Capitolo venticinque
Domenica
Harry è ancora troppo piccolo per l’altalena, ma si diverte sulla giostrina. Si è accucciato dentro una piccola nicchia accanto al pilastro centrale e ridacchia mentre la mamma la fa girare dolcemente. Ogni volta che ci passa davanti, urla: «Boo!» a squarciagola.
«Non avresti dovuto farlo, ieri», mi dice la mamma.
«Lo so».
Ho la costante sensazione che voglia sempre aggiungere altro quando parla. Chiedere se so quale sarà il risultato, se può veramente credermi. Chiedermi se può avere fiducia.
«Ho visto papà».
La mamma dà un’altra spinta alla giostrina. «Come sta?»
«Meglio. Dice che si sta ripulendo. Aveva fatto la doccia e si era rasato, non male come inizio. Siamo stati alla nostra vecchia casa».
Inarca un sopracciglio. «Perché?»
«Per ricordare, raccontare un po’ di aneddoti. Papà ha detto che l’interno è stato ristrutturato da cima a fondo».
Ride. «Ce n’era proprio bisogno. Era già vecchia quando ci vivevamo noi, ma non potevamo permetterci di realizzare i lavori, al tempo. Avresti dovuto dirmi che sareste andati. Avremmo potuto…».
Si blocca, ma sono abbastanza sicura che avrebbe continuato dicendo che sarebbe venuta con noi. Posso solo immaginare che bufera avrebbe scatenato in paese una riunione di famiglia. Voci e battute.
«Non so quale cognome usare».
Appoggia una mano sul mio ginocchio. «Tuo padre si chiama Adams».
«Lo so, ma tu ne usi un altro».
«Io ora sono una Pitman, e prima una Hanham. Il mio cognome da nubile era quello. Non so se ti sia d’aiuto».
Harry urla: «Boo!» ancora. La giostrina continua a girare e lui scompare di nuovo dal campo visivo, ma la velocità diminuisce sempre più.
«Non so molto dei miei nonni», continuo. «Papà mi ha parlato di suo padre. Ha raccontato che è morto all’incirca nello stesso periodo di tua madre, e che lei non è venuta al vostro matrimonio, ma niente di più».
Quando Harry ci ripassa accanto, la mamma afferra la barra per fermare la giostrina. Lui brontola, ma lei lo prende e ci dirigiamo verso quella che è, essenzialmente, una grossa gallina su una molla di metallo. Harry sembra avere familiarità con quel dondolo: vi sale e riprende a urlare «boo!» ogni volta che oscilla avanti e indietro.
«Tuo nonno è morto quando io avevo solo otto o nove anni», inizia la mamma. «Aveva fumato per tutta la vita: cancro ai polmoni».
«E tua madre?»
«Abbiamo litigato».
Cerca di far cadere il discorso, ma poiché non rispondo sa che non ha alternativa.
«È una storia lunga», afferma. «Non sono sicura che siamo mai andate molto d’accordo. Ero la cocca di papà, da bambina. Tutti i miei primi ricordi sono con lui. Un giorno mi ha portato sulle spalle, lungo il fiume. È come una foto, un’immagine specifica. Non saprei dirti perché fossimo lì o cosa avessimo fatto prima o dopo, ma quell’istante è così vivido».
Harry trotterella giù dalla gallina e prende la pallina nella borsa della mamma. La calcia davanti a sé, poi comincia a correre verso la struttura di metallo per arrampicarsi.
«Penso che mia madre si sia sempre risentita per questo», aggiunge. «Non ricordo di aver mai fatto nulla con lei – io e lei, o con tutta la famiglia. Forse l’ho dimenticato. Dopo la morte di papà siamo rimaste sole e abbiamo iniziato a condurre due vite separate».
«Non hai detto che avevi solo otto o nove anni al tempo?»
«Sì, ma stavo parecchio fuori casa. Andavo da Georgie, o uscivamo da qualche parte. Ma anche quando ero a casa, io e mia mamma non facevamo nulla insieme».
«Ma questo non è come litigare…».
Annuisce, e fa una lunga pausa pensierosa. Osserviamo Harry calciare la sua palla con le gambette tarchiate che non riesce a muovere tanto velocemente quanto vorrebbe.
«Quello è capitato prima che tu nascessi», continua la mamma. «Avevo sedici o diciassette anni. Sembra un’età molto precoce – e lo è – ma è come se fossi cresciuta da sola, perché non abbiamo mai parlato di cose importanti. Mi sentivo più grande. Comunque, uscivo con Max e a lei non piaceva. Non so se fosse lui in particolare, o se avrebbe avuto lo stesso problema con qualsiasi ragazzo. Nonostante non facessimo quasi niente insieme, lei pensava che le donne dovessero stare in casa. Avrei dovuto sposarmi, possibilmente con un uomo ricco; poi cucinare, pulire la casa e fare figli. È sempre stata una casalinga, e considerava vanitose le donne in carriera. Era un’antifemminista».
Sembra la mentalità tipica degli anni Trenta o Quaranta del Novecento, non come qualcosa di rilevante ai giorni nostri. Faccio fatica a immaginare il motivo che spinga qualcuno a ragionare in questo modo. La mamma deve averlo capito.
«Erano anni diversi», spiega. «Le cose sono progredite molto in fretta per la tua generazione. Non puoi capire quanto Internet e la tecnologia abbiano cambiato le abitudini. Ti stupirebbe. Lei pensava che le donne dovessero essere accudite e che gli uomini, invece, dovessero andare a lavorare. Non ha voluto che proseguissi gli studi dopo gli esami, figuriamoci intraprendere una carriera. Sarebbe inorridita all’idea di sapermi proprietaria di una caffetteria e sposata con un tassista. Esattamente il contrario di ciò che secondo lei era giusto. Voleva che frequentassi i figli di medici e avvocati. Ma non so come pensasse che potesse succedere…».
Dopo essersi divertito da solo per un po’, Harry calcia la palla nella nostra direzione. Mi sembra sempre sul punto di cadere. Credo che tutti i bambini piccoli siano così. Crescerne uno dev’essere come doversi prendere cura di un amico ubriaco dopo una nottata di bagordi – in pratica, fare sì che non cada e non inciampi negli oggetti.
«Palla!», esclama Harry.
Questa parola ha evidentemente molto più significato per la mamma che per me. Lancia la palla verso il recinto della sabbia e Harry la rincorre barcollando da vero alcolista.
«Cosa pensava di papà, tua mamma?», domando.
«Io e mia madre non avevamo quasi più rapporti, allora – nonostante avessi solo diciassette anni. Lui era figlio di un dentista, come aveva desiderato, ma li ho tenuti separati. Non volevo che lei avvelenasse le cose – perché l’avrebbe fatto di sicuro».
«E cos’è successo quando ha scoperto che eri incinta?».
È una domanda molto semplice, eppure potrebbe essere la chiave di tutto. Ma il gran momento che stavo aspettando non arriva. La mamma continua a guardare Harry che riporta indietro la palla. Ci osserva, come un cucciolo in attesa che gli venga lanciato il bastone, e stavolta sono io a lanciarla: supera la buca della sabbia e finisce nel prato più lontano. Ma a Harry non interessa. La insegue trotterellando con gioia e soddisfazione.
«Quando le dissi che io e Dan aspettavamo un figlio, mi suggerì di “fare qualcosa a riguardo” – queste furono le sue esatte parole – o di andarmene. Ho scelto di andarmene. Dan era eccezionale allora. Ha preso dei soldi in prestito da suo padre. Abbiamo ripagato tutto il debito in un anno, ma siamo finiti nella vecchia casa in cui ora abita la signora Winter. Non ho quasi mai più rivisto mia madre da quel giorno. Non ne voleva sapere di te, e io non avevo alcuna intenzione di costringerla a passare del tempo con una nipote che non era interessata a conoscere».
«Hai detto che papà era eccezionale…».
Harry è già di ritorno e la mamma calcia nuovamente la palla. Non sapevo che fosse così facile far divertire i bambini.
Non risponde, quindi le rivolgo la vera domanda che avevo in mente: «Avreste divorziato se io non fossi scomparsa?».
Ci vuole un altro calcio alla palla prima che risponda. «Forse. Credo che quello sia stato un evento determinante. Magari sarebbe successo in futuro».
«Eravate felici…?».
Un’altra lunga pausa.
La borsa della mamma sfida ogni legge della fisica, perché pare non esserci limite agli oggetti che può contenere. Deve essere un’altra peculiarità dell’essere madre – prepararsi a qualsiasi evenienza ogni volta che si esce di casa. Dal nulla, tira fuori una paletta e un secchiello, e ci dirigiamo verso il bordo della buca di sabbia, dove Harry inizia subito a giocare.
«Penso che fossimo troppo giovani», dice. «Tuo padre e io. È successo tutto velocemente: la casa, il matrimonio, una figlia. Avevo a malapena vent’anni. Lui era un po’ più grande, quindi non penso che per lui sia stato uguale. Ma, per me, che prospettiva c’era? Lavoravo in un supermercato e non avevo nessuna qualifica o titolo di studio. Mi sono ritrovata, a un certo punto, senza né la carriera che avrei desiderato né un matrimonio che mi permettesse di essere la supercasalinga che sognava mia madre. Ero impantanata e non sapevo bene cosa volessi…».
Si interrompe di nuovo, poi fa un sospiro profondo. Capisco che il punto importante è in ciò che non ha detto.
«Max…».
La mamma continua stoicamente a mantenere lo sguardo verso il recinto di sabbia.
«Tuo padre non lo sa… o non credo, almeno. Non gliel’ho mai detto. È successo una sola volta, un paio di settimane prima della tua scomparsa. Un incidente. Non saremmo mai scappati insieme o cose del genere, ma penso di aver iniziato a chiedermi come sarebbero state le cose con lui invece che con Dan. Vorrei che non fosse mai accaduto…».
Non so bene cosa dovrebbe sorprendermi di più: il fatto che abbia tradito mio padre con Max, o che me lo stia dicendo così apertamente.
«Mi odi?».
Mi giro per guardarla, il suo labbro inferiore sta tremando.
«Perché mai dovrei?», rispondo.
«Non l’ho mai detto a nessuno prima d’ora. Lo sa solo Max. Immagino sia questo il motivo per cui ero così arrabbiata con tuo padre – in realtà, ero furiosa con me stessa».
Per la prima volta, mi rendo conto che entrambi i miei genitori condividono lo stesso segreto. Mio padre e mia madre danno la colpa a se stessi per ciò che è accaduto ma, al momento, hanno puntato il dito l’uno contro l’altra. Non hanno idea di come si senta l’altra metà della coppia.
«Mi ricordo quando mi sono messa a urlare contro di lui in strada: cercavo di fargli davvero del male», dice. «Mi sentivo in colpa per quanto era successo con Max e con te. Tutto ciò che riuscivo a fare era indurlo a provare lo stesso sentimento. Se tu non fossi scomparsa, forse saremmo stati bene, o forse avevo già distrutto tutto, quando ho passato quella notte con Max. Anche se tuo padre l’avesse saputo e avesse scelto di perdonarmi, io non avrei perdonato me stessa».
«Ma alla fine hai sposato Max…».
Annuisce e giocherella con la fede che porta al dito. «Non ho iniziato a frequentarlo subito. Che tu ci creda o no, a parte quell’unica volta, non abbiamo fatto niente fino a quando il divorzio da tuo padre non è stato formalizzato. Sono stata da sola per un po’, ma la solitudine cambia le persone. Ha cambiato anche me».
È incredibile, a sentire sia la mamma sia il papà parlare dello stesso avvenimento, quanto poco sembra si conoscessero. L’impressione è che lei abbia passato talmente tanto tempo a rimuginare che ora sa bene che senso ha la sua relazione con Max. Non voleva rimanere sola, quindi ha preso quello che le veniva offerto. Non è la peggiore delle motivazioni per stare con qualcuno, e sicuramente non ho l’esperienza per giudicare, ma credo che il matrimonio tra mio padre e mia madre sia stato condannato all’insuccesso nel momento in cui sono entrati in confidenza.
La mamma si toglie le scarpe e si siede sulla sabbia. Harry lo prende come un invito a coprirle i piedi di sabbia, così si mette all’opera, ridacchiando.
«Hai detto che tua madre ti ha chiesto di fare qualcosa quando le hai rivelato di essere incinta. Intendeva…».
La mamma rimane immobile per un momento.
«Era contraria all’aborto. Mi avrebbe ripudiata se l’avessi fatto. E in ogni caso non sarebbe stato ciò che volevo. Ho detto che sei stata inaspettata, ma non indesiderata. Tuo padre e io volevamo avere figli. So che suona strano, perché eravamo così giovani – ma anche questo è un cambiamento recente. Negli anni Sessanta, o prima, all’epoca di mia madre, era molto comune che le donne si sposassero e avessero figli prima dei vent’anni».
«E allora cosa intendeva con “fare qualcosa a riguardo”?»
«Adozione. Voleva che partorissi e me ne andassi. Era parte del piano per sistemarmi con un buon partito. Credo che fosse un retaggio di sua madre. Tu sei forse troppo giovane per renderti conto del sistema classista di questa nazione. La situazione non è difficile come in passato, ma una volta, specialmente per le donne, l’unico modo per migliorare la propria condizione era sposare un uomo con un buon lavoro e una famiglia ricca. Lei desiderava il meglio per me, però la sua idea era una pura espressione del patriarcato. Pensava che nessuno di importante – nessun uomo – mi avrebbe considerata se avessi già avuto un figlio con qualcun altro».
Harry ha finito di seppellire un piede, quindi inizia con l’altro. Dal modo in cui ride, sembra la cosa più divertente che abbia mai fatto, e una parte di me è davvero invidiosa. Riceve cibo e amore. C’è sempre un luogo confortevole ad accogliere il suo sonno ed è troppo piccolo per capire la complessità della vita.
«La madre di Nattie mi ha raccontato che sei sparita per quasi un anno…».
La mamma si gira di scatto, liberando dalla sabbia il piede seppellito. Harry si arrabbia, ma ricomincia subito con le palettate.
«Ha detto così?»
«Ha detto che non ti hanno fatta uscire per un’intera estate. Dovevi avere sedici o diciassette anni, dopo gli esami».
La mamma fissa l’angolo più lontano di Ridge Park, dove ci sono solo alberi e ombre. «Non sapevo che se ne ricordasse. È passato così tanto tempo».
«Cos’è successo?».
Sospira, poi si alza, togliendosi la sabbia dai piedi, e prende in braccio Harry. Lui si lamenta mentre lei inizia a ripulirlo.
«Mamma…».
«Non credo di volerne parlare, Olivia».
È dura, non arrabbiata.
Harry continua a dimenarsi per non infilarsi le scarpe. Ogni volta che la mamma riesce a fargli indossare un calzino, e inizia a mettergli l’altro, lui si sfila il primo. Lo trova divertentissimo, e sono costretta a tenergli ferme le braccia affinché la mamma possa portare a termine l’operazione. Poi lo sistema nel passeggino e gli porge il biberon. Lui lo afferra e comincia a bere.
«Succo!», esclama.
«Posso farti un’altra domanda, invece?», azzardo.
«Certo».
«Se tua madre voleva farti prendere in considerazione l’adozione, perché tu non l’hai fatto?».
Immagino che stia per rispondermi che il motivo era mio padre, o la forza del loro rapporto a quel tempo. Ma non è proprio così.
Il suo tono è deciso e brutale. «Perché ero stanca di sentirmi dire cosa dovevo fare».