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Bomarzo, Parco dei Mostri
Nel cuore di smeraldo di Bomarzo, un ippocastano incombe sulla bocca spalancata dell’Orco. In alto, sospeso come il filo di un funambolo, l’eco del pulviscolo.
Il commissario e la sua squadra sono nel bosco sacro. È lui che ha studiato la mappa e ha diviso i compiti, assegnando le zone di ricerca. È un luogo assurdo, quello. E anche stavolta, ragiona mentre avanza nel buio, il suo ricordo è legato a suo padre, al libro che teneva in salotto, nella biblioteca dei viaggi, e alla gita con la mamma. Aveva sette anni, le immagini sono sfocate, ma c’è l’emozione straniante di quelle statue. I mostri di pietra... Se lo sente, è qui che troverà il suo uomo. Un altro bambino di sette anni che si è smarrito tra gli idoli e i fantasmi dell’infanzia.
Procede fino alla radura che ha memorizzato. Ha mandato Caterina, Alexandra, Antonio e Walter a coprire i quattro punti cardinali della mappa del parco. Ha detto loro di avanzare lentamente verso il centro in cerca dello Scultore e di utilizzare gli allarmi sonori e le Beretta, se necessario. Lui, Mancini, si trova più o meno in quel centro ideale della sua mappa mentale.
E, quando sente le foglie muoversi e un ramo spezzarsi da qualche parte lì vicino, capisce di non essere solo.
Entra nella bocca dell’Orco. Velocemente. E resta in attesa. Respira appena, nascosto dietro il tavolo di pietra all’interno di quell’antro.
Un fruscio lo avverte che sta arrivando.
Sbircia fuori e lo vede avvicinarsi lentamente. Lo Scultore sembra confuso, barcolla. Per un attimo il cuore di Mancini si stringe per un assurdo senso di rimorso. Non c’è tempo. Soffoca quel moto ed esce dalla bocca dell’Orco. Scende i tre gradini che lo separano dal prato zuppo di rugiada.
Il cacciatore di mostri mette un piede davanti all’altro seguendo una linea immaginaria, vinto dallo stato di trance. Il dolore allo stomaco è forte ma è la testa che urla adesso, le tempie esplodono, la pressione all’interno del cranio deforma percezioni, sensazioni, emozioni.
Mancini solleva le braccia, come se si trovasse di fronte a un grosso animale da spaventare. E avanza, un passo e si ferma. Il maglione nero sopra i jeans neri. Nient’altro che una sagoma oscura.
Il cacciatore di mostri cambia per l’ultima caccia. Ma stavolta il mondo lo attende così com’è. A sinistra il drago e l’elefante hanno vinto le proprie battaglie e ora si muovono attraverso il prato per raggiungere il Re del Caos. Dall’altra parte della radura stanno giungendo le sfingi, grottesche nell’imperfetto volo del tufo. Si posano sulla quercia più alta, pronte a sbranarlo.
Mancini fa ancora un passo e si ferma. Alle sue spalle si muove qualcosa. Sono già arrivati, i ragazzi. Lo avrebbe voluto tutto per sé, ma non può tornare indietro, ormai. Si stanno nascondendo. Li aveva avvisati di non interferire se si fosse trovato faccia a faccia con il suo uomo. Walter interverrà solo se le cose si mettono male. Dietro una grossa pietra abbandonata Antonio vigila su Caterina e Alexandra.
Di colpo il ragazzo con gli occhi di cielo si accorge che Pegaso, la balena e la tartaruga gli piombano alle spalle. È circondato. Non può scappare, ora, e non vuole farlo. Davanti a lui, il Re del Caos lo attende a braccia aperte. È il suo trucco, accoglierlo come un figlio, per stringerlo e trascinarlo nella bocca dell’Orco. Non cederà al desiderio di quell’abbraccio. Le fitte mutano in rabbia, i bulbi oculari palpitano per la pressione, i denti digrignati trattengono la schiuma dell’odio.
Il commissario fissa l’uomo che ha davanti a sé. È lui, lo stesso della notte di Lamia. Quello che ha ucciso non sa più quante persone, reso cieca una donna, ammazzato un frate. Lo stesso che è fuggito dal convento tre anni prima. Che ha massacrato il vecchio maestro di Enrico e che stanotte saluterà il mondo una volta per tutte.
Il cacciatore piega il capo di lato come se un martello gigante vi si fosse abbattuto e ulula. È il segnale, l’ultimo scontro ha inizio. Si china come un lupo furioso e carica a testa bassa.
Quando il grido rompe il silenzio, Mancini non fa un movimento, aspetta la bestia, il vento che vortica attorno alla radura e si perde tra le querce. Anche i ragazzi della squadra sono fermi. Solo Walter ha estratto il ferro.
Sono dieci i metri che li separano. Il cacciatore li copre in un momento, vola sulle gambe e carica il colpo, quello che ha fallito la prima volta. La mano destra è pronta a tagliare.
Mancini si muove un istante prima che l’avversario si abbatta su di lui. Si sposta di cinquanta centimetri e la mano del killer, diretta alla sua gola, da dove la vita sgorga veloce, gli fischia accanto all’orecchio sinistro e il gomito si abbatte sul naso del commissario.
Il cacciatore si tira indietro e riaffonda, ma cambia bersaglio. Stavolta lo bucherà.
Perché Mancini ora ha le mani sul volto, il colpo ha rotto le cartilagini nasali. Si piega su un lato, in cerca dei suoi compagni.
Comello sguscia fuori dal nascondiglio.
Il cacciatore punta al ventre, il bersaglio grosso è libero, a portata. Il Re è sul punto di abdicare.
Mancini vede saettare la mano tagliente, l’aspetta. L’avambraccio del giovane Scultore buca la guardia come il burro e la mano affonda all’altezza delle viscere. Supera il maglione, avanza e si inchioda ai primi lembi di pelle.
Il Re del Caos si ritrova il viso dell’altro accanto, gli occhi negli occhi. È allora che si abbassa e lo afferra per il busto. Stringe la morsa per spezzargli il fiato. Il cacciatore è sorpreso. La stretta gli tronca il respiro e un conato sale alla bocca. Si divincola, ma il Re si solleva, grande e nero.
Mancini tende polpacci, quadricipiti e dorsali e lo scaglia all’indietro. Lo fa con la rabbia, l’odio, l’amore che ha dentro, come se si scuotesse di dosso quintali di pelle morta che lo soffoca. E anche lui urla contro il cielo stellato.
Il corpo del killer vola come un sasso e tra i sassi finisce la sua corsa. Atterra sulle scale dell’antro dell’Orco, la bocca spalancata, in attesa. Il fracasso delle ossa sulle pietre spalanca l’orrore. Mancini lo raggiunge mentre lui si muove appena. Gli afferra la testa, negli occhi l’immagine del professore sul carro di Bacco, e lascia andare un pugno sul mento.
Invece di abbatterlo, il colpo lo sveglia. Il cacciatore vede la fine e lotta come una tigre. Lancia in alto la mano armata e stavolta la sgorbia con il manico di legno e la lama a C arriva a bersaglio. Lo sgarro non è profondo ma raggiunge il collo.
Mancini barcolla all’indietro, le ossa stridono di dolore. Il killer si tira in ginocchio e si getta sul commissario. Quando volano a terra, Mancini si trova con la nuca al suolo e le stelle volteggiano in un moto rivoltante. Sul petto le ginocchia del killer. La mano attaccata alla gola.
Poi, un urlo frantuma l’azione.