Capitolo dieci

La madre di Nattie spalanca la porta prima che io bussi la seconda volta. È la copia esatta di come apparirebbe la figlia se non stesse ore davanti allo specchio. I capelli di Nattie sono lisci e lunghi, sua madre ha una nuvola di ricci ribelli. Hanno le stesse lentiggini e quel sorrisetto saccente, come se fossero sempre un passo avanti a tutti.

Allarga le braccia. «Olivia Adams, in carne e ossa». Senza che me ne renda conto – e di certo prima che possa opporre qualsiasi tipo di resistenza – mi stringe in un abbraccio, premendo la mia faccia sul suo petto e serrando le sue braccia intorno alla mia schiena. Poi mi lascia andare alla stessa velocità con cui mi ha presa e fa un passo indietro per guardarmi meglio.

«Non ci posso credere. Ieri sera, quando Natalie è tornata e ha raccontato chi aveva incontrato al pub, pensavo che avesse alzato troppo il gomito. Sai com’è. Allora ho chiamato tua mamma e mi ha detto che era tutto vero. Non ci crederei, se tu non fossi qui davanti a me».

Rientra in casa, tenendo la porta aperta.

«Vieni dentro, dài», dice. «Hai mangiato? Vuoi un tè? Un caffè? Qualcosa di forte?».

Esplode in una risata mentre le passo accanto. Mi conduce nel soggiorno. È un po’ fuori moda – un divano rivestito di feltro, un tappeto quadrato e una vetrinetta piena di cristalleria – ma molto accogliente. Alle pareti sono appese fotografie che ritraggono soltanto persone con i capelli rossi. Molte sono di Nattie.

«Non ti ricordi di me, vero?».

La donna ha richiuso la porta e sta saltellando sul pavimento, facendomi segno di seguirla in cucina. L’ambiente è interamente di un marrone chiaro, color cioccolato.

«Be’, ecco…».

«Mi chiamo Georgina, tesoro. Chiamami Georgie, se preferisci – lo fanno tutti». Dà un colpetto su un alto sgabello di fronte al piano della colazione, e mi ritrovo seduta. «Allora, bentornata a casa! Dubito che Stoneridge sia cambiata molto. Questo posto è a malapena entrato nel XX secolo, figuriamoci nel XXI».

Ride di nuovo e non è difficile imitarla, come se il suo entusiasmo fosse una specie di malattia infettiva. Non mi chiede dove sono stata né cosa sia successo, e non posso credere che non sia curiosa. Nattie deve averle raccontato tutto, il che mi risparmia la fatica. Non è il benvenuto che avevo previsto. Mi aspettavo le Domande.

Dove sei stata?

Perché sei tornata?

E ora?

Tutti mi chiedono le stesse cose, e non posso biasimarli. Io farei lo stesso. Chiunque lo farebbe.

«Natalie mi ha detto che vi siete fatte una bella chiacchierata, ieri sera», inizia Georgie.

«Ci siamo ritrovate».

«Buon per te, tesoro. La mia Nat è una brava ragazza. Voi due eravate molto unite». Indica la credenza. «Quindi, cosa posso offrirti? Tè? Caffè? Biscotti? Ho delle tortine francesi, se vuoi…».

«Ho mangiato da mia mamma un paio d’ore fa».

«Oh, che bella notizia, cara. Sarà su di giri per il tuo ritorno dopo tutto questo tempo».

Parla come se si riferisse a un bambino smarrito tra i corridoi di un supermercato; sotto molti punti di vista, la sua disinvoltura è ancora più strana delle domande che di solito mi vengono rivolte.

«Speravo che potessi raccontarmi qualcosa in più su di lei», le dico. «Non ricordo molto dei miei genitori…».

Basta questo. Georgie si avvicina in modo complice ed è chiaro che adora i gossip. Non scorderà questa conversazione per mesi. «Cosa vorresti sapere? Siamo cresciute insieme, sai. Stessa scuola, stesso paese…».

«So che lei e mio padre hanno divorziato, ma non so molto di Max».

Georgie fa una pausa per riempire il bollitore e metterlo sul fuoco. Si appoggia al ripiano della cucina e inizia ad armeggiare con il ferretto del suo reggiseno. «Maledetto», mormora, poi mi guarda. «Conosco tua madre dai tempi della scuola, ed entrambe conosciamo anche Max, da allora. Eravamo tutti nella stessa classe alle elementari di Stoneridge. Tua mamma ha cominciato a uscire con lui ben prima di conoscere tuo padre».

«Cioè, da quando eravate a scuola?».

Annuisce, poi Georgie conta sulle dita esattamente come ha fatto sua figlia ieri sera. «Parliamo di vent’anni fa, o forse più. Eravamo più giovani di te ora. Quindici, sedici, diciassette anni – quell’età lì. Credo che fossimo sedicenni quando tua mamma usciva con Max, e io con suo fratello maggiore».

«Ashley?».

Inarca le sopracciglia, ma solo per un momento. «Quindi hai incontrato anche l’altro fratello Pitman? Non mi sorprende, è come se fossero gemelli siamesi. Comunque, uscivamo sempre in quattro. Ashley era più grande di noi tre – aveva diciotto o diciannove anni. Il paese era molto più piccolo ai tempi, tutti conoscevano tutti. Era un maledetto incubo riuscire a combinarne qualcuna».

Mi strizza l’occhio. Il bollitore inizia a fischiare, e lei si versa una tazza di tè.

«Le cose sono cambiate dopo la fine della scuola», dice. «Tua mamma ha iniziato a frequentare Dan, che era un po’ più grande di noi. Era molto diverso da Max. Max per tua mamma è stato il primo amore, una di quelle situazioni in cui vedersi tutti i giorni fa nascere in modo naturale un’infatuazione. Ma è impazzita quando ha incontrato tuo padre. Un vero e proprio colpo di fulmine. Si adoravano. È rimasta incinta di te quasi subito, poi, dopo qualche anno, si sono sposati.

«Cosa è successo a Max?».

Alza le spalle. «Non ne ho proprio idea. Ho smesso di uscire con Ashley e incontrato il padre di Natalie. Immagino che i fratelli siano andati avanti con la propria vita. Li vedevamo in giro in paese ogni tanto, tutto lì».

Stringe la tazza col tè tra i palmi delle mani e guarda nel vuoto. Forse sta ricordando quei tempi spensierati.

«Hai un fidanzato?».

La sua domanda mi coglie di sorpresa. «Scusa?»

«Ti vedi con qualcuno? Un ragazzo, o quel che è? Non si sa mai al giorno d’oggi. Una volta l’ho domandato a Nattie e mi ha dato dell’omofoba».

Faccio fatica a non sorridere. «No».

Fa spallucce. «La maggior parte delle volte non ne vale neanche la pena. Poi, sei giovane…».

Georgie non approfondisce il concetto, ma inizia a frugare negli armadietti finché non torna con una scatola di latta gigante. Apre il coperchio e prende un Digestive al cioccolato. Lo inzuppa nella tazza e lo addenta. È allo stesso tempo invitante e disgustoso.

«Sono andata a entrambi i matrimoni», dice, dopo aver deglutito. «L’unica presente a entrambi… be’, a parte tua mamma, chiaro. Dieci anni precisi di distanza».

«Come sono stati?»

«Come il giorno e la notte, cara. Il primo, con tuo padre, è stato speciale. Una vera e propria cerimonia in chiesa».

«A Stoneridge?».

Georgie annuisce. Mi fa cenno di seguirla in soggiorno. Quando arrivo, lei è già in ginocchio che rovista in un armadietto di legno. Ne estrae delle cornici impolverate e un album fotografico. Poi tira fuori uno schedario metallico e un’altra cornice. Soffia via lo sporco e pulisce il vetro con la manica, prima di mostrarmi la fotografia.

«Eccoti qua, amore».

Pensavo che si riferisse all’aver trovato la foto, ma col dito indica una bambina bionda vestita da damigella.

«Avevi circa tre anni», dice. «Impossibile che tu ti ricordi, ma io, te e Nattie eravamo le tre damigelle. Certo, è stato un bel modo per farmi fare la babysitter tutto il giorno. Voi due volevate scappare e combinarne di tutti i colori. Teppistelle».

Ride da sola mentre prendo la foto e tolgo qualche grumo di polvere. La mamma appare molto diversa con l’abito da sposa. Più magra e più alta – ma è per i tacchi, probabilmente. Ora ha uno sguardo preoccupato, ma nella foto sembra molto felice.

«Quanto tempo fa è stato?», chiedo.

Georgie conta di nuovo sulle dita. «Sedici anni. Tua mamma ne aveva ventuno».

Pochi più di me. Sembra una decisione affrettata per una persona di quell’età, ma del resto ha avuto un figlio prima dei vent’anni: nella sua vita tutto è successo molto presto. A trent’anni aveva già vissuto più esperienze di quelle provate da molti in un’intera esistenza.

Le tre damigelle sono su un lato e indossano vestiti abbinati. I capelli di Georgie sono così lucidi e voluminosi che è difficile notare qualsiasi altro particolare nell’immagine. Nattie non sta guardando l’obiettivo: è voltata a scrutare la coppia degli sposi.

«Non ridere per la mia acconciatura», mi ammonisce Georgie. «Dio solo sa cosa avevo in testa. Mi ero fatta la permanente, ma con il sole i capelli si erano gonfiati…».

Non riconosco il testimone dello sposo, e non mi sorprende – ma ha lo stesso abito di mio padre. Il papà sorride più di tutti. È snello ed elegante in un completo nero classico e la testa rasata.

«Il secondo matrimonio è stato molto diverso», aggiunge la donna. «Si sono sposati in comune. Eravamo solo in cinque: tua mamma, io, Max, Ashley e il segretario».

«La mamma aveva trentun anni quando si è risposata?».

Georgie alza gli occhi al cielo, come per ricordare, poi annuisce. «Esatto».

«Quando si sono lasciati la mamma e il papà?».

Mi accompagna fino al divano di feltro, che è molto più comodo di quanto sembrasse. «Quasi subito dopo che tu, ehm…». Si ferma e guarda verso un angolo della stanza. «Dopo che tu, uhm… sei scomparsa».

«Tre anni dopo essersi sposati?»

«Più o meno».

«E quando si è messa con Max?».

Georgie si agita sul divano, poi ricomincia a trafficare con il reggiseno. Per la prima volta, pare a disagio. «Non molto dopo, credo…».

I nostri sguardi non si incrociano, ma riesco comunque a intuire cosa sta provando. Con ogni probabilità, la mamma stava già frequentando Max prima che il divorzio fosse ufficiale.

La mia mente è un po’ provata ma, da quello che ho capito, la mamma ha partorito a diciotto anni, si è sposata a ventuno e ha divorziato a ventiquattro. Ha iniziato a vedere Max più o meno a quell’epoca, quindi si è risposata dopo sette anni. Questo vuol dire che sta con Max da dodici o tredici anni. Inoltre, usciva con lui anche da adolescente.

«La puoi prendere se vuoi», dice Georgie, indicando la foto. «Non serve a niente che rimanga qui a impolverarsi in questo armadietto».

«Grazie».

«Scaverò un po’ in giro per vedere se ho qualcos’altro che possa interessarti. Non butto via quasi niente, quindi può esserci di tutto nascosto in giro. Probabilmente ho delle foto di te e Nattie a scuola insieme».

«Mi farebbe piacere».

«Hai già visto tuo papà?».

Distolgo lo sguardo dalla foto, sorpresa del fatto che Georgie l’abbia menzionato.

«No».

«Che tristezza…».

«Cosa è successo?»

«Dopo il divorzio è andato in pezzi. Ero amica di tua mamma, ma conoscevo bene anche lui. Mi sono trovata in mezzo. Credo che lui avesse bisogno di qualcuno con cui parlare, ma a quanto pare tutti i loro amici erano schierati con lei. Lui non aveva nessuno».

Guarda fuori dalla finestra, poi mi fissa. «Non sono sicura che sia giusto dire di più».

Ciò significa, è ovvio, che muore dalla voglia di continuare. Georgie mi piace, sul serio, ma so che devo fare attenzione a quello che dico in sua presenza: tutto il paese ne sarebbe al corrente prima ancora che io fossi uscita dalla porta.

«Mi piacerebbe sapere», dico.

Stringe i denti e sussulta. «Ha provato ad ammazzarsi», dice. «Ha preso molto male la fine del matrimonio. Pillole. Chiaramente non ha funzionato».

Georgie può anche essere la pettegola del paese, ma è molto seria a riguardo. La mamma doveva riferirsi a questo fatto quando ha detto che non è più l’uomo di un tempo.

«Vive ancora qui?».

Annuisce. Le chiedo l’indirizzo.