Capitolo ventinove

Se gli sguardi potessero uccidere, la veranda di casa della mamma sarebbe un film di Quentin Tarantino. Il vantaggio di portare Nattie, Rhys e il papà è che così le occhiate assassine sono divise equamente.

Rhys ne riceve la giusta dose solo per il fatto di essere una persona per lo più sconosciuta a Max e Ashley. Se sanno qualcosa su di lui, non lo danno proprio a vedere. Nattie si sta rivelando invisa per il solo fatto di essere mia amica. E come al solito i Pitman – Ashley, in particolare – stanno facendo del loro meglio in quanto a occhiatacce dirette a me. Ma tutto ciò è secondario rispetto al trattamento riservato al papà.

Sembra totalmente cambiato – almeno, dall’esterno. Sono passata a prenderlo e, quando l’ho abbracciato, c’era solo un vaghissimo odore di alcol sotto il profumo dei vestiti puliti e del dopobarba. Se ha bevuto, lo ha fatto con parsimonia. È lucido e ben consapevole di dove siamo e del perché. Non gli ho chiesto come stia, immaginando che non siano fatti miei. Se vuole avere un qualsiasi genere di rapporto – e pare sia così – sa che dipende da lui. Lui deve migliorare se stesso, non io.

Lui e Max si scambiano con un po’ di imbarazzo una stretta di mano amichevole, mentre saluta la mamma con un cenno della testa.

Come stai, Dan?

Bene, grazie, Sarah. Tu?

Tutto bene, grazie.

Il silenzio tra loro è molto educato e gentile, come se fossero due soci in affari alla prima riunione dopo molto tempo. Tutto distaccato e professionale.

Sebbene Max e mio padre si stringano la mano, ciò non avviene con Ashley. Quest’ultimo non si è mosso dalla sua poltrona nella veranda, e fa correre in continuazione lo sguardo da un gruppo all’altro.

Sembrano cowboy e indiani sul piede di guerra, con la mamma al centro.

Il tavolino di cristallo davanti al divano è vuoto, a eccezione di una busta marrone. Convergiamo tutti lì intorno, in piedi, in attesa.

«È arrivata cinque minuti prima di te», ci spiega la mamma. L’occhiata che lancia ad Ashley è un indizio rivelatore, mentre aggiunge: «Ho pensato che fosse meglio essere tutti qui prima di aprirla».

Ho i brividi. La peluria del collo mi si è rizzata e avverto un formicolio alla punta delle dita.

La mamma raccoglie la lettera dal cristallo e la muove in alto e in basso, come a volerne soppesare il contenuto – non il peso della carta, ma quello delle parole stampate su di essa.

«Tu o io?», mi domanda.

«Fallo tu».

Sembra che tutti stiano trattenendo il respiro. La mamma volta la busta e infila un dito sotto l’aletta di apertura. Strappa lungo il sigillo ed estrae un piccolo plico di fogli. Inspira profondamente – le lacrime le bagnano gli occhi. Quasi al rallentatore, gira i fogli e li apre tra le sue mani.

I brividi ora corrono lungo tutta la mia schiena e si propagano fino ai fianchi. È impossibile non tremare, alla luce di tutto ciò che è accaduto e che ha portato a questo punto. L’esito del test confermerà la mia identità per molti più motivi di quanto ognuno possa immaginare.

Il modo in cui la mamma mi guarda è quasi sconfortante. Non sorride, almeno, non subito. «È positivo: coincidono», afferma.

Per un secondo non succede nulla, poi sorride come mai l’ho vista fare. Mi stringe forte, cingendo la mia schiena con una mano, e i fogli stretti nell’altra.

Nattie grida, ma la sento a malapena poiché la mamma sta singhiozzando nel mio orecchio.

Quando mi lascia andare, consegna i documenti al papà.

«Non c’è dubbio», esclama. «Nessuno può mettere in discussione questo risultato. Novantanove virgola nove percento di precisione. Coincidono!».

Il papà appoggia una mano sulla mia schiena, e il momento che si crea è meraviglioso e orribile. Posa la testa sulla mia spalla e mi cinge la vita, specularmente alla mamma. Siamo una famiglia: la mamma, il papà e io.

È solo un secondo, forse due, ma all’improvviso tutto cambia. Se ne devono accorgere tutti, perché i miei genitori si divincolano bruscamente. Le pagine sono arrivate non so come tra le mie mani, anche se non ricordo che il papà me le abbia passate.

«Ma che carini», commenta con tono di scherno Ashley, dalla sua poltrona. «Una bella famigliola felice. Lo vedi, fratello? Proprio come ti ho detto…».

Tutti si fermano. Rhys e Nattie guardano Ashley; la mamma e il papà, invece, Max. Lui rivolge lo sguardo al fratello, mentre Ashley fissa me.

È il papà il primo a parlare. Si allontana di un passo, con le mani in aria. «Scusate», dice con aria sommessa. «Non volevo. Ero solo emozionato per il test, tutto qui».

Ashley si alza e gli va incontro. Sono alti più o meno uguale ma Ashley è più corpulento, con le braccia robuste e un petto possente. Strappa i fogli dalle mie mani e studia la prima pagina, dopodiché la sventola davanti agli occhi del papà.

«Non dice che tu sei il padre, o sbaglio?».

I suoi occhi si rimpiccioliscono e sogghigna con soddisfazione. Sono faccia a faccia, ma la mamma si muove velocemente, infilandosi tra i due e spingendo via Ashley. Sono un po’ sorpresa del fatto che il papà non abbia reagito.

«Stai zitto», intima la mamma.

Ashley rivolge un cenno della testa a Max. «Andiamo. Tutti in paese sanno che voi due non avete mai smesso di andare a letto insieme». Poi, indica me. «Lei potrebbe essere figlia di chiunque».

La mamma cammina verso di lui. «Non ti permettere di venire a casa mia e dire certe cose».

Lui le ride in faccia, e la mamma si volta verso Max.

«E tu non hai intenzione di fare qualcosa a riguardo?».

Max è seduto sul bracciolo del divano. «Tipo?»

«Difendere tua moglie?».

Alza le spalle, e la mamma si sposta, per poi guardare mio padre.

«Non è vero», afferma.

«Lo so».

«Olivia è tua. Non sono mai andata a letto con Max o con nessun altro, al tempo».

Ecco le due parole cruciali alla fine della frase. Chissà se il papà conosce la verità. Forse ha sempre immaginato che la mamma l’abbia tradito con Max alla fine del loro rapporto? Nel caso, non lascia trapelare nulla.

Mi guarda e i nostri sguardi si incrociano. «Non ho mai dubitato che Olivia fosse mia», dice. «Lei è mia figlia».

Ashley osserva il fratello. «Ti stai bevendo questa stronzata della famigliola felice? Ti sta bene che a casa tua succedano queste cose? Ti stanno facendo passare per un idiota. Ti stanno prendendo in giro, e tu resti qui seduto come nulla fosse?».

Max non pare sul punto di reagire, ma c’è qualcosa di strano in lui. Sembra sinceramente confuso, come se non potesse credere a ciò che è capitato.

Ashley è furioso, aspetta solo una rissa, e, visto che persino lui esiterebbe a colpire una donna, i candidati non sono numerosi. Non conosce Rhys e non ha ragioni per accanirsi su di lui, quindi rimane solo mio padre. I risultati del test sono a suo favore. I pugni di Ashley sono chiusi, la sua testa protesa in avanti mentre cammina verso il papà. Mi muovo più svelta di entrambi e mi frappongo ai due. Data la posizione ricurva, riesco per un attimo a guardare Ashley dall’alto in basso e me ne approfitto.

«Un grand’uomo…».

Si raddrizza, gonfiando il petto. «Tu».

Il suo odio è sincero e, nonostante una parte di me vorrebbe ricambiare questo sentimento, io ne sono priva. Non ho motivi reali per disprezzarlo, ma non lascerò che si avvicini a mio padre per niente al mondo.

«Sei un triste omuncolo, lo sai?», incalzo. «Veramente un’esistenza patetica, seguire tuo fratello minore in giro per tutto il mondo. Non hai degli amici? E le donne, qui intorno, sono troppo intelligenti per rivolgerti più di uno sguardo?».

Che Nattie scoppi a ridere non aiuta, ora una vena furente pulsa intorno agli occhi di Ashley. Prima che possa verificarsi il peggio, qualcuno mi porta via a forza, avverto le dita che stringono le mie braccia.

È Max.

Mi fa girare, poi mi spinge verso Nattie, che ha smesso di ridacchiare con la stessa rapidità con cui ha iniziato.

«Non ti permetto di parlare così in casa mia», mi redarguisce. Non sta proprio urlando ma nella sua voce si percepisce una rabbia controllata.

«È mia figlia, Max».

La mamma attraversa la stanza e tutti la guardano. Riprende l’esito del test. «Non puoi continuare a dire che con Ashley è diverso perché fa parte della famiglia. Vale anche per Olivia. Questo lo dimostra. Non ci sono dubbi».

I due fratelli ora sono insieme, da soli, come se ci fosse stato un cambio, sono loro due contro tutti. E ne sono consapevoli.

Ashley cammina intorno a Max, gli occhi fissi su di me. «Come ci sei riuscita?», domanda.

«A fare cosa?»

«A truccare il test».

Non mi aspettavo una cosa simile e sbuffo per l’esasperazione. «Eri qui», gli ricordo. «Mi hai vista passare il tampone nella bocca. Hai visto Cassie prendere e portare via tutto».

«L’hai pagata? O qualcosa del genere? Conosci qualcuno al laboratorio».

«Non sapevo nemmeno il nome del laboratorio finché non sono arrivata. Lo so ora, perché è stampato sulla busta». Indico con la mano i fogli tra le mani di mia madre. «Dài, chiamali e chiedi conferma. Anzi, meglio, chiedi loro di venire qui. Lo rifaremo di nuovo. Puoi tenere tu il tampone in mano, se vuoi. Non cambierà niente».

I fratelli mi guardano con la sensazione che potrebbe accadere qualsiasi cosa. È come se avessero visto un illusionista portare a termine un trucco da maestro, e ora cercassero di capire come ci sia riuscito. Ho camminato attraverso la Grande Muraglia cinese, volato sopra un palco a Las Vegas e levitato di fronte allo Shard.

«C’è per forza dietro qualcosa», continua Ashley. «Cosa vuoi?»

«Non voglio niente».

«Non avrai il nostro denaro».

«Ho rifiutato i vostri soldi. Non voglio niente da voi, non ne ho bisogno».

Silenzio: non c’è nient’altro da dire. Contro la scienza non si può discutere.

Ashley si protende in avanti, puntando un dito accusatorio nella mia direzione. «Scoprirò la verità», minaccia. Prima che qualcuno possa fermarlo, dà uno spintone a Rhys per dirigersi verso il corridoio. Si ferma per un istante e si rivolge a Max. «Vieni?».

Max ubbidisce e, poco dopo, la porta d’ingresso si richiude rumorosamente, propagando un’ondata di rabbia in tutta la casa.