Capitolo cinque
Per un po’, restiamo tutti seduti a guardare Harry che gioca. È meraviglioso nella sua inconsapevolezza, felice nel suo mondo e ignaro del fatto che la sua famiglia sia cambiata. Un giorno forse vorrà sapere cosa è accaduto oggi.
Sono gelosa della sua innocenza.
Ashley si agita sulla sedia, forse vorrebbe dire qualcosa, ma apparentemente non a me. Mi azzardo a lanciargli un’occhiata: non sta guardando Harry, i suoi occhi sono solo per me. Una parte di me vorrebbe sfidarlo, allargare le spalle e chiedergli quale sia il suo problema, ma non mi sembra il momento adatto. Non ancora. Continuo a ripetermi che ora siamo parenti – ziastro e nipote acquisita. Che modernità…
Mi alzo e chiedo dov’è il bagno. La mamma mi spiega che ce ne sono due: uno vicino alla porta d’ingresso, l’altro al primo piano. Sorridendo a Harry, esco dalla stanza e cammino lungo il corridoio, fino alla cucina. Dalla veranda giunge solo silenzio, quindi continuo verso l’ingresso; apro e chiudo la porta del bagno rumorosamente e poi ripercorro il corridoio in punta di piedi nel tentativo di non farmi sentire.
L’unico rumore che proviene dalla stanza è quello di Harry che gioca, inframmezzato al suo linguaggio incomprensibile.
Passa solo qualche secondo prima che la conversazione ricominci.
«Come fai a essere sicura che sia lei?».
Non so se sia Max o Ashley a parlare. Il primo non ha quasi proferito parola, e quando lo ha fatto ha usato lo stesso tono grave del fratello. Sembra che abbiano ingoiato vetro da bambini.
«Cosa vorresti dire?», ribatte la mamma.
«Potrebbe essere chiunque, no? Non è difficile scoprire che Olivia avrebbe, quanti?, diciotto anni? Diciannove? Venti? Chiunque potrebbe fingere di essere lei».
È ciò che mi sono aspettata per tutto questo tempo. Come fa mia madre a sapere che sono proprio io? Ha detto di aver riconosciuto i miei occhi, ma è sufficiente? È vero? Mi aspettavo di dover fornire delle prove, ma oggi nulla è andato come mi aspettavo.
«Riconosco gli occhi di mia figlia».
Sento un risolino, che mi conferma che è Ashley a parlare. Sono ferma nei pressi della cucina, ma le voci sembrano rimbalzare sulle assi di legno del pavimento. Riuscirei a sentirli anche se fossi vicina all’ingresso.
«Occhi?», esclama l’uomo. «Stai credendo a tutto questo basandoti solo sul colore dei suoi occhi?».
È indignato e sembra deriderla ma, in un certo senso, sta dando voce ai miei pensieri. Occhi? Essere madre vuol dire questo? Se ci fossero dieci bambini, ognuno chiuso in uno scatolone con due fori per mostrare gli occhi, una madre riuscirebbe a individuare il proprio figlio?
E lei potrebbe riuscirci dopo tredici anni?
«Non è solo il colore», replica la mamma. «È molto più di questo. Non puoi capire».
«E perché non potrei capire?»
«Perché non hai partorito, né mai lo farai».
È di sicuro Ashley a parlare. Posso percepire la tensione fin dal corridoio.
«Devi fare un passo indietro e pensare razionalmente», afferma Ashley, cambiando tono. Ha provato con la forza, ora torna alla carica con la logica.
«Pensare a cosa?», risponde la mamma.
«Ti sta ingannando».
«So che eri il proprietario di un’autofficina, ma non tutti passano il proprio tempo a truffare il prossimo». Sembra non poterne più, quasi pronta a litigare.
«Cosa vorresti dire?».
La reazione brusca ha di sicuro un significato implicito, ma è difficile da cogliere senza vedere la faccia dell’uomo. Tuttavia, suona pericolosa.
La mamma risponde all’istante, interrompendo Ashley. «Niente. Voglio solo dire che è mia figlia. Chiamalo istinto, o come ti pare. Ma so che è lei».
«A me sembra più “ingenuità”».
«No. Sa delle cose. Ricorda un mio vestito. Natalie festeggiò il suo compleanno alla sala da bowling, quando era bambina, e Olivia sapeva anche quello. Ricorda me e suo padre che giocavamo a rounders sulla spiaggia».
C’è un momento di pausa, forse la conversazione è finita. Perlomeno oggi sono riuscita a comunicare qualcosa in modo chiaro. Non mi ricordo tutto ciò che ho detto alla mamma, ma solo cosa volevo dirle. È tutto confuso. Il mio obiettivo era rivolgermi a lei in modo razionale, quasi cinico. Ma vederla dopo tutti questi anni è stato emozionante.
Adesso parla Max. Ora mi accorgo della sottile differenza tra le voci dei due fratelli. Ashley parla in maniera più lenta e ponderata. Ogni sua parola contiene una minaccia velata. Max ha un tono molto più sfumato. Non sembra arrabbiato o risentito, ma spaventato – probabilmente è preoccupato per la moglie e il figlio.
«Sai che potrebbe esserci una spiegazione anche per questo».
«Per cosa?»
«Per i suoi ricordi».
Un brivido mi attraversa la schiena; non posso fare a meno di iniziare a tremare. Sento un ronzio, mentre mi sforzo di seguire la conversazione.
È la mamma ora a parlare: «Cosa vorresti dire?»
«Sono tutte notizie apparse sui giornali dell’epoca. Ricordo la foto di Olivia al mare. Chiunque può averla vista. Scommetto che ne è stata pubblicata anche una della festa. Le avevano diffuse per aiutare le persone a identificarla. Alcune saranno sicuramente finite online, ma ci sono comunque gli archivi cartacei nelle biblioteche. Chi volesse andare in cerca di informazioni, potrebbe reperire ogni cosa».
È come se fosse stata accesa una lampadina, quando si sente la corrente che ronza nella frazione di secondo prima che il bulbo si illumini.
C’è un breve silenzio interrotto dalla risposta di mia madre: «Mi stai dicendo che non le credi?»
«Sto dicendo che questo è il problema di rendere pubbliche delle informazioni. Chiunque potrebbe trovarle e usarle contro di te».
Logica, non sentimento. Era ciò che volevo, quando ho immaginato questo giorno. Era ciò che mi ero ripromessa: sii razionale. Spiega chi sei e dove sei stata.
Solo che non funziona quando si tratta di persone in carne e ossa; quando ci sono lacrime nei loro occhi, e il loro labbro inferiore inizia a tremare. Penso di aver detto tutto ciò che avrei voluto, ma non ne ho la certezza. Voglio essere la figlia di mia madre, eppure una parte di me desidera lasciare questo paese e non tornarci mai più. Pensavo che sarebbe andato tutto bene, ma è davvero troppo strano.
Un’altra pausa. Harry continua a giocare sul pavimento – sento i mattoncini che cozzano l’uno contro l’altro. Mi appoggio al muro e sollevo una gamba, poi l’altra, per alleviare i crampi. Quanto a lungo posso stare qui indisturbata prima che qualcuno venga a cercarmi?
«Perché non dici cosa pensi davvero?».
La mamma sta usando un duro tono di rimprovero. Sembra piccata, come se nulla di tutto ciò le fosse passato per la mente, prima.
«Non so cosa sto pensando», risponde Max.
«Io sì», dice Ashley. «È una truffatrice. Si presenta qui dopo tutto questo tempo e… Ti ha già chiesto dei soldi?»
«No».
«Lo farà – non dimenticare queste parole».
«È questo che credi? Che sia un’imbrogliona?»
«È tutto ciò che ho da dire. E non lascerei mio figlio solo con lei, se fossi in te».
Un altro brivido mi corre lungo la schiena; una parte di me vorrebbe percorrere il corridoio e andare a mettere i puntini sulle I. L’insinuazione che io possa essere un pericolo per il piccolo è troppo offensiva.
La mamma riesce a malapena a trattenere la rabbia. «Non permetterti di parlare di lei in questo modo. Questa è ancora casa mia e…».
«Non è casa tua».
«Be’, sicuramente non è tua».
Mi chiedo cosa ci sia tra la mamma e Ashley, se la causa del problema sia io o lei stessa. Max non pare stia dicendo o facendo granché per calmare ciò che sta montando tra il fratello e sua moglie.
La voce della mamma stavolta trema, e si spezza a metà della risposta: «Perché mai qualcuno farebbe una cosa del genere? Non siamo ricchi».
«Ma lo sembrate». Ashley è sprezzante, come se quel commento fosse ovvio. «Una casa grande, una macchina lussuosa, un bar. Quanto spendi dal parrucchiere ogni mese? E per la manicure? Per l’abbronzatura? Cristo…».
«Piantala!». Max finalmente lo interrompe. Non capisco cosa dice dopo, ma il senso dovrebbe essere che il fratello sta esagerando. Quando riprendo ad ascoltare, il tono è conciliatorio. «Credo che Ash voglia dire che là fuori ci sono pazzi di ogni genere. I giornali sono pieni di notizie simili. Dovresti metterla alla prova».
«Tipo? Farle delle domande? Tu cosa ricordi di quando avevi cinque anni? È stata abbastanza onesta da ammettere di aver dimenticato quasi tutto. Pensi che davvero qualcuno possa mettere in piedi una tale messinscena, inventarsi ogni cosa, solo per mettere le mani sugli incassi di un bar o il denaro di qualche corsa in taxi?»
«Il denaro di qualche corsa in taxi!». Ashley urla, poi riabbassa la voce. «Ci tratti sempre con superiorità, dall’alto del tuo piedistallo…».
Max lo zittisce. Forse si stanno chiedendo dove sia finita. Mi rialzo sulle punte dei piedi, e il mio polpaccio sinistro è colpito da un altro crampo.
Quando Max – il mio patrigno – riprende a parlare, le sue parole sono rapide: sa che ormai potrei essere di ritorno in ogni momento. «Puoi fare un test del DNA», dice. «Ci sono tantissimi laboratori online che li effettuano oggigiorno. Se lei è chi dice di essere, chiedile di lasciarti passare un tampone nella sua bocca».
«No. Come ti sentiresti se tua madre ti chiedesse una cosa simile? È offensivo: sia nei miei confronti, sia nei suoi».
È Ashley a rispondere: «Potremmo rubarle qualche capello e inviarlo…».
«Non ci provare neanche».
«Be’, se non ha niente da nascondere…».
Sono stata appoggiata su una gamba troppo a lungo; sposto il peso sull’altra, facendo scricchiolare il legno del pavimento. Cala il silenzio, ormai non posso più fare finta di niente. Ripercorro il corridoio fino alla veranda, tenendo la testa alta nel tentativo di mostrarmi sicura di me stessa. Ashley mi fissa. Io sostengo il suo sguardo con tutto l’interesse che riesco a trovare. Di recente ho letto un libro su come accrescere la fiducia in se stessi: sembrava tutto molto semplice, in teoria. Sta’ sempre dritta, in piedi o seduta: parla lentamente e in modo chiaro; sorridi – anche se è un ghigno mentre devi mandare giù il rospo; mantieni il contatto visivo e non distogliere lo sguardo.
«Non dovrei avere nulla da nascondere a che riguardo?», domando.
Il silenzio esplode, persino Harry smette di colpo di giocare sul pavimento. Sento che mi sta fissando con i suoi occhioni, ma non è il momento di distrarmi dal mio zio acquisito.
Ashley si alza dalla sedia, ignorandomi e perdendo la battaglia visiva.
«Me ne vado», dice.
Non si aspetta che qualcuno lo fermi o lo segua, così gira i tacchi e s’incammina lungo il corridoio. Poi la porta d’ingresso sbatte e torna la quiete.
«Cos’hai sentito?», mi chiede calma la mamma. Sembra ferita.
«Non molto. Mi sono persa qualcosa?».
Sospira. «Niente, solo che… È tutto nuovo, diverso… È uno shock enorme. Le persone non sanno come reagire».
Mi prende un ginocchio e lo stringe. Sono in carne e ossa. Lo sono davvero. Quando la guardo, ha un sorriso triste e appare invecchiata di molti anni rispetto a qualche minuto fa. Cerco i particolari che ha citato Ashley: mi accorgo che si comincia a notare la ricrescita scura dei capelli, le rughe intorno alla bocca e agli occhi; ci sono un paio di chiazze più pallide sotto le orecchie, dove l’abbronzatura artificiale non è arrivata. All’improvviso, sembra stanchissima.
«Vorrei chiederti molte cose», dice. «C’è tantissimo di cui non sono al corrente. Per esempio, se hai un ragazzo… o una ragazza, magari. Se hai un titolo di studio, dove sei stata, cosa hai fatto nella vita…». Si interrompe. «Dove pensi di stabilirti?», mi domanda.
«Al Black Horse, in paese. Hanno una stanza sopra il pub». Alza gli occhi al soffitto. «C’è una camera libera, qui…».
Osservo Max, che tiene le braccia conserte. Sta sorvegliando Harry sul pavimento, senza intromettersi. Aspetto che si giri verso di me per guardarlo negli occhi.
«Non credo che sia una buona idea», rispondo.