Nota dell’autore
La forma del buio prosegue il cammino iniziato con È così che si uccide tra le strade, i cunicoli, i monumenti classici e post industriali, il sotto e il sopra, l’acciaio e il verde della mia Roma. Se È così che si uccide è un libro sul senso (relativo) della giustizia e sulla disumanità di cui sono capaci gli uomini, La forma del buio affronta il tema della realtà e del suo doppio: l’illusione, la visione, la trasformazione. Giustizia e realtà, due fulcri del pensiero occidentale, concetti cardine su cui si fondano le nostre società, in questi romanzi vengono messi in discussione dalla forza perturbante di agenti negativi esterni: i serial killer.
L’idea di La forma del buio è nata da una definizione di Jung che mi ha sempre affascinato, per cui la realtà, al contrario di ciò che comunemente crediamo, è qualcosa di sfuggente, qualcosa che la psiche ricrea continuamente per renderla addomesticabile, digeribile: «La nostra mentalità conscia continuamente ricrea l’illusione di un mondo esteriore chiaramente configurato, ’reale’, che è la fonte di molte altre percezioni».
Lo sfondo su cui si muovono i personaggi della squadra di Enrico Mancini, e lo Scultore, stavolta è quello della Roma delle ville e dei parchi, luoghi antichi e moderni in cui dimorano i fantasmi del tempo. La Galleria Borghese nell’omonima villa raccoglie capolavori del Bernini, di Tiziano e Caravaggio, e Villa Torlonia ospita la magica e pittoresca Casina delle Civette. Ma accanto a questi parchi antichi ce ne sono altri sui generis che conservano i frammenti della memoria infantile, della favola, del sogno e delle paure, ovviamente. Il Giardino zoologico e il vecchio LunEur, il luna park della capitale. Sono tutti luoghi che custodiscono da sempre alcuni dei simboli dell’alterità: le forme surreali degli animali esotici e quelle fiabesche dei mostri dei nostri incubi.
E i mostri sono le creature perturbanti per antonomasia. Etimologicamente sono cose straordinarie e, in quanto tali, incarnano l’irrealtà, la fantasia. Più in generale, esprimono la manifestazione di ciò che è fuori dall’ordinario, di qualcosa che viola le leggi di natura e il senso stesso della realtà. Ammonimento, presagio o spaventosa meraviglia, il mostro si colloca sempre e comunque fuori dall’umano, dal naturale, dal reale, come un’essenza ambigua e sfuggente che allude e rimanda all’altro tema di questo romanzo: la trasformazione, così come emerge dalle letterature antiche. Penso ai poveri compagni di Ulisse mutati in porci dalla maga Circe nell’Odissea, ricordo la carica fantastica e affascinante delle Metamorfosi di Ovidio o dell’Asino d’oro di Apuleio. Il passaggio da uno stato all’altro, le ibridazioni tra uomini e animali, animali e animali, la sfinge e il centauro, la chimera e l’ippogrifo. Il transito di forme dal divino all’umano, attraverso mille mutazioni animali che hanno affascinato generazioni di lettori.
Sono suggestioni che hanno concorso a immaginare un romanzo che avesse nel suo cuore questa condizione di ambiguità e di trasformazione. E, in un certo senso, La forma del buio è anch’esso un libro in trasformazione. I suoi protagonisti, in un modo o nell’altro, sono tutti in viaggio per cambiare, per divenire qualcos’altro da sé. Tutti attraversano un passaggio di stato colto in divenire.
E non solo loro. Non posso infatti ignorare l’importanza del mio viaggio, della mia mutazione al momento dell’ideazione di La forma del buio. Ho cominciato a scrivere mentre giravo l’Italia delle librerie per presentare È così che si uccide, mentre anch’io, quindi, affrontavo una metamorfosi fondamentale: quella da addetto ai lavori, editor e traduttore, a scrittore.
Se le paure, la notte, i mostri, le visioni, le vertigini dell’incubo mi hanno accompagnato in questo anno faticoso e fortunato, è grazie ai lettori e ai librai che ho incontrato che sono riuscito a trasformare tutto questo materiale immaginario nel romanzo che adesso avete tra le mani.