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I piccoli rumori di una vecchia dimora somigliano agli acciacchi di un uomo anziano. Sono sempre gli stessi e si riconoscono alle prime avvisaglie. Il vecchio che vive in questa casa li conosce bene, i doloretti che affliggono la struttura, l’intonaco che viene giù sotto il balconcino, i topi che corrono dietro i pannelli di legno al piano terra. E riconoscerebbe al volo, nonostante l’età e l’orecchio un po’ duro, qualcosa di diverso dal solito. Saprebbe distinguere ogni scricchiolio dei termosifoni che si raffreddano a notte fonda, i cigolii della scala di noce o un passo sulle tavole di legno in cucina.
Carlo Biga riconoscerebbe il più impercettibile dei suoni, se non fosse addormentato. Il lieve zampettio del gatto sul plaid lo sveglia dal sonno in cui è caduto. Apre gli occhi per scacciarlo e riappisolarsi. Intanto il camino fuma, la legna ha smesso di bruciare e la stanza è immersa in una nebbia densa. Come se avesse spento tutto con l’acqua. Pensa di andare a riaccendere il fuoco, ma le sue povere ginocchia non sono d’accordo.
Da sinistra una folata d’aria si trascina via un po’ di fumo. È la portafinestra che dà sulla veranda. Non ricorda di averla lasciata aperta, deve essere stato Enrico quando ha portato la legna, o Sampa, come al solito. Meglio così. Si rimette giù, prova a riappisolarsi. Il torpore dell’alcol e la tv gli cantano la ninna nanna.
Il cacciatore è rimasto sui gradini ad aspettare nel silenzio della notte. Perché questa serata non era prevista e si deve accontentare di quello che può per la sua messa in scena. Si concentra finché non riconosce la vertigine che raggiunge la gola e sale agli occhi bagnati. Dal cipresso all’angolo giunge il verso di un nibbio, le unghie ben dentro al collo del corvo.
Quando entra l’aria sa di fumo. Sposta lo sguardo attorno e scivola sul pavimento. Bacco dorme sul divano, il dio pingue con la bocca aperta che emana acido. La stanza che ai suoi occhi si è fatta giallo uva vortica e pure il colore si scioglie. Arancione. Il ronzio che ha in testa è diventato un sibilo più acuto. Deve sbrigarsi prima che tutto viri sul rosso. Le voci confuse del televisore non sono altro che l’eco di schiamazzi e gozzovigli attorno al carro-divano di Bacco.
Si porta alle spalle del sofà e prende il pezzo di corda che ha preparato. La fa scivolare nell’incavo del collo di Bacco, che ha il lato della testa poggiato sul bracciolo. Tiene le due estremità e fa scorrere la corda finché non si allinea con l’orecchio e la bocca aperta. Poi tira verso l’alto con uno strattone. La corda si ficca nella cavità orale lacerando gli angoli delle labbra. Il grido resta in gola e il corpo si raddrizza a sedere assecondando la spinta.
«Auo!» implora la voce soffocata. I piedi sbattono a terra e da un angolo della sala il gatto schizza via verso il giardino.
«Ahhh ahhh», prova Bacco, raspando le corde vocali con quel poco d’aria che ha nei polmoni.
Con un altro giro di corda, il cacciatore di mostri gli blocca le braccia e lo colpisce dietro la nuca con le nocche, due colpi secchi. Dopo, Bacco non si dimena più. Quando gli torna davanti si accorge che Bacco ha gli occhi aperti, lucidi, che lo seguono. È la prima volta che il cacciatore incontra lo sguardo di una preda senza paura.
Il professore lo scruta mentre il cervello elabora i danni subiti e calcola l’energia residua. L’unica risposta: non ce la farà. Lo sguardo saetta in giro e si posa sul telefono. E il cellulare, dove lo ha lasciato?
L’altro si abbassa, accucciandosi davanti alle ginocchia del vecchio e lo osserva spostando la testa da un lato all’altro. Si rialza e scompare. Biga sente che sta armeggiando sulla veranda e all’improvviso, senza potersi voltare, riconosce l’aroma della terra bagnata dentro casa. Un peso sul fianco destro e poi sull’altro conferma che lo Scultore ha posato qualcosa ai suoi fianchi. Le sue ortensie, le sue bellissime piante. Ecco come sarà la sua tomba.
Non ha paura, non prova niente, in quegli ultimi istanti di vita. Solo l’ironia di finire ucciso per mano di un assassino seriale. Certo, non potrà salutare Enrico e i ragazzi della squadra. Né fare la chiamata che ha rimandato per anni. Ascoltare la voce della donna che doveva essere sua moglie.
Quando il cacciatore gli posa la punta fredda del suo strumento sul collo, Biga comprende ogni cosa. In quell’istante ha il disegno di fronte a sé, scopre il vestito e le scarpe che indossa, i capelli di un biondo innaturale.
E quegli occhi della bestia, dell’alieno, del mostro. In quegli occhi il professore riconosce l’elemento mancante, l’attimo della rivelazione, mentre l’altro affonda e le prime gocce rosse vengono fuori dalla pelle ruvida del collo. L’intruso prende le cannucce trasparenti che ha portato con sé, sembrano di gomma. Poi quattro bottiglie che, Biga lo sa, ha trovato in giardino. Il killer ne prende una e il professore lo osserva senza un fiato. Il dolore alla giugulare è immediato e finisce subito. Il cacciatore vi ha inserito la cannula e la infila nel collo della bottiglia di plastica.
Il rubino del sangue di Bacco bagna lo smeraldo della bottiglia. Un filo sottile di liquido amaranto stilla da un collo all’altro mischiando l’aroma dei due fluidi. Il freddo che gli aveva intorpidito le dita ora avanza dentro il suo corpo molle pronto alla resa. Nonostante le braccia legate, la mano destra gli scivola dalla gamba sul divano. E la sorpresa si dipinge sul volto pallido del professore.
Fa appena in tempo a premere il tasto 1 sul cellulare che il killer si accosta e sussurra piano all’orecchio.
«Buonanotte.»