Introduzione
L’anno è il 1910. In Europa, il progresso tecnologico è rappresentato in primo luogo dall’elettricità, dal telefono, dal cinematografo, dalle fantasie scientifiche di Verne; non ancora dalle armi che pochi anni dopo decimeranno una generazione. Immaginare il futuro è una pratica diffusa, guidata da un ottimismo un po’ ingenuo e da una buona dose di fantasia. Fra gli altri, si cimenta nell’impresa l’illustratore francese Villemard, all’interno di una serie di cromolitografie divenuta celebre, dal titolo complessivo En l’an 20001. Una di queste curiose illustrazioni rappresenta una classe scolastica: il professore lascia cadere i libri di testo nella bocca di uno strano macchinario, dal quale partono fili elettrici. I fili attraversano il soffitto, secondo uno schema ordinato che all’osservatore di oggi ricorda irresistibilmente quello di un’aula cablata, e arrivano a collegarsi a bizzarre cuffie dorate, indossate da studenti dall’espressione attenta e concentrata, seduti ciascuno al proprio banco.
Il macchinario ‘legge’ a voce alta i libri, e rappresenta dunque una singolare prefigurazione dei podcast didattici, come sostiene Keith Wagstaff in «The Utopianist»?2 O si tratta piuttosto della trasformazione dell’informazione contenuta nei libri in impulsi che arrivano direttamente al cervello, attraverso cuffie che sarebbero da considerare semmai interfacce neurali? In entrambi i casi, il messaggio è chiaro: la scuola del 2000 – come la immaginava Villemard nel 1910 – non ha più bisogno dei tradizionali libri cartacei ma ha ancora bisogno dei loro contenuti, ‘trasformati’ dalla tecnologia in un qualche formato (oggi, il riferimento ovvio è al digitale) inequivocabilmente nuovo e più efficace.
La profezia di Villemard si sta avverando? E in che forma? Il dibattito, spesso assai acceso, sulle «nuove tecnologie dell’educazione» va avanti ormai da anni, ma sembra troppo spesso concentrarsi più sui dispositivi tecnologici da fornire a studenti e insegnanti che sui contenuti che tali dispositivi dovrebbero ospitare, sulla loro organizzazione, sulle loro diverse tipologie, sulle strategie da seguire nel selezionarli e utilizzarli.
Certo, il rapporto fra tecnologie e contenuti è spesso assai stretto. La scuola, del resto, ha sempre usato tecnologie: sono tecnologie il libro e la lavagna, come lo erano le tavolette cerate usate dagli scolari dell’antichità greca e romana, e gli stili usati per scrivervi (Orazio ricorda nelle Satire i giovanetti che con lui s’affollavano alla scuola del maestro Flavio, «con astucci e tavolette sotto il braccio»3). E anche se l’idea attuale di ‘libro di testo’, concepito come manuale scolastico curricolare, è abbastanza recente (Alain Choppin la fa risalire alla Rivoluzione francese4), il rapporto con l’insegnamento accompagna il libro fin dall’antichità, attraverso tutte le sue diverse manifestazioni. Lo stesso uso di particolari accortezze ‘tecnologiche’ nella predisposizione di libri destinati all’insegnamento e all’apprendimento non è una novità, ed è testimoniato, ad esempio, da Plutarco, che riferisce come Catone il Censore avesse preparato per il figlio Marco una Storia romana scritta «di suo pugno a grandi lettere» per essere letta più facilmente dal bambino5.

Figura 1. Villemard, En l’an 2000: la scuola.
Ma l’illustrazione di Villemard è forse la prima testimonianza di una fede che sembra invece tutta contemporanea, e che è oggi specificamente legata all’evoluzione delle tecnologie digitali: la fede nella tecnologia come motore principale di una radicale rivoluzione dell’insegnamento e dell’apprendimento.
Nelle sue forme più estreme, questa fede è una fra le molte manifestazioni del determinismo tecnologico: l’idea che siano le tecnologie a determinare l’evoluzione sociale, e – nel caso specifico – a suggerire (se non imporre) strumenti, metodologie e pratiche didattiche.
In un paese che si è interrogato per decenni sulle politiche più adeguate al rinnovamento del sistema formativo, affrontando il tema della riforma della scuola (e dell’università) attraverso una successione di provvedimenti frammentari, occasionali e non sempre coerenti, l’applicazione del determinismo tecnologico al mondo della formazione e dell’apprendimento è una tentazione apparentemente irresistibile: al posto di interminabili dibattiti fra intellettuali e di una faticosa negoziazione politica, sembrano sufficienti poche ricette semplici e un po’ di shopping sul mercato globale delle tecnologie, scegliendo di volta in volta quella più gettonata: il pc, la Lavagna Interattiva Multimediale (LIM), il netbook, oggi il tablet o lo smartphone. Illudendosi che i manuali di istruzioni dei dispositivi usati possano trasformarsi, con qualche integrazione in ‘didattichese’, in linee guida e metodologie, e che la disponibilità degli strumenti possa bastare a garantirne l’uso più efficace.
Il libro che avete in mano parte da un punto di vista diverso, che fortunatamente comincia a farsi strada anche nel mondo della scuola (ne è testimonianza, pur se ancora parziale, il PNSD, Piano Nazionale Scuola Digitale, su cui tornerò in seguito). Parte dall’idea che le tecnologie e i contenuti digitali costituiscano senz’altro una componente essenziale della formazione nel XXI secolo, con potenzialità enormi e ancora in parte da esplorare, ma che la loro selezione e le modalità del loro uso debbano essere guidate da un’idea coerente e ‘forte’ degli obiettivi formativi che desideriamo raggiungere. Non sono le tecnologie che determinano questi obiettivi: devono essere gli obiettivi a guidare la scelta e l’uso delle tecnologie. E l’equazione che occorre risolvere è molto più complessa di quanto non ritengano i sostenitori del determinismo tecnologico: fra i fattori che dobbiamo considerare sono anche le diverse tipologie di contenuti di apprendimento e la loro strutturazione, le piattaforme e gli ambienti per la loro fruizione e le relative funzionalità, le infrastrutture necessarie, le metodologie e i modelli dell’interazione didattica, la varietà dei testi e delle pratiche di lettura, le competenze dei docenti. L’hardware è una delle componenti di questa complicata equazione, ma non certo l’unica, e in molti casi non la più importante.
È da questo punto di vista che affronterò il tema del rapporto fra le risorse digitali, il libro (sia nella forma del libro di testo, sia in quella del libro letto per interesse, piacere, approfondimento) e la scuola, e alcune fra le molte domande che a questo tema possono essere collegate. Quali contenuti di apprendimento, e quali metodologie e pratiche per il loro uso, servono oggi al mondo della scuola? I libri di testo servono ancora? Come dovrebbero essere organizzati? Quali contenuti integrativi dovrebbero affiancarli? Il digitale è uno strumento per arricchire o per superare la testualità tradizionale? Leggere libri è ancora importante? E se è importante, per quali motivi lo è? In quali forme la scuola può avvicinare gli studenti alla lettura?
Non credo siano questioni da affrontare – come purtroppo avviene abbastanza spesso – attraverso slogan, anatemi e scomuniche, presentando le diverse posizioni che esistono in materia attraverso filtri partigiani e talvolta caricaturali. Così, ad esempio, credo sia sbagliato considerare l’editoria scolastica italiana semplicemente come un cartello oligopolistico preoccupato solo di rinviare sine die ogni forma di innovazione per continuare a sfruttare le rendite di posizione legate alla produzione cartacea (anche se alcune – anzi, parecchie – resistenze indubbiamente ci sono). Semmai c’è il rischio, opposto e già ben evidente, che i notevoli investimenti necessari per lavorare con professionalità nel settore del digitale scolastico favoriscano un processo di concentrazione editoriale ancor maggiore di quello già presente nel mondo della carta stampata; i grandi editori lo sanno benissimo, e considerano il digitale – in cui hanno investito e stanno investendo parecchio, pur se in forme talvolta poco felici – anche come un’opportunità per liberarsi dei concorrenti meno robusti: di questo, semmai, ci si dovrebbe preoccupare, garantendo a tutti un quadro di riferimento chiaro, regole esplicite e trasparenti, contenuti e piattaforme interoperabili.
Analogamente, la rete non è né la terra promessa in cui scende manna dal cielo sotto forma di risorse di apprendimento onnicomprensive, perfette, gratuite e pronte all’uso, né il luogo della perdizione e dell’errore, che la scuola dovrebbe praticare il meno possibile e comunque solo dietro una nutrita schiera di filtri, cautele, precauzioni (in quante scuole e università italiane risorse come YouTube o i social network sono bloccate dai firewall, gli smartphone sono visti esclusivamente come fattore di fastidio e distrazione, magari da sequestrare durante le lezioni, e il problema della formazione all’uso delle diverse tipologie di risorse di rete è risolto semplicemente limitandone o vietandone l’uso?).
Il digitale non è una bacchetta magica o un bollino che garantisca automaticamente la qualità dei contenuti, e non è neanche un blocco uniforme e compatto di tecnologie da adottare così com’è o da respingere in toto: è piuttosto una galassia articolata e differenziata di strumenti, contenuti, pratiche che è necessario conoscere e sul cui sviluppo è possibile e opportuno esercitare un’influenza. Strumenti e contenuti la cui selezione e il cui uso richiedono da parte del mondo della scuola (vertici ministeriali e insegnanti, ma anche studenti e genitori) soprattutto capacità di ragionamento, competenze, infrastrutture, e un’attenzione puntuale e sistematica verso quanto avviene nel resto d’Europa e del mondo. Il primo investimento deve essere quello in competenze e infrastrutture: lanciarsi in discesa libera senza saper sciare e senza aver controllato le condizioni della pista non è un comportamento saggio, e avere acquistato un’attrezzatura all’ultimo grido non aiuta a compensare l’handicap in competenze e infrastrutture, ma rischia semmai di aggravarne gli effetti.
Quello che avete in mano è almeno in parte un libro ‘militante’, giacché difende una posizione specifica sui temi del rapporto fra libri di testo e risorse di apprendimento digitali, della lettura a scuola, del ruolo delle biblioteche scolastiche. Ma vorrebbe essere anche uno strumento che aiuti a costruire competenze, fornendo alcune informazioni essenziali sul rapporto fra lettura e digitale, sui libri di testo arricchiti, sugli ambienti di apprendimento che occorre costruire, sulle metodologie per rafforzare – e non indebolire – la presenza nella scuola di contenuti di apprendimento strutturati e complessi. E soprattutto vorrebbe essere un libro ‘ragionante’, capace di giungere alle proprie conclusioni attraverso argomentazioni. Argomentazioni suscettibili di vaglio critico e di discussione pubblica: una discussione, però, che avvenga attraverso le armi della razionalità, e non dell’emotività o del partito preso.
Ho suddiviso il testo in tre parti6, che corrispondono a grandi linee alle tre tematiche fondamentali che vorrei affrontare.
La prima parte è dedicata alle diverse tipologie di risorse e contenuti che possono essere usati per l’insegnamento e lo studio, e ad alcune fra le metodologie e le pratiche didattiche più direttamente legate all’uso di risorse digitali. Nel dibattito internazionale si usa in genere al riguardo il termine learning content, che in italiano può essere tradotto con ‘contenuti di apprendimento’: l’accento sull’apprendimento (anziché solo sull’insegnamento) corrisponde all’idea di un processo educativo aperto e centrato sull’acquisizione e la costruzione collaborativa di competenze e conoscenze, più che sul semplice trasferimento di informazioni dal docente al discente.
In estrema sintesi, la tesi che cercherò di argomentare e documentare in questa prima parte è duplice: a) il bisogno formativo fondamentale al quale la scuola deve oggi rispondere è la riconquista e l’estensione all’ecosistema digitale della capacità di riconoscere, comprendere, selezionare, produrre, utilizzare, valutare, conservare nel tempo informazioni strutturate e complesse; e b) per farlo, e per utilizzare bene risorse educative e contenuti digitali, è essenziale distinguere fra tipologie diverse di contenuti di apprendimento, utilizzando sia risorse strutturate e curricolari (che recuperano e sviluppano anche nel nuovo ecosistema digitale l’eredità del libro di testo), sia risorse granulari e integrative, che sono quelle oggi prevalenti in rete.
La seconda parte è dedicata al libro di testo, alla sua storia, al suo ruolo, alla sua evoluzione futura. Avendo concluso che risorse strutturate e curricolari continuano a essere indispensabili per il mondo della scuola, è importante capire come queste risorse siano cambiate nel tempo e come possano (e debbano) cambiare nell’era del digitale e delle reti. Proverò anche a fornire alcune raccomandazioni rivolte sia ai decisori politici (ai quali spetta il compito di definire il quadro normativo di riferimento, al momento ben poco chiaro), sia agli editori, sia al mondo della scuola e ai suoi diversi soggetti, a partire da insegnanti, studenti e genitori.
La terza parte è invece dedicata al ruolo del libro e della lettura a scuola anche indipendentemente dai libri di testo, alle strategie di promozione della lettura, e al ruolo che possono avere al riguardo le biblioteche scolastiche. È un tema sul quale in questi ultimi anni ho lavorato in vari contesti: dalla collaborazione nella definizione dell’azione del Piano Nazionale Scuola Digitale dedicata alle biblioteche scolastiche innovative, al lavoro fatto con il Forum del libro nell’ambito di iniziative come Roma che legge e il progetto europeo The Living Book. Anche alla luce di queste esperienze, cercherò di presentare alcune fra le più interessanti modalità di incontro fra la forma-libro e il mondo digitale, e in particolare l’idea di ‘lettura aumentata’.
Alla base di tutte e tre le parti è – o vorrebbe essere – lo studio del rapporto fra due tipi di mediazione che ritengo strettamente collegati, anche se il collegamento non è sempre esplicito ed è raramente tematizzato: da un lato la mediazione formativa, esercitata in primo luogo dai docenti, attraverso la gestione o co-gestione di lezioni e attività didattiche e di apprendimento e delle relative interazioni sociali, ma anche attraverso la selezione e l’uso di contenuti editoriali di varia natura (dai libri di testo alle risorse online, che rappresentano comunque anch’esse contenuti editoriali); dall’altro la mediazione informativa, esercitata da chi elabora, predispone, organizza quei contenuti (a volte, come vedremo, gli stessi docenti e discenti) e da chi contribuisce in varie forme alla loro selezione, al loro uso, alla loro integrazione attraverso risorse di diversa tipologia, inclusi libri diversi dai libri di testo e risorse online diverse da quelle di più diretto interesse didattico.
Mediazione formativa e mediazione informativa sono spesso considerate come pertinenti a campi di studio diversi: la pedagogia da un lato, le scienze del libro e del documento dall’altro. Che questi campi abbiano la loro specificità, è indubbio. E anche in questo lavoro si può dire in linea generale che la prima sezione è maggiormente legata al primo ambito, mentre la seconda e la terza sono maggiormente legate al secondo. Ma è importante riconoscere che le aree di interazione e sovrapposizione non solo esistono, ma sono di grande rilievo. Due esempi – come vedremo, non gli unici – in cui mediazione formativa e informativa convergono e interagiscono sono l’editoria scolastica e le biblioteche scolastiche. Cercare di far crescere per quanto possibile la consapevolezza e la qualità di questa interazione è, credo, fondamentale per cercare di migliorare la qualità complessiva del sistema formativo nel nostro paese. Obiettivo certo ambizioso ma al quale occorre lavorare, e al quale questo libro vorrebbe dare un seppur minimo contributo.
Alcuni passi e capitoli del libro riprendono, modificandoli e aggiornandoli, i testi di articoli o interventi che ho pubblicato separatamente altrove; chi fosse interessato a ricostruire la storia ‘genetica’ del testo può fare riferimento alle indicazioni che accompagnano – in nota – i passi in questione. In particolare, sono grato alle case editrici Laterza, Mondadori Education e Rizzoli Education per aver consentito l’uso di alcuni testi sia all’interno di questo libro sia (in diverso contesto) fra i materiali di quattro corsi di formazione per docenti che fanno parte del progetto Formazione su misura7.
Le persone a cui devo spunti, riflessioni, suggerimenti che si sono rivelati preziosi nella stesura di questo libro – che raccoglie idee e materiali sviluppati nel corso di parecchi anni – sono talmente tante che ogni elenco sarebbe necessariamente parziale. A partire dai tantissimi insegnanti con i quali ho interagito nell’ambito di corsi di aggiornamento, conferenze, dibattiti. Ma i miei debiti sono ancora più numerosi, anche perché molte, moltissime fra le persone che sono state per me più importanti – innanzitutto mia madre, che mi ha trasmesso sia la passione per lo studio e per la lettura sia quella per l’insegnamento – hanno lavorato e vissuto nel mondo della scuola, dell’università e della ricerca.
Spero che la mia gratitudine verso tanti amici e colleghi non risulti meno sincera e profonda per la scelta di sostituire qui a un elenco interminabile e comunque incompleto due soli nomi: due maestri che non ci sono più, da cui – in tempi e modi diversi – ho imparato moltissimo, e alla cui memoria vorrei dedicare questo libro.
Il primo nome è quello di Lore Terracini, alla quale mi ha legato una lunga amicizia familiare e di cui ricordo sempre con grande affetto la curiosità, il rigore, la passione per la lettura e l’insegnamento, ma anche le lunghe discussioni, i consigli, gli scambi di tanti libri diversi e insospettati. Lore è stata fra le persone che hanno contribuito a sviluppare le mie curiosità letterarie quando ero bambino, e che mi hanno insegnato l’importanza di conservare la curiosità del bambino anche nelle letture fatte da adulto. Non è più con noi da molti anni, ma I segni e la scuola, il bellissimo libro che ha dedicato nel 1980 a temi di didattica, e in particolare di didattica della letteratura, è fra i testi che più hanno influenzato questo lavoro.
Il secondo nome è quello di Tullio De Mauro, che ho avuto come docente all’Università di Roma e poi come punto di riferimento prezioso su moltissimi fra i temi toccati anche in questo libro. Tullio ha sempre ribadito in tanti lucidi e appassionati interventi la centralità del libro e della lettura per la scuola, l’importanza delle biblioteche come strumenti indispensabili alla crescita culturale e civile del paese, e i rischi di un’alfabetizzazione ‘debole’, incapace di garantire la padronanza e la comprensione delle forme di testualità complesse e articolate necessarie alla partecipazione attiva al dialogo sociale. Negli ultimi incontri mi aveva incoraggiato ad approfondire proprio il tema del rapporto fra cultura del libro, formazione scolastica e mondo digitale, e avevo avuto modo di accennargli al progetto di questo lavoro. Speravo di poter contare sulla sua lettura e sui suoi commenti. Anche se purtroppo questo non è stato possibile, il debito che ho verso le sue indicazioni è enorme.
1 La serie era stata avviata nel 1899 – in vista dell’esposizione universale di Parigi del 1900 – da Jean-Marc Côté; era destinata all’illustrazione di scatole di sigari, e fu poi alla base anche di una serie di cartoline illustrate. In tempi più recenti, è stata riprodotta nel libro curato da Isaac Asimov Futuredays: A Nineteenth-Century Vision of the Year 2000, Virgin Books, London 1986. Le aggiunte di Villemard alla serie sono datate 1910 e sono conservate dalla Biblioteca Nazionale di Parigi; riproduzioni sono in rete alla pagina http://expositions.bnf.fr/utopie/feuill/index.htm e su Flickr. Tutti i riferimenti a siti e risorse online contenuti nel volume sono stati verificati l’ultima volta nel novembre 2017.
2 Keith Wagstaff, In 1910, French Artist Predicted Utopia in 2000 with Robots and Flying Machines, in «The Utopianist», 23 giugno 2011, in rete alla pagina http://utopianist.com/2011/06/in-1910-french-artist-predicts-utopian-2000-with-robots-and-flying-machines.
3 Orazio, Satire, I, 6, 72-74.
4 Alain Choppin, Le manuel scolaire de Talleyrand au multimedia, in «Dossiers de l’ingénierie educative», 66, 2009: Le manuel numérique. Disponibile in rete alla pagina http://www2.cndp.fr/dossiersie/66/pdf/142357-18787-24402.pdf.
5 Lucio Del Corso, Libri di scuola e sussidi didattici nel mondo antico, in Lucio Del Corso, Oronzo Pecere, Libri di scuola e pratiche didattiche dall’antichità al Rinascimento, Edizioni Università di Cassino, Cassino 2010, vol. I, pp. 71-110, p. 73.
6 In questa nuova edizione, come spiegato in seguito, se ne aggiunge una quarta, relativa alla situazione che si è venuta a creare nel mondo della scuola dopo l’emergenza COVID-19.
7 Il sito di riferimento del progetto è http://www.scuolaoggidomani.it.