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La voce possente del cantimbanco Pepparello vibrava nell’aria torrida, insieme alle grida degli altri venditori di cui era gremita piazza delle Erbe.
Caffarel si avvicinò alla sua bancarella. Da una risma prese un foglio volante che era in vendita e lesse le stesse parole che l’uomo stava recitando sul palchetto, con il petto in fuori e una mano sul fianco.
Abitante di Torino,
qui si aggira un assassino!
Senza un nome, senza un volto,
lui ti vuol veder sepolto.
C’è chi dice sia un cannibale,
ma in vero è più terribile.
Teste taglia, viscere asporta…
Quasi ne facesse scorta!
La Polizia gli dà la caccia,
ma di lui non v’è mai traccia.
Dei sospetti c’è una lista?
Ah! La possiede l’esorcista!
Questo diavolo ne ha uccisi tre,
e domani può toccare a te!
Per un attimo calò il silenzio tutt’intorno, fra le persone che si erano fermate ad ascoltare, poi esplose l’applauso e in molti si precipitarono a comprare il foglio contenente l’intera storia.
Caffarel alzò gli occhi dalla filastrocca e guardò il cielo. Qualcosa di sbagliato stava attirando velocemente nuvole nere su Torino, come lupi su una grossa preda morta.
Piegò il foglio volante in quattro parti e se lo mise in tasca. «Quanto volete?», chiese.
Gli occhi e la mano destra del cantimbanco si spalancarono. «So che siete un commissario della Polizia, signore: spero non ve la prendiate a male per le mie rime. Tenete, ve lo do gratis». Si rivolse alla folla di spettatori. «E voi, signore e signori, non comprate? Se sapete leggere, fatevi avanti e non ve ne pentirete!».
Caffarel annuì e mise lo stesso una moneta sulla bancarella. «Siete voi Pepparello, l’autore di questo foglio volante?»
«Sì», ridacchiò l’uomo, «ma in realtà mi chiamo Giuseppe. Sto in piazza del Mercato a recitare le ultime notizie e a vendere quel che riesco. Se volete, ho anche un paio di opuscoli che qualche anno fa non avrebbero ricevuto l’Imprimatur della Chiesa. Mi capite?». Sghignazzò coprendosi la bocca. «Ve li potrei dare con un piccolo supplemento».
«No, grazie», disse Caffarel, e si incamminò di nuovo lungo la piazza, fra le bancarelle del grande mercato.
Pepparello riprese a strillare i versi in rima di un altro fatto macabro, stavolta avvenuto a Roma.
C’era grande richiesta di storie come quelle. Storie di delitti orribili e di spaventosi delinquenti, con personaggi fuori dal comune, grandi amori e grandi tragedie. Gli autori attingevano alla cronaca, alle storie di patibolo, e creavano una letteratura che intrecciava fatti reali con invenzioni romanzesche.
A Caffarel era sempre piaciuta.
Fogli volanti come quello che aveva appena comprato venivano venduti in piazza o recitati dai cantimbanchi come Pepparello da secoli. Certi autori inventavano di sana pianta le loro storie, altri mescolavano realtà e finzione, e altri ancora si attenevano rigorosamente ai fatti. Ma tutti offrivano terrificanti racconti di delitti e ancor più terrificanti descrizioni delle punizioni inflitte ai rei, e promettevano ai lettori di farli tremare e inorridire.
Di solito le autorità approvavano. Aggradava infatti ai sovrani che i sudditi sapessero come stavano le cose: violare la legge non era conveniente; anche i criminali più furbi venivano catturati, prima o poi, e ricevevano pene atroci ed esemplari.
Ma per il Cannibale tagliateste le cose stavano andando diversamente, purtroppo.
Caffarel continuò a tenere d’occhio l’uomo con il fazzoletto rosso in mano, colui che al rientro in città aveva dichiarato di chiamarsi Michele Andervolti. Era seduto a un tavolino dello spaccio dei liquori dell’acquavitaio Durando da Cancelo e stava chiaramente aspettando qualcuno.
Restò nascosto nella mischia – fra saltimbanchi, cavadenti, giocolieri, puttane, venditori di ogni merce possibile, clienti, che avevano tutti qualcosa da strillare – e aspettò.
Si poteva diventare sordi con quel baccano.