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Le nuvole sfrecciavano nel cielo cupo, come tante vecchie streghe gobbe a cavallo delle scope, dirette a un sabba.
Conon, però, le guardò passare con commozione. Da quanto tempo non vedeva quello spettacolo! Il grande toro di bronzo, in cima alla torre civica, a sessanta metri di altezza, che girava su sé stesso secondo la direzione del vento e mugghiava al passaggio dell’aria nelle sue apposite cavità interne.
A Conon si strozzò la gola e si scaldarono gli occhi.
Quella torre altissima e il toro che la sormontava erano il simbolo della sua città. Da bambino ammirava quell’animale feroce che muggiva puntando le corna aguzze contro il cielo. E sebbene, dopo essere stato in Egitto, avesse in mente costruzioni più alte e più antiche, la torre di Torino era ancora capace di mozzargli il fiato, con le sue campane che rintoccavano all’inizio e alla fine delle giornate, e l’orologio.
In quel momento segnava le dieci e trenta.
Conon abbassò lo sguardo e lo lasciò spaziare su piazza delle Erbe, piena di gente come sempre. Ricordò a sé stesso di essere una spia infiltrata oltre le linee nemiche e, quindi, di non distrarsi troppo, né farsi notare, se voleva restare vivo.
Cercò di avvistare qualcuno che potesse essere il suo contatto, ma in quel marasma di persone d’ogni tipo era difficile.
In piazza delle Erbe si poteva comprare qualunque cosa si avesse in mente, a qualsiasi ora. Era sempre animata da una vita pulsante, con i venditori che seducevano gli acquirenti usando quel misto di verve e insistenza di cui erano maestri.
Conon si immerse nella confusione.
Sotto la torre civica offrivano i loro servizi i calzolai e i ciabattini, e si trovava anche lo spaccio dei liquori dell’acquavitaio Durando da Cancelo, dove si poteva bere il migliore rosolio della città, se non del mondo. Il largo di San Benigno, attiguo al palazzo comunale, era riservato ai venditori di burro.
Conon prese in mano il fazzoletto rosso e lo aprì per renderlo visibile, come da istruzioni ricevute e come aveva fatto la sera prima, alla stazione di posta di Cuneo.
Si aggirò fra bancarelle colme di ortaggi e di ogni altro genere di cibo, rivenditori di erbe officinali e medicinali, imbonitori abili nel magnificare il nulla.
C’era il solito vociare di gente impegnata in discussioni e contrattazioni.
Il mercato richiamava campagnoli da tutte le località del contado, e mediatori, ciarlatani, saltimbanchi, burattinai, spacciatori di farmaci miracolosi e di unguenti contro la caduta dei capelli e la crescita dei calli.
Conon non cercava niente di tutto questo.
Entrò sotto i portici che circondavano la piazza. Lì erano collocate le bacheche dei librai, con le edizioni più recenti. In un’altra occasione si sarebbe fermato a dare un’occhiata alle novità, ma tirò dritto, cercando di non calpestare gli articoli di ferramenta, le stoviglie e gli utensili da lavoro, che erano posati in bella mostra sui lastroni di pietra del pavimento.
Osservò tutto, ma non gli si avvicinò nessuno.
Tornò alla torre ed entrò nello spaccio di liquori, accolto da un effluvio stordente di aromi che esalavano da bottiglie e ampolle, botti piccole e grandi. Su tutti i profumi dominavano quelli dolci del rosolio e del vermouth.
«Buongiorno, signore», gli sorrise un garzone magro e senza cenni di barba sulle guance. «Posso servirvi?».
Ordinò un rosolio.
«Ve lo porto subito, signore». Indicò un tavolino all’esterno – erano quasi tutti liberi, ma solo perché alla gente mancavano i soldi per il superfluo – e gli chiese se voleva accomodarsi.
Si sedette, e fu subito assalito dai mendicanti, fra i quali, naturalmente, ebbe la meglio il più forte, vale a dire quello che ne aveva meno bisogno. Conon lo mandò via.
Sulla piazza fecero la loro apparizione trionfale le guardie della gendarmeria imperiale, tre uomini a piedi e altrettanti a cavallo. Si sparpagliarono fra la gente, seguiti da scie di insulti sussurrati a denti stretti. Appena se ne andarono, un cantimbanco che vendeva opuscoli salì su uno sgabello e cominciò a strillare: «Pubblico caro, gentile e bello, ecco di nuovo Pepparello, che vi canterà all’istante sopra un fatto raccapricciante!». Il pubblicò applaudì. «A parlarne solamente fa rabbrividir la gente! Se la voce non mi trema, rimerò su questo tema!».
Conon si mise in ascolto.