Capitolo sedici

«Cosa stai facendo?».

Ashley si volta a guardarmi ma non smette di frugare. Non c’è traccia di Max. La mia borsa è aperta e lui ne sta scandagliando il contenuto. Ha in mano la tessera fedeltà di una caffetteria, la gira per controllare il retro, prima di lanciarla sul tavolino lì a fianco.

Lo raggiungo e gli strappo la borsa dalle mani, rimettendo dentro in fretta i miei averi. Lui non prova a trattenerla, ma non si sposta, invadendo fastidiosamente il mio spazio personale con il suo sentore di sudore.

«Dov’è la tua patente?», domanda.

«Non sono affari tuoi».

«Intestata a Olivia Adams, non è così?»

«Neanche questi sono affari tuoi».

Alla fine indietreggia, sogghignando per l’incredulità. «Davvero?».

Stiamo parlando a voce bassissima, e con un tono dettato dall’odio, credo. Non vogliamo che qualcuno in casa senta il nostro alterco. È un fatto positivo, da un certo punto di vista. Tra noi, ora, le carte sono scoperte: lui mi sta confermando di non credere a ciò che racconto, e io gli sto dimostrando che non mi lascerò sopraffare.

«So che stai chiedendo in giro informazioni su di me», affermo. «Controllare. Spiare. Cos’hai scoperto?».

Si gratta la barba incolta sul mento, studiandomi. Non riesco a capire se sia scaltro o stupido – il confine a volte è molto labile.

«Perché sei qui?», mi incalza.

«Per vedere mia madre».

«Non qui in casa; qui a Stoneridge».

«E cosa te ne frega?».

Una parte di me si diverte moltissimo a essere snervante – in particolar modo con le persone che cercano ossessivamente delle risposte.

«Cosa vuoi?», mi domanda.

«Non sono affari tuoi. Non sei mio padre – e non lo è nemmeno tuo fratello».

Ashley mi esamina ancora per un momento, guarda prima le mie gambe nude, poi il mio torso e si sofferma infine sul mio viso. Sta sogghignando, è un gioco di forza. Una battaglia per dimostrare la propria superiorità.

«Mio fratello ha sposato Sarah, quindi ciò che riguarda lei sono anche affari suoi. Siamo fratelli e soci in attività. Se sei qui per i soldi, sei sfortunata, perché non ce ne sono. Puoi anche levarti dalle palle e tornare da dove sei arrivata».

Usa il medio e l’indice per mimare un paio di gambe che camminano, come se non riuscissi a cogliere il concetto espresso a parole. Non è più il momento di trattenersi, ora.

«Non voglio i soldi», ribatto.

«Tutti vogliono i soldi».

«Io no».

Si morde un labbro e le sue narici si dilatano, mentre prova a capire cosa potrei voler dire con quell’affermazione. Se non voglio i soldi, di cos’altro potrei aver bisogno? Non ne ha idea. Questo tratto del suo carattere è molto semplice da intuire: è ossessionato dalla ricchezza, eppure non riuscirà mai ad avere tutto il denaro che desidera. Ha cercato delle scorciatoie per tutta la sua vita, gestendo attività da quattro soldi, falsificando i libri contabili, contrattando su ogni singola sterlina. Non c’è niente di sbagliato in tutto ciò, ma nessuno si arricchisce in un posto come Stoneridge. È troppo piccolo, troppo richiuso su se stesso. L’ambizione di Ashley è stata stroncata da una scelta sbagliata: ha preferito essere un pezzo grosso in un paese piuttosto che un signor nessuno in una grande città.

«Perché sei qui?», ripete con un sibilo.

«Secondo te? Perché lei è mia madre».

Ride alla mia risposta, dondolando la testa avanti e indietro. «Non mi freghi, cara. Mi sono informato. Sei qui a raccontare a quella credulona di tua madre storie di passeggiate sulla spiaggia e feste di compleanno – tutta roba che hai letto online. Ho visto quelle foto. Chiunque avrebbe potuto inventarsi quei ricordi».

«Allora perché non lo dichiari apertamente? Esci allo scoperto. Cosa vuoi dirmi davvero, invece?».

Ashley gonfia il petto – non è molto più grosso di me. Mi chiedo se lo farà sul serio, se mi darà della truffatrice a viso aperto. Abbiamo aggirato la questione ma è chiaro che il suo pensiero è quello.

«Non dirò niente», sentenzia con disprezzo, prima di contraddirsi. «Ma sappi che io so che non sei chi racconti di essere. Ti tengo d’occhio, e prima o poi riuscirò a dimostrarlo».

Sorrido, perché so che la cosa lo infastidirà di più. «Buona fortuna, allora», ribatto sottovoce. «Come hai intenzione di fare? Non sai niente di me».

«Non riuscirai in nessun modo a portar via ciò che appartiene legittimamente alla mia famiglia. Potrai far fesso qualcuno in questo posto, ma io sono troppo intelligente per te, mia cara. Decisamente troppo intelligente».

Parla con una tale presunzione che mi chiedo se non sia davvero a conoscenza di qualcosa che a me sfugge. Ma è di sicuro una facciata: spavalderia e spacconaggine. Conosco questo genere di persone, eppure…

Ciò non mi ferma di certo. Non c’è speranza che possa avere l’ultima parola. Prendo la borsa e faccio qualche passo verso la porta, prima di voltarmi. Non mi sforzo neanche di abbassare la voce stavolta, e gli rivolgo il migliore dei miei sorrisi.

«Oh. Che paura. Ho visto merde di cane più intelligenti di te».

Prima che abbia la possibilità di rispondere, sono fuori diretta alla mia macchina. Come prevedibile, mi pento subito di ciò che ho fatto. Ashley si era già posto l’obiettivo di rendere la mia vita difficile, scavando in cerca di ogni indizio sul mio passato, e ora non riesco a non pensare di avergli offerto un ulteriore motivo per scoprire la verità.