Capitolo trenta

Rimaniamo tutti immobili in un silenzio carico di stupore prima che la mamma lo infranga per scusarsi.

Non so come, ma non avevo fatto caso che fosse nel suo lettino, e Harry sceglie proprio quel momento per svegliarsi e iniziare a cercare la mamma. Lei attraversa velocemente la stanza e lo prende in braccio, accarezzandogli la testa, per poi appoggiarlo sul pavimento. Lui è inconsapevole della guerra aperta che lo ha contornato, e trotterella alla volta dei suoi giocattoli.

Il papà è seduto sul divano e si massaggia le tempie, gli occhi fissi a terra.

La mamma ripiega i fogli e li ripone nella busta, prima di passarmela. «Non ho mai avuto dubbi sul test», mi confessa. «Non puoi sapere quanto sia contenta che ora sia ufficiale». Si gira verso Nattie e Rhys. «Grazie per aver fatto sentire mia figlia a casa».

«Mamma…».

Mi interrompe con il movimento di una mano, per continuare con Nattie e Rhys. «No, voglio dirlo. Apprezzo molto il modo in cui avete accolto Olivia in paese».

«Mamma, sono qui».

«Sono tua madre, è mio dovere imbarazzarti. Ho diversi arretrati da recuperare».

Sorride e solo in quel momento capisco quanto sia importante per me la sua felicità.

Nattie risponde che va bene così, quindi domando alla mamma cosa sta succedendo con Max e Ashley.

Lei passa qualche istante a guardare Harry prima di rispondermi. «Max non è così, quando siamo solo noi due», commenta. «Mi ascolterà. È il fratello a innervosirlo».

«Perché sono sempre insieme?».

È una domanda inopportuna, lo so. Non sono fatti miei – eppure, per il momento, mi pare di poter chiedere qualsiasi cosa e riuscire a ottenere una risposta.

«Sono sempre stati una coppia», spiega la mamma. «Non è che non lo sapessi».

Potrebbe sembrare casuale, ma è difficile dirlo: la mamma si sta toccando l’area sotto il gomito, dove ho visto i lividi. Indossa una maglia a maniche lunghe, e smette subito, non appena si rende conto di cosa sta facendo. Sa che l’ho notato, e si volta di scatto.

Potrei dire qualcosa, specialmente con il papà qui – ma poi, cosa succederebbe? Non mi aspetto certo che lui difenda il suo onore, o cose simili. E i fratelli Pitman hanno già abbastanza motivi, per quanto forzati, per avercela con lui.

Forse accorgendosi che qualcosa non va il papà si alza dal divano. «Vado», annuncia. «Ho un paio di cose da fare. Grazie per avermi invitato».

Stavolta i miei genitori si scambiano un rapido abbraccio.

Il papà indica Harry, che si sta divertendo felice con i mattoncini Duplo.

«È un bambino splendido».

«Grazie».

Dice a Rhys che è stato un piacere incontrarlo, e fa lo stesso con Nattie, aggiungendo che è stato bello rivederla. Non so abbia riconosciuto la bambina dai capelli rossi che una volta giocava nel nostro giardino, o se ci sono altri motivi per i quali la conosce.

Lo accompagno alla porta e per un momento siamo solo noi due.

«Grazie per essere venuto».

«Non avrei voluto essere altrove».

«Va tutto bene?»

Il papà appoggia una mano sulla mia spalla, ma riesco a sentire ancora l’odore dell’alcol nel suo fiato, quando espira. È coperto dalla menta, ma c’è.

«Ci sto lavorando», mi dice.

«Hai bisogno di un passaggio in paese?»

Scuote la testa. «Una passeggiata mi farà bene». Apre la porta e rimane sulla soglia. «Ti voglio bene», aggiunge. «Ti prometto che non ti deluderò di nuovo. Mai più. Hai bisogno di me, e sono qui. Mi prenderò cura di te. Ho molto a cui rimediare».

«Non devi, papà».

Mi abbraccia. Sento il battito del suo cuore e il suo respiro lento e pungente sul collo. Non che non ami il contatto, ma oggi tutti sono stati molto sdolcinati. Gli do un colpetto sulla schiena e lui indietreggia.

«Ci vediamo presto», mi dice. Quando si volta, lo guardo camminare sul vialetto, verso la strada.

Non si gira, poi scompare dalla mia vista. Mi chiedo se dovrei fare di più, o coinvolgere altre persone. Ho passato ore nella stanza sopra il pub a leggere gli articoli nella scatola che mi ha dato la mamma, ma non ho trovato il tempo per capire cosa sia meglio fare per aiutare una persona con una dipendenza. Forse dovrei prima risolvere i miei problemi.

Torno dentro, la mamma è impegnata a nutrire Harry con una specie di poltiglia contenuta in un vasetto. Lui sembra soddisfatto, qualsiasi cosa essa sia, e questo la dice lunga su di lui. Se si pensa al padre e allo zio, è difficile capire da chi abbia preso questo esserino così gioioso.

La mamma dice a me, Rhys e Nattie che dovremmo «andare a divertirci», quindi immagino che abbia bisogno di un po’ di tempo da sola. Non c’è motivo di discutere.

C’è solo una strada che porta al centro del paese, presumo che incroceremo il papà in macchina, ma non c’è traccia di lui. Siamo quasi al parcheggio dell’ufficio postale quando Rhys parla, per la prima volta dopo molto tempo.

«Te l’ho detto che è come una soap opera, qui», dice.

Fa una pausa, so che si sta chiedendo se non si sia spinto troppo in là, ma poi Nattie inizia a ridacchiare ed è impossibile non unirsi a lei.

Parcheggio, e ci troviamo all’angolo vicino all’obelisco. D’istinto, mi dirigo verso il Black Horse, ma Nattie mi ferma.

«Pub?», domando.

«Lascia che ti mostriamo qualcosa di nuovo. Sai che c’è un altro pub in paese, no?»

«Ma è un sacrilegio», esclamo. «Pete non me lo perdonerà mai».

«Il tuo segreto è al sicuro con noi. Andiamo».

Ci incamminiamo nella direzione opposta, lungo High Street, e seguiamo il percorso finché il marciapiede non finisce e dobbiamo continuare sulla strada. Mi è difficile non pensare a ciò che Iain mi ha raccontato, a cosa gli è successo qui intorno. Un minuto era in un posto, quello successivo si è trovato in ospedale e aveva perso l’uso delle gambe.

Il problema è che, per tutti gli altri, la storia è finita. Mistero risolto: la ragazza scomparsa è tornata in città, tutto qui.

Ma loro non sanno ciò di cui io sono a conoscenza, e nessuno sembra aver capito che ci sono altri segreti in paese. La gente non sa che mancano le risposte ad alcune domande.

L’unica cosa è… dovrebbe interessarmi?

Forse sì. Non ne sono sicura, ma, nel caso, non devo pensarci oggi. Oggi bisogna festeggiare.

The Angry Sheep, “la pecora arrabbiata”, è un nome ridicolo per un pub. L’interno è esattamente l’opposto del Black Horse. Al posto di muri in pietra e caminetti d’atmosfera, un soffitto altissimo sostenuto da travi dall’aspetto troppo nuovo. Il bar di Pete ha sapore di casa, nonostante il sudiciume dei tavolini appiccicosi. Qui, i tavoli sono smaltati con una finitura lucida. Non riesco a immaginare una pila di scarponcini da trekking vicino alla porta in questo posto, figuriamoci cani bagnati fradici o zolle d’erba.

Troviamo un divanetto e Rhys rifiuta la mia offerta di pagare, spiegando che stiamo festeggiando in mio onore e che siamo sue ospiti. Prendiamo il nostro solito – due Guinness e un sidro – ma lui ammette di essere sotto di qualche sterlina per ogni giro rispetto ai “prezzi Horse”. Concordiamo che i “prezzi Horse” sono l’unità di misura ufficiale di ogni transazione finanziaria.

Il pomeriggio passa in un baleno mentre beviamo e ridiamo. Immagino che la “chiamata” di lavoro che Rhys stava aspettando, alla fine, o non è arrivata, o è stata ignorata. Non c’è menzione dei tredici anni, né della mamma e del papà, o di tutte le altre cose. Non riesco neanche a ricordare di cosa parliamo. Cose normali, comunque: serate fuori, applicazioni per i nostri smartphone, i negozi migliori per lo shopping, i viaggi che vorremmo fare. Tutti gli argomenti confluiscono in una sensazione.

Mi sento desiderata.

Ho dei genitori, un fratellino, degli amici.

Per la prima volta da quando sono arrivata, questo paese mi sembra casa.

L’alto soffitto del pub precipita verso di me e torna indietro, le travi ruotano, i faretti si accendono a intermittenza. Ho bevuto troppo ma non credo che sia l’unico motivo per cui mi trovo a riposare sulla spalla di Nattie, dicendole che ha dei capelli fantastici e che dovremmo assolutamente andare a vivere insieme. Rhys è al settimo cielo e si dirige al bar per un altro giro.

Beviamo ancora.

Il cielo è un vortice confuso di viola, grigio e nero quando usciamo dal pub. La notte sta calando mentre io e Nattie balliamo davanti a Rhys lungo la strada verso High Street. L’aria fresca mi fa smaltire un po’ la sbornia e, nonostante i colori del cielo continuino a confondere i miei pensieri, riesco a camminare da sola.

Alcuni clienti abituali stanno uscendo dal Black Horse, il che significa che dovrò usare la mia chiave della porta sul retro per andare a dormire. La notte è ancora giovane, però, e non c’è motivo di separarci. Nattie fa strada, oltre il pub e il Via’s, verso la collina e poi lungo il fiume in direzione di Ridge Park. Canta barcollando di fronte a me, che cammino di fianco a Rhys.

Lui sembra non subire gli effetti dell’alcol. A volte fa fatica a parlare ma sembra ancora lucido.

Non so se sia stata Nattie, o qualche segno del destino a condurci qui, ma ci ritroviamo all’albero con la mia corona commemorativa. Nattie si lascia cadere a terra e appoggia la testa al tronco, mentre Rhys e io ci sediamo con un po’ più di grazia.

«Dovremmo toglierla», farfuglia Nattie.

«La ghirlanda?»

«È ufficiale. Sei tornata».

È calata la notte, la luna risplende e il cielo è senza nuvole. È così limpido che il parco pare illuminato a giorno. Riesco a vedere da una parte all’altra del campo.

Rhys si alza e sgancia la ghirlanda dall’albero. La appoggia con attenzione ai miei piedi e faccio scorrere le dita sulle fascine di legno intrecciate.

«Come ha potuto resistere così a lungo?», chiedo.

È Rhys a rispondere: «I bambini della scuola elementare sostituivano i pezzi che si inumidivano o iniziavano a disfarsi. Questa probabilmente non è più l’originale. Credo ne abbiano cambiate alcune durante gli anni. Hanno fatto una specie di messa, qui, per il decennale. Ma non ce ne sarà più bisogno».

Guarda in alto il nodo del tronco e seguo i suoi occhi fino alla parola OLIVIA. È più di una serie di lettere incise con un coltellino tascabile; chi lo ha fatto ha agito con maestria.

«Bruciala». Nattie ride fragorosamente mentre dondola avanti e indietro, sbattendo piano la testa contro il tronco.

«L’albero?».

Il suono delle sue risate riecheggia nell’immenso spazio aperto.

«La ghirlanda», ribatte. «Bruciala».

Rhys distende le gambe e prende un accendino dalla tasca, lo fa scattare e una fiamma si staglia nell’oscurità.

«Possiamo farlo, se vuoi», dice. Sta parlando a me. La fiamma muore e mi porge l’accendino.

«Fallo!», esorta Nattie.

Passo le dita sul legno. Qualcuno ha lavorato molto per creare quest’oggetto. Probabilmente più di una persona.

«No, non mi va».

«Ma sei tornata», esclama Nattie. Si tira su e si avvicina a me. «Non ne hai più bisogno ora».

Rhys ripone l’accendino in tasca. «È comunque un luogo di ricordo per le persone», commenta. «È pur sempre accaduto».

Nattie si appoggia sulla mia spalla, la cingo con un braccio. «Ma sei a casa…».

«Sì», rispondo. «Sono a casa».