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Roma, Terme di Diocleziano
Lo sguardo di Caterina De Marchi viaggiava tra le cartacce del McDonald’s e i ciuffi d’erba ingialliti dal freddo intenso di quei giorni. L’aria pizzicava e gli agenti l’avevano avvolta con una coperta. Aveva rifiutato l’ambulanza. Nonostante la paura di affogare nel pozzo in mezzo a quella massa di topi l’attanagliasse ancora, voleva restare lì e i colleghi avevano già chiamato l’ispettore Comello. Il cellulare, lo spray e la macchinetta digitale erano finiti sul fondo limaccioso di quella specie di cisterna, ma il suo chiodo fisso era un altro.
Non riusciva a smettere di pensare a Niko. Il ragazzino era riuscito a issarla dal bordo della cisterna in cui era caduta fin sul pavimento con le sue braccia sottili. Poi aveva insistito per correre subito via.
«Non ce la faccio», aveva risposto esausta e ancora terrorizzata.
«Andiamo», l’aveva incalzata Niko, e i piccoli occhi scuri si erano accesi di una luce che Caterina aveva riconosciuto all’istante: quella della paura e dell’impotenza in cui si specchiava l’orrore per i topi.
Niko aveva indicato il tunnel davanti a loro e aveva ripetuto: «Andiamo», con un tono che sembrava una preghiera.
«Perché?»
«C’è l’uomo cattivo.»
«Chi?»
«Lui, lui ha... Ha ammazzato il toro.»
«Lui chi? Dove?»
«Qui. È ancora qui», aveva risposto Niko, poi si era voltato ed era entrato nel corridoio buio.
Caterina si era alzata ignorando il dolore ai polpacci e i polmoni che avvampavano e aveva seguito il rumore dei passi del ragazzino che si allontanavano da qualche parte di fronte a lei. Pochi secondi dopo si era resa conto che Niko non c’era più. Era scappato. Stava correndo, a giudicare dal rimbombo dei colpi nell’acqua che rimbalzavano sulle pareti dei cunicoli. L’effetto amplificava il suono ed era stato impossibile stabilire quante persone si trovassero lì sotto. C’era davvero qualcuno che stava dando la caccia a Niko? Si maledisse per non aver portato la pistola, dopotutto. Aveva provato ad aumentare il ritmo ma le erano mancate le forze. Intanto il rumore dei passi era scemato, perso nel buio che aveva davanti.
Alla fine era arrivata fin sotto la grata spalancata e si era arrampicata per le scalette di ferro aiutandosi con le mani. Quand’era riemersa, l’aria tersa e gelata preannunciava i primi bagliori dell’alba. Caterina era fradicia e tremava forte. Si era seduta su un pezzo di marmo e aveva iniziato a guardarsi intorno. Di Niko nessuna traccia. Uno dei venditori di libri usati, che aprivano tutti molto presto, l’aveva notata dalla sua bancarella e dopo dieci minuti una volante era sul posto. Non era stata in grado di spiegare fin dove fosse giunta o dove si trovasse, se davvero c’era l’uomo che il ragazzino le aveva raccontato di aver visto. Uno degli agenti si era calato nel buco sotto la grata e ne era riemerso pallido in viso. Passata mezz’ora, erano arrivati gli uomini della Scientifica e i girofari erano aumentati di numero.
Gli uomini in bianco erano scesi sottoterra. Erano là sotto da un po’. Finalmente un collega con una grossa Canon al collo riapparve, boccheggiante. Caterina notò con stupore che aveva la stessa aria appannata dell’agente di poco prima. Cosa c’era in fondo a quell’intrico di cunicoli? Cosa aveva visto Niko? L’uomo parlava con un altro che aveva chiuso l’area e stava repertando l’accesso.
Lo stridio di una frenata sul viale davanti alle Terme annunciò l’arrivo dell’ispettore Comello. Scese dalla macchina e riconobbe la sagoma di Caterina di spalle, al centro dello spiazzo. La raggiunse di corsa e la abbracciò da dietro. Lei rimase ferma, senza muovere un muscolo, lasciando che il calore del corpo di Walter la conquistasse lentamente. Si mosse solo per passare una mano su quella di lui, poi chiuse le palpebre per allontanare il pianto. Il contrasto tra il freddo e il corpo caldo di Walter la fece rabbrividire e il tepore scomparve di colpo, lasciando il campo al gelo che la stava vincendo. Tremava, lo sentiva sulla pelle, ma era dentro la carne che il gelo s’insinuava, carezzandole il midollo.
«Sei venuta qui per Niko?»
Lei mosse il capo su e giù tra le braccia di Walter. «Ho perso il tuo braccialetto», disse sconsolata. Lui gliel’aveva fatto trovare solo pochi giorni prima a colazione, sotto il tovagliolo. C’era un cuore, e lei lo aveva indossato subito. Probabilmente era finito sul fondo di quella maledetta cisterna.
«Lo sapevo. Ho sbagliato a darti quelle foto.»
All’improvviso, Walter si staccò da lei. Caterina sollevò il mento in cerca di una spiegazione, ma lui era già all’ingresso della grata. Parlottava a bassa voce con l’agente e il fotorilevatore, che scuoteva la testa e faceva dei segni indicando la botola. Stava spiegando il percorso che aveva affrontato sottoterra. Già, ma per arrivare dove? Laggiù c’erano ancora due tute bianche. Perché era tornato solo uno di loro?
Caterina si puntellò sulla pietra per tirarsi in piedi ma la coperta le scivolò di dosso. La raccolse, si rialzò facendo forza sui polpacci e la sistemò sulle spalle con il garbo dolente di una vecchia signora. Coprì la distanza che la separava dai due come se fosse ubriaca. La vista vacillava e sentiva gli occhi bruciare. Quando fu a pochi passi, Walter la vide e scattò in avanti per sostenerla.
«Cate.»
«Che succede?» domandò lei.
Comello fece un cenno all’uomo in bianco che gli passò la Canon. Controllò il display, poi il viso stanco di Caterina, e inclinò la macchina fotografica.
«Cosa?» riuscì a dire lei prima di guardare lo schermo. Il flash aveva illuminato a giorno l’ambiente sotterraneo. La prima immagine mostrava una grata che dava su una stanza circolare. Si trattava di una specie di collettore come quello in cui era finita Caterina, ma più grande e senza pozzo. La terza mostrava il pavimento allagato e il colore nerastro delle acque. Caterina osservò Walter, interrogativa. L’ultima foto era più nitida perché il sistema automatico di messa a fuoco aveva individuato qualcosa che somigliava a un volto.
Disposta su tre gradini, come se fosse assisa, c’era l’imponente forma di un uomo. Seduto con le gambe incrociate, troneggiava sul putrido labirinto fognario, gli occhi enormi dentro la maschera di carne e corna. I piedi maciullati erano come gli zoccoli di un enorme bovino.
«È stato quel pazzo?» chiese Caterina automaticamente.
«Sì», fece Walter.
Un panico fulmineo guizzò nel cervello spossato di Caterina. Ma allora Niko era in pericolo. O era riuscito a scappare?
«Dov’è?»
«Lo Scultore? Mancini lo prenderà.»
Una morsa la afferrò ai fianchi. Quel terrore irrazionale, quella paura che legava in un nodo le vite del piccolo rom e di Caterina, era lì, tra loro.
«Dov’è Niko?»