le deformazioni, gli scostamenti dalla forma attesa, che possono suscitare in lui una deformazione topologica via via più ampia, creare tutto un mondo capovolto, alla Escher, bizzarramente distorto. Una volta che il paziente ne diviene conscio, tutto ciò cessa di essere fonte di smarrimento o di terrore, e può diventare – come forse fu per Escher – uno stimolo per l’immaginazione creativa.
Emicranie circostanziali di vario tipo
Il nostro elenco delle circostanze nelle quali le emicranie tendono a insorgere è tutt’altro che esaurito; ma il tentativo di classificare quelle che ancora rimangono prospetta serie difficoltà. Dobbiamo ora considerare l’emicrania in rapporto all’intestino, e specialmente alla stitichezza; in riferimento alle mestruazioni e ai livelli ormonali; in rapporto alle allergie. Concluderemo con qualche rapida nota sull’emicrania «simpatica» in rapporto ai fatti concomitanti cui abbiamo accennato e a certi altri aspetti dell’attacco stesso.
Cibo, emicrania e stomaco
C’è una percentuale apprezzabile di pazienti che, sentendosi ad esempio «biliosi» o «dispeptici» prima o durante il mal di testa, attribuiscono tutti i loro attacchi a «qualcosa che ho mangiato». Nel dir questo, essi riecheggiano senza volerlo una lunga e antica tradizione di pensiero, che può essere esemplificata dal seguente passo del Traité di Tissot:
«Tutti i pazienti osservano che, nell’imminenza di un attacco, il loro stomaco funziona meno bene del solito e che, a prendersene cura, gli attacchi diventano meno frequenti; se invece essi mangiano qualche cosa che disturbi lo stomaco, gli attacchi insorgono più spesso e in forma più grave.
«Coloro che soffrono di emicrania e di disturbi gastrici sentono che il mal di testa si attenua via via che lo stomaco si ristabilisce ... Quasi immancabilmente, nel momento stesso in cui lo stomaco si libera del suo contenuto, il dolore cessa ...».
Fino al termine di questo capitolo, terremo le conclusioni di Tissot separate dalle sue osservazioni. Alcune di queste osservazioni cliniche non possono essere messe in dubbio; la difficoltà sta nell’interpretarle. Il fatto che il disordine gastrico possa essere associato all’emicrania non indica necessariamente che ne sia la causa.
La questione può essere discussa in lungo e in largo (come già è avvenuto in passato). Io ritengo che ogni «disordine gastrico», concomitante o precedente, sia parte integrante del complesso emicranico. Inoltre, anche se non posso confutare le osservazioni del paziente che insiste ad affermare di avere l’emicrania dopo aver mangiato prosciutto o cioccolata e in nessun’altra circostanza, credo che l’interpretazione di questi fatti empirici sia oltremodo complessa. Personalmente, sono convinto che l’emicrania non possa in alcun caso essere attribuita a un’ipersensibilità specifica nei confronti di un alimento particolare; piuttosto riterrei che ogni associazione fra le due circostanze sia dovuta all’instaurarsi di un riflesso condizionato.
La «sindrome del ristorante cinese» e vari alimenti che inducono emicrania
Da quando è stata pubblicata la prima edizione di questo libro, l’esperienza ha reso chiaro che possono esservi reazioni specifiche nei confronti del cibo, con meccanismi chimici chiaramente definiti.
L’espressione «sindrome del ristorante cinese» è divenuta molto comune (e, certo, molto angosciosa per i ristoranti cinesi!). Molti soggetti, e soprattutto un’alta percentuale di pazienti emicranici, possono manifestare gravi reazioni nei confronti dei cibi cinesi. Nei casi più lievi, si ha solo una sensazione di malessere, con brividi, pallore, borborigmi e nausea; nei casi più gravi si può arrivare a prostrazione completa con disordini viscerali e vascolari gravi (incluso un tipico mal di testa vascolare), uno stato mentale confuso e addirittura delirante e forte sensazione di mancamento, se non un vero e proprio «venir meno». È chiaro che tali reazioni si trovano ai confini dell’emicrania e ricordano le reazioni emicranoidi, gli attacchi vasovagali, le crisi nitritoidi, ecc., descritti nel capitolo II. Siamo evidentemente di fronte a una risposta parasimpatica o «vagotonica», alla quale i soggetti emicranici sono particolarmente suscettibili. Non è che qualunque piatto cinese provochi tali effetti (per fortuna!); anzi, proprio perché insorge in modo irregolare e imprevedibile, sono stati necessari diversi anni prima di riconoscere che si tratta di una sindrome, e poi per incriminare il fattore patogenetico: alla fine si scoprì che il responsabile era il glutammato monosodico, di largo impiego come additivo alimentare per esaltare i sapori – e non solo nei ristoranti cinesi (in realtà il glutammato monosodico non è affatto «naturale» e viene aggiunto perfino nella salsa di soia). Poiché esso serve solo a questo, e la maggior parte delle persone lo tollera abbastanza bene, è sorto un certo conflitto di interessi, come già nel caso di molti altri additivi potenzialmente tossici. Ma via via che cresceva la consapevolezza della sua potenziale nocività, l’impiego è divenuto meno diffuso e indiscriminato.
Alcuni pazienti emicranici possono accorgersi di essere particolarmente sensibili a determinati cibi – soprattutto ai formaggi forti. Fin dagli anni Cinquanta si è riconosciuto che il formaggio (come anche altri alimenti) può essere pericoloso per determinati gruppi di pazienti, e cioè per quelli in cura con farmaci antidepressivi inibitori delle monoammino-ossidasi (MAO), nei quali possono provocare un brusco, pericoloso aumento della pressione, assieme ad altri effetti vegetativi. Si deve in parte a questo se tali farmaci, straordinariamente efficaci come antidepressivi, hanno lasciato il passo alle sostanze «tricicliche», molto più sicure ma (nel complesso) meno potenti. In questo caso, il fattore patogenetico è rappresentato da ammine di vario genere: soprattutto la tiramina, ma anche altre che, pur innocue di per se stesse, possono attivare (o essere attivate da) altre sostanze chimiche, dando così luogo a seri disturbi nei sistemi di controllo chimico del cervello, specialmente in quelli di controllo delle funzioni vegetative. Anche se i pazienti emicranici non corrono grandi rischi come quelli in cura con i MAO-inibitori, essi tendono a manifestare più bassa tolleranza rispetto ai non emicranici.
Ciò detto, bisogna affrettarsi a fare le dovute precisazioni: non tutti i pazienti emicranici hanno intolleranza per il glutammato monosodico, per i formaggi, ecc., ma solo alcuni: a volte, anzi, solo per un certo periodo. Tale specificità e selettività suggeriscono che non tutti i pazienti emicranici siano uguali; che ci possano essere, ad esempio, sottogruppi diversi, distinguibili sulla base di aspetti biochimici cerebrali, cosicché alcuni sono disturbati (o alleviati) da alimenti o farmaci ai quali altri pazienti emicranici sono più o meno indifferenti. Su queste considerazioni di specificità chimica, che hanno importanza pratica non meno che teorica, torneremo nell’ultima parte.
L’intestino e l’emicrania
Come ci sono pazienti che propendono per una teoria gastrica, così altri sono convinti dell’origine intestinale dell’emicrania; verso questa conclusione si sono orientati osservando come le loro emicranie siano associate con disturbi intestinali, in particolare con una fase di stitichezza che precede l’attacco. Sono gli eredi inconsapevoli di una lunga tradizione di pensiero, analogamente a quanto si è visto per il rapporto fra disturbi gastrici ed emicrania. Alcuni casi clinici, come il seguente, sono assai persuasivi.
Caso 4 Uomo di 28 anni, molto intelligente, non esplicitamente moralista o superstizioso, sofferente di nevralgia emicranica fin dall’infanzia. Ha, in media, dai 4 ai 6 attacchi al mese, e questi non hanno mai mostrato la tendenza a raggrupparsi in grappoli, né ci sono mai stati periodi di remissione. Il paziente insiste sul fatto che ogni attacco è preceduto da due o tre giorni di stitichezza. Per il resto del mese, l’intestino è regolare, e non vi sono attacchi. Tutti i tentativi di curare la sua nevralgia emicranica secondo i metodi usuali non diedero alcun risultato. Alla fine, non senza un certo imbarazzo, prescrissi al paziente la regolare assunzione di lassativi: stitichezza ed emicranie lo lasciarono tranquillo per ben tre mesi – cosa mai accaduta in precedenza.
Che dire? Che la stitichezza è, in realtà, parte integrante dell’emicrania, un suo prodromo? Che l’intestino bloccato produce un fattore che può dare emicrania (si veda, nel capitolo XI, l’esposizione delle teorie sulla serotonina)? Che entra in azione un riflesso condizionato? Ognuna di queste risposte può essere quella giusta, ed è probabile che lo siano tutte, visto che l’emicrania è una reazione determinata da una pluralità di fattori.
L’emicrania in rapporto alle mestruazioni e ai livelli ormonali
Nel capitolo II si è già accennato all’immancabile verificarsi di disturbi vegetativi e psicologici in corrispondenza delle mestruazioni e all’insorgenza, quanto meno occasionale, di emicranie mestruali conclamate nel 10÷20 per cento di tutte le donne durante il loro periodo fecondo. Ho visitato circa 500 donne con emicranie comuni e stimo che pressappoco un terzo di esse soffra di emicranie mestruali in aggiunta ad altri attacchi. Nei miei appunti ho tenuto nota di più di 50 pazienti che vanno soggette ad attacchi di emicrania esclusivamente durante il periodo mestruale. In contrasto con queste cifre, l’emicrania classica ha una tendenza molto inferiore ad associarsi alle mestruazioni: su un totale di 50 pazienti afflitte da emicrania classica, ad esempio, solo 4 hanno accennato al suo verificarsi durante le mestruazioni e in nessun caso gli attacchi erano limitati a questo periodo. Per quanto riguarda la nevralgia emicranica, nelle donne è rara; quando si presenta, sembra seguire un ritmo suo proprio, piuttosto che quello del ciclo mestruale.
Fin dai tempi antichi sono state compiute osservazioni sulla frequenza dell’emicrania in periodi diversi della vita della donna; se ne ricavano prove concordanti, anche se di dubbia interpretazione. Abbiamo insistito sulla frequenza dell’emicrania mestruale, ma bisogna osservare che gli attacchi non insorgono immancabilmente prima della mestruazione; un’ampia minoranza di donne soffre di attacchi durante e dopo la comparsa del flusso mestruale. Va anche osservato che, sebbene le emicranie mestruali di solito cessino con la menopausa, tuttavia in qualche caso possono continuare a presentarsi, con la stessa periodicità, anche dopo (si veda il caso 74). Molto meno comuni delle emicranie mestruali e molto caratteristici, quando si verificano, sono gli attacchi che insorgono a metà del ciclo – in coincidenza, si presume, con l’ovulazione. L’emicrania comune è relativamente rara prima del menarca; l’emicrania classica, invece, non mostra tale limitazione, e insorge spesso nella prima infanzia. Durante la gravidanza, di solito nell’ultima metà o nell’ultimo trimestre di gestazione, può verificarsi una remissione dell’emicrania davvero straordinaria: è probabile che dall’80 al 90 per cento di tutte le donne affette da emicrania comune sperimentino questa remissione nel corso della prima gravidanza; meno saranno le donne che godranno di tale sollievo anche durante le gravidanze successive. La remissione è molto meno evidente nei casi di emicrania classica (si veda, tuttavia, il caso 11). Anche quando c’è remissione nell’ultimo periodo della gravidanza, non è rara un’emicrania eccezionalmente grave una o due settimane dopo il parto. Infine, ci sono gli effetti, vari e controversi, dei differenti preparati ormonali (in particolare, dei contraccettivi orali) sulla gravità e la frequenza degli attacchi di emicrania.
L’argomento è davvero complesso, poiché i principali cambiamenti della funzione riproduttiva femminile vanno considerati a molti livelli: ci sono cambiamenti locali nell’utero, e poi ci sono modificazioni ormonali specifiche, modificazioni fisiologiche di portata molto generale (nella pubertà, al momento delle mestruazioni, durante la menopausa), accompagnate da fattori di natura psicologica. Quale di questi fattori, dobbiamo chiederci, è più importante nel determinare i modi e i tempi dell’emicrania nell’arco dell’intera esistenza?
La fisiologia classica considerava le emicranie mestruali come una forma di isteria. Willis e Whytt, ad esempio, le ritenevano prodotte da modificazioni uterine locali e pensavano che i sintomi si irradiassero attraverso il corpo per trasmissione diretta da organo a organo, cioè per «simpatia». Su tale nozione di «emicrania uterina» era ancora vasto il consenso generale, a metà del secolo scorso. Liveing esaminò con la più grande attenzione tutte queste teorie sull’origine locale dell’emicrania; trovandole inadeguate a spiegare i dati conosciuti, concluse:
«E ... a un’eccitazione periodica diffusa del sistema nervoso e non a un qualsivoglia eccesso uterino, cerebrale o generale in attesa del flusso [mestruale], che io ricollego, in questi particolari periodi, le manifestazioni di certe tendenze patologiche da parte del sistema, siano esse in forma di isteria, di emicrania, di epilessia, o di follia».
Ma Liveing non sapeva nulla degli ormoni, e forse sottovalutò la possibilità che disturbi fisiologici generali o fattori psicologici riescano a modificare un’eccitazione periodica diffusa del sistema nervoso.
Si sarebbe tentati di pensare che non dovrebbe essere difficile isolare il ruolo delle influenze ormonali da quello di altri fattori determinanti, osservando l’effetto di preparati ormonali purificati sulla gravità e la frequenza degli attacchi di emicrania. Su questo argomento c’è una vasta letteratura, che riguarda sia gli effetti dei vari contraccettivi ormonali sui tempi e i modi dell’emicrania, sia quelli della somministrazione di molti diversi preparati ormonali purificati (androgeni, estrogeni, progestinici, gonadotropine, ecc.).
La vastità di questa letteratura (che è stata più volte vagliata con attenzione) ci dà una misura delle difficoltà incontrate nel pervenire a una conclusione chiara. Così, basandosi sulle emicranie che insorgono in coincidenza con l’ovulazione o prima della mestruazione, si è ipotizzato che tali attacchi fossero scatenati, rispettivamente, da un rialzo dei livelli di estrogeni e da una diminuzione relativamente improvvisa dei progestinici circolanti. L’esperienza fatta con i contraccettivi orali di comune impiego non ha confermato né smentito questa congettura: a quanto sembra, alcuni contraccettivi aggravano l’emicrania, altri l’attenuerebbero, altri ancora non hanno alcun effetto. Esiti tanto variabili non sono stati adeguatamente correlati con la precisa composizione del contraccettivo usato. Si è detto di risultati sensazionali ottenuti grazie all’impiego terapeutico di androgeni, estrogeni, progestinici e gonadotropine; ma tali studi sugli ormoni sono stati condotti «in modo diretto», ed è noto quanto siano ambigui gli studi non controllati, soprattutto poi per quanto riguarda l’emicrania, affezione estremamente sensibile all’effetto placebo (si veda il capitolo XV). È deplorevole la pubblicità che spesso accompagna tali studi, come pure la successiva propaganda di preparati ormonali, in quanto la loro efficacia terapeutica per l’emicrania non è stata dimostrata ed essi potrebbero addirittura essere pericolosi.
Sono straordinariamente rari gli studi clinici scrupolosamente controllati, condotti in doppio cieco su semplici preparati ormonali purificati. Si può citare lo studio di Bradley e collaboratori (1968) riguardante gli effetti di progesterone fluorurato (Demigran) su pazienti emicranici. Gli autori non hanno riscontrato alcun effetto significativo sulla gravità e la frequenza dell’emicrania, se non nel caso particolare degli attacchi mestruali, che sembravano attenuarsi durante la somministrazione di Demigran.
I risultati, modesti o negativi, di questi studi controllati sono in chiaro contrasto con quelli, spettacolari, che si proclama di avere ottenuto sulla base di studi «aperti» con vari preparati ormonali. La materia va al più presto chiarita per via sperimentale; di sicuro, oggi non c’è alcuna prova che un qualunque preparato ormonale abbia effetti terapeutici specifici (non, quindi, un effetto placebo) sull’emicrania.
Nella pratica clinica, si incontrano molti casi che suggeriscono come altri fattori (in particolare i bisogni e le aspettative della paziente) possano assumere un peso nel determinare la comparsa o la scomparsa delle emicranie mestruali, la remissione dell’emicrania durante la gravidanza, ecc. Si consideri il caso seguente:
Caso 31 Donna di 32 anni, cattolica, con gravi emicranie mestruali. Aveva avuto quattro figli; l’ultimo parto aveva richiesto una trasfusione sostitutiva, in considerazione di un’incompatibilità Rh fra la paziente e il marito. Ulteriori gravidanze apparivano sconsigliabili, ma le sue convinzioni religiose vietavano alla paziente qualsiasi misura contraccettiva. Quando si rivolse a un ginecologo, questi la informò del fatto che aveva «livelli di estrogeni troppo elevati» e che questa era la causa delle sue emicranie mestruali. Aggiunse che per tale motivo le avrebbe prescritto un preparato ormonale (Ortho-Novum); questo aveva anche un’azione contraccettiva, ma, nel suo caso, l’impiego era esclusivamente terapeutico e solo incidentalmente contraccettivo. Così rassicurata, la paziente superò ogni scrupolo e acconsentì a prendere l’ormone. Le sue emicranie mestruali scomparvero; a distanza di un anno, non erano tornate.
Riporto questo caso, naturalmente, per la sua ambiguità, non per la sua semplicità. Gli effetti del preparato ormonale risultarono chiari, ma non può dirsi lo stesso della loro interpretazione. Sembrerebbe molto probabile che la paziente, giustificatamente e cronicamente atterrita dall’idea di ulteriori gravidanze, sia stata riportata a una condizione psicologica di tranquillità dalla conoscenza del potere contraccettivo della pillola, e che sia stato questo il fattore cruciale nel guarirla dall’emicrania. In effetti, si osservano molti casi di emicrania mestruale che rispondono magnificamente alla psicoterapia e solo a questa, suggerendo che in tali emicranie le influenze ormonali siano, tutt’al più, concause. Ci sono anche indicazioni consistenti del fatto che la remissione dell’emicrania durante la gravidanza dipenda dallo stato mentale della paziente e dal suo atteggiamento nei confronti della gravidanza, non meno che da una qualsiasi altra alterazione dell’equilibrio ormonale (si veda, per esempio, il caso 56).
Se ne deve concludere che, sebbene in certe pazienti mestruazione, menopausa e gravidanza possano avere effetti profondi nel determinare le modalità e gli schemi dell’emicrania, tuttavia il meccanismo attraverso il quale agiscono è incerto e probabilmente va attribuito a molte cause concomitanti, anziché a effetti specifici di modificazioni ormonali.
Le allergie e l’emicrania
Si è già osservata l’alta incidenza di reazioni allergiche nei pazienti emicranici e si è anche accennato all’ipotesi (avanzata da Balyeat e da molti altri) che le emicranie, quando colpiscono pazienti affetti da allergie multiple, debbano essere considerate esse stesse come reazioni allergiche. Tuttavia, la correlazione statistica non implica di per sé nulla di più della semplice concomitanza: non implica, cioè, alcuna connessione logica e causale fra i due fenomeni che vengono correlati.
Tuttavia, l’opinione che l’emicrania possa avere base allergica è molto diffusa; molti pazienti emicranici, dopo aver peregrinato da un medico all’altro, si mettono infine nelle mani di un allergologo. Seguirà, probabilmente, l’elaborato rituale dei test per stabilire la sensibilità a diversi allergeni e quindi una serie di regole e proibizioni impressionanti (evitare polveri e pollini, cambiare le lenzuola, esiliare il gatto, eliminare dalla dieta tutto ciò che ci piace, ecc.). L’austero regime sarà rafforzato da frequenti iniezioni, praticate allo scopo di desensibilizzare il paziente. Non di rado si ottiene, o si proclama di aver ottenuto, un pieno successo terapeutico.37
Ma né la correlazione statistica, né la magia di certe terapie comprovano una base allergica dell’emicrania. In questo caso, come in quello degli studi sugli ormoni, è necessario che le ricerche siano compiute con tecniche e controlli rigorosi, come è stato fatto da Wolff e da molti altri sperimentatori (si veda Wolff, 1963); ne è emersa l’estrema rarità di una base allergica per le emicranie: meno dell’1 per cento di tutti gli attacchi, infatti, è spiegabile in termini di sensibilità o di meccanismi allergici.
Resta da chiarire la frequente coesistenza di reazioni emicraniche e allergiche in molti pazienti, con la capacità di sostituirsi, a volte, le une alle altre in risposta a particolari circostanze scatenanti. Per adesso possiamo solo esprimere il convincimento che emicrania e reazioni allergiche siano biologicamente analoghe: pur di natura fondamentalmente diversa (le reazioni allergiche rappresentano, infatti, sensibilità cellulari locali, mentre le reazioni emicraniche sono risposte cerebrali complesse), possono essere adoperate in modi simili da un paziente. Alla stessa conclusione, in sostanza, perviene Wolff, il quale ha suggerito che «i disturbi allergici e il mal di testa emicranico [possono essere] manifestazioni separate e indipendenti di una difficoltà di adattamento».
L’autoperpetuarsi delle emicranie
Prima di abbandonare l’argomento delle emicranie circostanziali bisogna porsi due domande – che sembrano semplici fino a rasentare l’assurdità quando vengono formulate, ma alle quali è poi difficile dare risposta senza introdurre concetti radicali, perfino paradossali. In primo luogo, perché le emicranie durano così a lungo? Nel capitolo precedente si è osservato che gli attacchi periodici (idiopatici) devono di solito seguire un corso preciso, predeterminato, e poi passano; le emicranie circostanziali, al contrario, hanno la tendenza a prolungarsi, spesso giorno dopo giorno, molto dopo la scomparsa della circostanza scatenante. In secondo luogo, c’è da chiedersi se è possibile che un sintomo o una componente dell’emicrania abbiano un’azione diretta su un altro sintomo o un’altra componente.
Nell’Introduzione storica, abbiamo parlato delle antiche teorie «simpatiche» sull’emicrania, rimaste dominanti per molti secoli; dobbiamo chiederci ora se nella rete di queste teorie non possa essere rimasto qualche frammento di verità e, in tal caso, se esso non possa contribuire a dare una risposta alle due domande che ci siamo posti. La teoria ipotizzava un’origine periferica delle emicranie («un’irritazione in qualche membro o viscere distante», Willis), seguita da una propagazione interna diretta dei sintomi (per «simpatia» o «consensus») così che – per usare le parole di Tissot – una parte soffrirebbe in luogo di un’altra.
La discussione dei fondamenti e dei meccanismi dell’emicrania si trova ancora molto lontana da noi: abbiamo evocato il fantasma della «simpatia» non per spiegare l’inizio dell’attacco di emicrania (che è un processo centrale), ma a proposito del perdurare di attacchi già incominciati e dei profondi effetti che i vari sintomi possono avere sull’attacco nel suo complesso. Ad esempio, si è sempre saputo che il vomito può porre rapidamente fine all’intero attacco di emicrania. Secondo un’osservazione ancora più comune, un semplice analgesico (per esempio un’aspirina) può servire non solo a mitigare il mal di testa emicranico, ma anche a disperdere l’intero attacco. D’altra parte, è pure conoscenza comune che l’aggravarsi di un solo sintomo (ad esempio, della nausea, a causa di odori spiacevoli) può, a sua volta, esacerbare l’intero attacco.
Queste osservazioni elementari hanno implicazioni sorprendenti, poiché sottintendono che l’intera emicrania possa essere perpetuata dall’uno o dall’altro dei suoi stessi sintomi: in breve, che un’emicrania possa diventare una risposta a se stessa. Data la provocazione iniziale, la spinta originaria, è concepibile che la successiva continuazione di molte emicranie avvenga in questo modo per una serie di impulsi interni autoperpetuantisi (una retroazione positiva), in modo tale che l’intera reazione sia vincolata alla propria circolarità. Siamo costretti a pensare in questi termini quando dobbiamo affrontare il problema di emicranie che durano molto più a lungo delle circostanze che le hanno provocate, protraendosi oltre qualsiasi funzione adattativa (o psicologica) ragionevole: emicranie come eventi autoperpetuantisi, come stimolo e risposta fusi assieme, vincolate, per così dire, in un tunnel di sintomi diversi che interagiscono.38
Nell’emicrania, il ruolo di questi meccanismi può avere un’importanza particolare se si considera che modificazioni tessutali locali possono prolungare i sintomi (si pensi alla catena di modificazioni che, come ha dimostrato Wolff, fanno seguito alla dilatazione delle arterie extracraniche); la persistenza di un solo sintomo, in tal modo, può prolungare l’intero attacco.
Bisogna accettare, quindi, che i vari sintomi di un’emicrania possano azionarsi l’un l’altro, e anzi muovere l’intero attacco. Queste spinte possono essere mediate da archi riflessi centrali, ma possono anche essere spiegate in termini di meccanismi esclusivamente periferici, supponendo un’azione diretta («simpatia») fra un viscere e l’altro, o piuttosto (volendo esprimere la dottrina antica con parole moderne) fra un plesso vegetativo e l’altro (si veda il capitolo XI).39
Conclusioni
Il tipo di attacco considerato in questo capitolo deve essere ritenuto radicalmente diverso dalle emicranie periodiche e parossistiche. Queste acquistano forza gradualmente e sovrastano il sistema nervoso; si mettono in moto quando sono «mature», spesso indotte da stimoli banali o inoffensivi che servono semplicemente da detonatori; seguono il loro decorso fisso e poi sono seguite da un periodo di quiete. Vanno considerate come eventi idiopatici, correlati principalmente alle periodicità proprie del sistema nervoso. Al contrario, le emicranie circostanziali sono suscitate solo da certi tipi di stimolo, e la loro gravità e durata mostrano di solito un legame significativo con la forza di tale stimolo; sono pertanto, essenzialmente, risposte graduali a stimoli graduali. Le circostanze che evocano queste emicranie non sono né banali né inoffensive; rappresentano, almeno potenzialmente, disturbi o crisi gravi dell’attività nervosa. Così, le emicranie circostanziali sono da considerare non solo come eventi neuronici, ma anche come reazioni che hanno una ben definita funzione in rapporto alle circostanze che le hanno provocate.
Abbiamo visto che ci sono due forme di stimolo particolarmente adatte a suscitare delle reazioni emicraniche in individui predisposti: forme di eccitamento o stati di allerta disordinati, e stati di inibizione o di prostrazione, pure caotici. Nell’ambito di certi limiti «consentiti» (che variano moltissimo da individuo a individuo) il sistema nervoso si mantiene, omeostaticamente, in una regione di equilibrio, grazie a continui e impercettibili aggiustamenti di modesta entità; oltre questi limiti, esso può essere costretto a reagire con aggiustamenti improvvisi, vistosi e sintomatici.
Ad esempio, uno stato di allerta eccessivo (sotto forma di bombardamento sensoriale, di violenta attività fisica, di scoppio d’ira, ecc.) è seguito di solito da una reazione di contraccolpo prolungato – un’emicrania da risveglio, appunto; al contrario, un’eccessiva inibizione (sotto forma di esaurimento, di risposta a movimenti passivi, ecc.) tende a portare, superato un certo punto critico, a reazioni di crollo protratte – emicrania da prostrazione. In entrambi i casi dobbiamo ritenere che la reazione emicranica abbia una funzione protettiva, che sia cioè una sorta di allarme per evitare particolari circostanze non tollerabili (rumore e luce eccessivi, esaurimento, troppo sonno o troppo cibo, movimento passivo, ecc.).
Abbiamo notato che, oltre un certo punto, l’emicrania può acquistare una propria inerzia, protraendosi ben oltre quella che potrebbe sembrare una funzione adattativa ragionevole. Abbiamo ipotizzato che in questi casi essa possa perpetuarsi come se si trattasse di una paradossale risposta a se stessa, in un circolo vizioso fisiologico.
Abbiamo anche dovuto prendere in considerazione un tipo di emicrania circostanziale che non può rientrare in nessuna delle categorie menzionate, e cioè gli attacchi di aura o di emicrania classica che possono essere scatenati da luce intermittente o dalla visualizzazione di uno scotoma. Siamo stati obbligati a ipotizzare che il substrato di queste emicranie sia costituito da meccanismi di risonanza innati, come avviene nel caso della fotoepilessia e della fotomioclonia.
Infine, abbiamo dovuto supporre che l’emicrania, in quanto reazione, sia facilmente soggetta al condizionamento, e possa così legarsi, in via secondaria, a un’enorme varietà di circostanze idiosincratiche, nell’arco della vita di un individuo. Solo in questo modo è possibile spiegare i bizzarri legami fra circostanza e risposta che sembrano sfidare ogni possibile logica della fisiologia. All’estremo, questo condizionamento porta a una situazione singolare, nella quale l’emicrania insorge perché il paziente se l’aspetta (si pensi, per fare un’analogia ben nota, al precipitare di una reazione allergica: ad esempio, di un attacco di «febbre da rose» quando si mostra al soggetto una rosa di carta). Se questo avviene, il paziente può restare intrappolato in un circolo vizioso di aspettative e di sintomi, in una specie di complicità con se stesso. Come conseguenza di ciò, e anche del rapporto fra pazienti suggestionabili e medici propensi a teorizzare, qualunque teoria sull’emicrania può arrivare a generare i dati sui quali si fonda.40 Causa ed effetto possono diventare un groviglio inestricabile: come osservò Gibbon in altro contesto, «al solito, la predizione ha contribuito alla propria realizzazione».