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Il primo ambiente che incontrarono salendo al piano superiore era ricolmo di una strana luce, pura e abbagliante, come quella che si poteva immaginare risplendesse nel paradiso.
Gli occhi di Caffarel e di Conon non erano mai stati colpiti da una luce come quella, non la conoscevano, e perciò si chiusero all’istante.
Quando li riaprirono, piano, con cautela, rimasero in ammirazione, al colmo dello stupore.
Pareva incredibile, qualcosa di prodigioso o di magico.
Non c’erano fiamme di alcun tipo a generarla.
Era una luce diversa, uniforme, stabile e fredda. Scaturiva perfetta da grandi bulbi di vetro collegati con fili metallici a una serie di vasi di terracotta. I bulbi erano tenuti sollevati nella parte anteriore da pilastrini che avevano quattro assi orizzontali in cima.
Conon aveva visto parecchi di quei pilastri fra i geroglifici egizi, ma mai bulbi come quelli: erano lunghi mezzo metro, larghi più di un palmo e radiosi come il sole estivo.
Che diavoleria era?
E in che razza di posto erano capitati?
Acqua in abbondanza ruscellava gorgogliando fin dentro piscine e vasche, nelle quali in quel momento stavano piacevolmente sguazzando alcune donne e alcuni uomini, vecchi e giovani, bambini e bambine.
Chi non stava a mollo era impegnato nella scrittura o nella lettura, oppure si intratteneva con i più giovani, giocando o insegnando.
Soprattutto i più vecchi.
Uno di loro stava mostrando una mela a un piccolo pubblico di bambini che gli si era radunato attorno, teneva il frutto per il picciolo facendolo ruotare su sé stesso, mentre con l’altra mano impugnava una candela accesa: si capiva che la mela rappresentava la Terra e la fiamma della candela fungeva da sole, e che il vecchio stava cercando di spiegare l’alternanza del giorno e della notte.
Sembrava che quelle persone fossero un’unica grande famiglia, nella quale si viveva bene e a lungo e, quindi, le generazioni si sovrapponevano.
I vecchi erano tanti e in buona forma, le donne e gli uomini avevano corpi atletici.
Conon e Caffarel erano incantati dalla visione, ma furono costretti a ritrarre le teste e a fare un passo indietro.
Non potevano entrare senza essere visti, quindi dovevano decidere come agire.
Se agire.
C’erano troppi uomini, grandi e grossi come Teodoro, e due colpi di pistola non sarebbero bastati a tenerli a bada tutti quanti.
Caffarel scuoteva energicamente la testa, con lo sguardo fermo e serio: se anche avessero avuto cento pistole cariche in pugno, lui non aveva alcuna intenzione di fare irruzione lì dentro e mettersi a sparare di fronte a donne e bambini.
Tutto, ma non quello.
Conon non sollevò obiezioni. Per una volta, era d’accordo con qualcuno che intendeva sottrarsi alla battaglia. Doveva ammettere che sarebbe stato sciocco rischiare la vita inutilmente.
Non restava altro da fare che andarsene da lì, e subito.
Da giù non arrivava nessuno, ma Teodoro e la persona che lo stava medicando potevano salire da un momento all’altro.
Cominciarono a scendere trattenendo il respiro, attenti a non fare rumore, le pistole puntate verso l’alto e gli sguardi in basso, le orecchie tese come stessero cercando di carpire un sussurro lontano.
Posavano i piedi scalzi sui gradini con la delicatezza di un organista sui pedali, e mentre la scala digradava, la loro ansia cresceva.
Ma non accadde niente.
Giunti al pian terreno, sgusciarono come ombre e andarono dritto verso il punto da cui erano entrati.
Nessun ostacolo.
Caffarel vedeva già sé stesso scaraventarsi fuori dalla porta che aveva lasciato aperta e poi correre verso il Po urlando come un bambino felice e, soprattutto, vivo.
A Conon, invece, il fatto che fosse tutto facile stava dando sui nervi. Rendeva la fuga meno ragionevole. Avrebbe voluto tornare indietro e si stava domandando perché mai avesse deciso di dare retta a Caffarel. Inoltre, per esperienza sapeva che la quiete in battaglia non era mai un buon segno.
Mai.
Scivolarono sotto i teli di lino, rasentarono le colonne e le pareti affrescate dell’immenso androne, poi oltrepassarono la grande collezione di antichità e aumentarono il passo, calpestando coi piedi nudi le decorazioni lussureggianti.
Ormai erano quasi arrivati all’uscita, dovevano soltanto superare qualche telo di lino e se la sarebbero ritrovata davanti.
E fu quel che accadde un attimo dopo. Solo che la porta di pietra era stata richiusa.
Si fermarono a fissarla con le bocche aperte.
«Volevate già andare via?», domandò una voce alle loro spalle facendoli trasalire. «Non vi stavate divertendo, signori? In effetti, siamo stati poco ospitali. E me ne scuso. Però non aspettavamo la vostra visita».
«Non muovetevi o spariamo», intimò un’altra voce, senza neppure una venatura di gentilezza. «Gettate le pistole a terra».
Piegarono le ginocchia e posarono delicatamente le armi sul pavimento, poi si rimisero eretti e si voltarono, piano, rigidi, con la certezza che, ancor prima di completare la rotazione, sarebbero stati attraversati dal calore di una scarica di pallottole, breve preludio al gelo della morte.