Rachel

Da quando erano venuti in campagna per darle la notizia, Rachel aveva vissuto in una specie di paralisi emotiva dovuta alla paura. Mai aveva immaginato che potessero toglierle Home Place. Suo padre l’aveva comprata nel 1928 perché alla Duchessa non piaceva Londra. Erano i tempi della Casa dei Bambini, quando anche lei andava in città tre giorni alla settimana per lavorare e tornava col treno per Battle delle quattro e trenta.

Era stato allora che aveva conosciuto Sid tramite Myra Hess, perché la sorella di Sid era la segretaria di Myra e l’aveva seguita un fine settimana in cui lei e la Duchessa avevano suonato insieme. Era stato l’inizio del loro amore, anche se allora non se ne era resa conto. Poi c’era stata la guerra e la Casa dei Bambini era stata evacuata ben prima che i bombardamenti del ’40 radessero al suolo l’edificio che aveva ospitato l’istituto fin dall’inizio. Erano gli anni in cui i vari membri della famiglia si erano trasferiti un po’ alla volta in campagna e Sybil aveva avuto uno dei gemelli perdendo l’altro. Poi Sid le aveva dichiarato il suo amore e a lei era sembrato di ricambiarlo... ma dell’amore non sapeva ancora niente.

Nonostante la guerra erano stati anni felici; Rachel voleva bene ai suoi fratelli e alle loro mogli, adorava i bambini e la casa aveva accolto tutti. Durante quella guerra solo uno dei suoi fratelli, Rupert, aveva avuto l’età giusta per combattere. Non c’era stata la quotidiana angoscia di quando erano al fronte Edward e Hugh, anche se le perdite non erano mancate: la morte di Sybil, il lungo lutto di Hugh, la distruzione del molo e della segheria di Londra, la costante paura per Sid che guidava un’ambulanza su e giù per Londra, precipitandosi laddove i bombardamenti mietevano più vittime. I tre eroi della Duchessa – Toscanini, Mr Churchill e Gregory Peck – le erano di sostegno e prenderla bonariamente in giro serviva ad alleggerire l’atmosfera. Il Generale le aveva regalato il suo ultimo grammofono, di quelli col corno grosso e la puntina di legno che si rifila con un coltello. Subito la Duchessa aveva invitato le ragazze ebree che Myra era riuscita a tirar fuori dalla Germania con la scusa di farle studiare da infermiere; serate a base di Beethoven, Toscanini e concerti per pianoforte. Prendevano il tè coi biscotti per tirarsi su il morale. Stavano diventando delle valide infermiere, diceva la direttrice, ma la Duchessa sentiva che dovevano avere una gran nostalgia di casa. Rachel aveva domandato a una di loro – Helga – se sentiva la mancanza del suo paese e come era arrivata fin laggiù. «Una mattina presto, mentre dormivo ancora, venne un tale a parlare con mia madre. Lei allora mi fece mettere due strati di vestiti, sottane, camicie, maglioni e pure il cappotto invernale. Poi mi abbracciò e disse che casa nostra non era più un posto sicuro, che un buon amico mi avrebbe accompagnata al treno, che non dovevo dire niente e fare tutto quello che mi diceva lui. Sono fortunata a essere qui», aveva concluso asciugandosi una lacrima. Rachel l’aveva abbracciata, aveva tentato di dirle qualche parola di conforto. Non gliene era venuta in mente nessuna.

Giravano già delle voci sulle persecuzioni antisemite, ma per Rachel essere allontanati dai propri cari per non rivederli forse mai più era già il male più grande che si potesse infliggere a una persona. Il ricordo di quei tempi la fece subito sentire meschina: quello che stava sopportando adesso lei era davvero poca cosa rispetto a quanto avevano sofferto quelle povere ragazze, e senza dubbio le numerose altre che avevano subito lo stesso destino.

I primi giorni l’idea di lasciare la casa dove aveva vissuto a lungo e dove erano morte la sua mamma e la sua cara Sid l’aveva stordita al punto che non si era soffermata a chiedersi cosa ne sarebbe stato di lei. Spartana per carattere, aveva sempre speso per gli altri il proprio denaro e non se ne era data mai troppo pensiero. Adesso però avrebbe dovuto occuparsene giocoforza. Non aveva nemmeno una vaga idea di quanto si potesse ricavare dalla vendita della casa di Sid. Né di quanti soldi ci fossero sul suo conto in banca. Non sapeva nemmeno con precisione quanto costasse il mantenimento di Home Place, perché aveva sempre provveduto Hugh a pagare le spese con il fondo che lei, Rupert e Hugh alimentavano in parti uguali. Adesso avrebbe dovuto trovarsi un lavoro retribuito. Sid le aveva consigliato di trovarsi un impiego per riempire le giornate, e Rachel aveva pensato a un ente di carità. Ma lei sapeva fare qualcosa per cui qualcuno potesse essere disposto a pagare? Sapeva scrivere a macchina con una mano soltanto, perciò non poteva fare la dattilografa. Non sapeva cucinare né guidare. Non aveva qualifiche di alcun genere, come avrebbe fatto a...

Proprio allora telefonò Hugh da Londra, una benedetta distrazione. Ma il sollievo fu di breve durata. Chiamava per dirle che i curatori fallimentari avevano concesso loro un mese per lasciare Home Place. Odiava doverglielo dire. Aveva insistito per ottenere il due gennaio come data ultima, perché gli sembrava una buona idea passare a Home Place un ultimo Natale in famiglia. Però voleva prima accertarsi che per lei andasse bene e non comportasse troppo lavoro. Potevano andare a stare là per una settimana, in modo da discutere insieme il futuro di Rachel, una cosa di cui lei non doveva in nessun modo preoccuparsi... Rachel non dovette pensarci neppure per un minuto. Voleva passare quel Natale con tutta la famiglia. Nessuno escluso.

Mentre riappendeva, si ricordò che doveva chiedere a Hugh cosa ne sarebbe stato di Eileen e dei Tonbridge. Ci pensava da quando aveva ricevuto la notizia. Erano troppo in là con gli anni per trovare un nuovo lavoro, e dato che Eileen viveva in casa e i Tonbridge nell’appartamento sopra le stalle, Rachel temeva che si sarebbero ritrovati senza un tetto sopra la testa. Dopo che avevano servito la sua famiglia per tanti anni, si sentiva responsabile della loro sorte. Eileen aveva una sorella più giovane, cameriera presso un’anziana signora, che viveva in un appartamento a Hastings e di tanto in tanto passavano i loro giorni liberi insieme. Ma i Tonbridge? Rachel aveva pensato di comprare loro una casetta e si era già impegnata a pagare l’operazione di Mrs Tonbridge. Doveva scoprire quanti soldi aveva sul suo conto.

Telefonò alla banca e seppe che aveva quasi quindicimila sterline. Rallegrata – le sembrava una somma enorme –, telefonò a Villy e le chiese di chiamare un agente immobiliare della zona perché facesse una stima della casa di Abbey Road. Dato che abitava nelle vicinanze, Villy avrebbe saputo di certo chi interpellare. Sempre che non fosse troppo disturbo per lei. Villy le sembrò così dimessa e infelice e così rallegrata dalla sua richiesta che Rachel volle fare di più e le chiese invece di ospitarla per una notte. «Ma certo! Oh, Rachel, sarei tanto felice di vederti».

E così Rachel andò a Londra, sperando che Villy non le riversasse addosso una valanga di recriminazioni su Edward e Quella Donna.

Villy aveva un aspetto tremendo. Si era messa del rossetto color ciclamino che la faceva sembrare giallastra, aveva dei cerchi scuri intorno agli occhi gonfi. Si salutarono con calore e Villy la guidò in soggiorno, dove il fuoco era acceso e due drink le aspettavano sul tavolino.

«È successo qualcosa?», domandò Rachel accettando il bicchiere generoso.

«Sì. Miss Milliment è morta».

«Oh, mio Dio! Mi dispiace tanto!».

«E non ti ho ancora detto il peggio. È morta in casa di cura, ho dovuto trasferirla lì perché era diventato pericoloso tenerla qui, anche solo per mezz’ora. Era demente, capisci? Alla fine non mi riconosceva più. Ma l’odiava, quel posto, e dava a me tutta la colpa... che ero stata crudele ed egoista a farla rinchiudere lì. Ogni volta che andavo a farle visita piangeva e se la prendeva con me. L’ultima volta mi ha anche riconosciuta e ha detto: “Viola, tu mi hai tradita. Io ti ho voluto bene per tutta la mia vita, ma mi sono sbagliata. Tu non me ne hai voluto. E io non so come sopportarlo. Non posso sopportarlo”. Piangeva e ho tentato di abbracciarla ma lei mi ha respinta. Diceva: “Non toccarmi, mostro. Nessun bene... nessun bene, mai. Vattene e non tornare!”».

Villy piangeva a dirotto e Rachel s’inginocchiò per stringerle le spalle scosse dai singhiozzi. «Non capiva più nulla... l’hai detto tu stessa. Sei stata un angelo per lei. Le hai dato una casa, ti sei presa cura di lei. Sono certa che non pensava davvero le cose terribili che ha detto. Tu le volevi bene e lei in fondo, da qualche parte dentro di sé, lo sapeva ancora. Oh, Villy cara, che cosa terribile!». E poi provò a mettersi nei suoi panni: se Sid avesse sofferto di demenza e le avesse detto quelle cose? Povera Villy, essere respinta in quel modo per la seconda volta! E non c’era risentimento in lei stavolta, ma solo una profonda tristezza. E questo rendeva possibile confortarla.

Ma dove trovarlo, il conforto? Miss Milliment era morta: non poteva esserci alcuna riconciliazione, cosa del resto impossibile con una persona non più in possesso delle sue facoltà.

«Oh, Rachel! Sei così forte, davvero... basta parlare di me. Dimmi le tue novità». Prese un fazzoletto da un contenitore accanto alla sedia e Rachel notò che il cestino della carta straccia ne era già pieno. Villy le offrì una sigaretta, e lei la prese anche se di solito fumava solo le sue Passing Clouds. «Hai deciso di vendere la casa di Sid».

«Sì. Come già sai, ci sono tornata e ho scoperto che non posso viverci. È piena di cose tristi... tracce dell’inizio della malattia, quando ancora non ne parlavamo. Non lo so... ho avuto solo voglia di fuggire lontano».

«Lo capisco bene. Vuoi stare a Home Place, dove hai i ricordi più felici...».

«A quanto pare non potrò fare nemmeno questo. Immagino che tu non sappia cosa è successo alla Cazalet».

Eco riemergere il vecchio rancore. «Non ne ho idea», disse secca.

Così Rachel le raccontò ogni cosa. E Villy, da donna pratica e intelligente quale era, capì al volo la situazione. «Perderanno le case?».

«Per fortuna, grazie al consiglio di qualche avvocato o commercialista, i miei fratelli hanno intestato le case alle rispettive mogli. Home Place invece fu comprata dal Generale a nome dell’azienda. Devo andarmene all’inizio del nuovo anno». Cercò di sorridere, ma le tremava la voce.

«Be’, cara, capisco bene quanto debba essere dura per te, ma con il ricavo della vendita di Abbey Road potrai comprarti una casa più piccola nel Sussex, e con tutte le azioni che possiedi potrai vivere comodamente».

«Non ci saranno più azioni. L’azienda è in bancarotta. Non avrò un soldo... dovrò trovarmi un lavoro. Ma chi mai assumerebbe una donna di quasi sessant’anni che non sa cucinare né guidare né scrivere a macchina?». Restò in silenzio per qualche istante, tentando di domare il panico che l’assaliva ogni volta che ci pensava. E ormai non pensava quasi ad altro.

Villy le prese la mano: «Be’, vedremo cosa frutterà la vendita. Lo sai, vero, che puoi stare qui da me tutto il tempo che vuoi?».

La colpì la scelta del verbo: stare. Un posto dove vivere probabilmente non lo avrebbe più avuto. Ma disse comunque grazie, era un’offerta molto generosa.

Rimasero sedute un po’ di tempo a sorseggiare un secondo gin di cui Rachel non aveva voglia. Nonostante la reciproca solidarietà, ognuna delle due sentiva che a lei era toccata la sorte peggiore. Villy era in lutto per la morte di Miss Milliment e non aveva nessuno; Lydia se ne era andata qualche settimana prima con la compagnia che metteva in scena la commedia di Clary, perciò lei era di nuovo sola a cercare di escogitare modi per rendere meno noioso il Natale di Roland. Del resto ho sessantadue anni, pensava: sono troppo vecchia perché possa succedermi qualcosa d’interessante.

Rachel invece pensava che almeno Villy aveva una casa sua e dei soldi con cui vivere, e naturalmente era anche felice per lei. E poi aveva Roland, che doveva essere una benedizione. Lei per contro aveva perso la persona che più amava al mondo (e Sid era morta a soli cinquant’anni); inoltre la rabbia e il risentimento di Villy sembravano più un portato dell’orgoglio che dell’amore.

Ma a questi pensieri non fu data voce. Mangiarono vicino al fuoco il timballo al formaggio e le pere stufate e fumarono un’ultima sigaretta in un’atmosfera di reciproco compatimento.

* * *

La mattina dopo andarono a casa di Sid e Villy, impressionata dallo stato di abbandono in cui versava, propose con delicatezza di far venire la sua donna delle pulizie, Mrs Jordan, prima di affidarla a un agente immobiliare. Pensò anche che fosse il caso che Rachel raccogliesse tutti gli oggetti che desiderava tenere, per poi decidere cosa fare di ciò che rimaneva.

«Il resto dei vestiti di Sid», disse Rachel. «Ti sarei tanto grata se rimanessi con me mentre lo faccio. C’è una vecchia valigia di sopra. La porterò a Home Place».

E così andò. Villy le chiese di restare un’altra notte, ma Rachel disse che era già in parola perché la venissero a prendere a Battle e che aveva il treno alle quattro e trenta a Charing Cross. Villy disse che avrebbe chiamato la donna a ore e dato appuntamento a un agente.

Non avrebbe potuto essere più gentile, pensò Rachel mentre saliva sul treno. Il vero motivo per cui aveva fretta di rincasare era la gigantesca festa di Natale che si apprestava a organizzare, e la rattristava molto che Villy ne fosse esclusa.

Villy, ispirata dal coraggio di Rachel, passò la sera a mettere via gli abiti di Miss Milliment e i suoi pochi averi: i mutandoni e le canottiere di lana, rigidi e ruvidi per i tanti lavaggi, i vecchi cardigan macchiati di uovo, i due abiti eleganti – uno di jersey di seta verde bottiglia e poi il terribile tailleur color banana. Mise via il suo impermeabile, che ormai da decenni non riparava più dalla pioggia, e i cappellini dall’aria pateticamente sbarazzina, con piume e papaveri di stoffa, le austere calze che non le stavano mai su e le scarpe coi lacci con dei buchi nelle suole. I suoi oggetti personali consistevano in un orologio da polso, un album di fotografie – c’era un barbuto dall’aria autoritaria, senza dubbio il padre, i suoi fratelli con i completini alla marinara, borse da studenti e maglioncini a V oppure con la divisa dell’esercito e, sola su una pagina, l’immagine di un uomo di bassa statura, dai capelli biondi e l’espressione ansiosa.... Villy non aveva idea di chi fosse. E poi i suoi libri, le sue raccolte di poesie: Tennyson, Keats, Wordsworth, Walter Savage Landor, Blake e Housman. Su tutti era scritto a mano «Eleanor Milliment». Sul libro di preghiere c’erano i nomi di tutti i suoi allievi, con la data di nascita, in alcuni casi di matrimonio e talvolta di morte, vergati con inchiostro nero e grafia minuta.

Era buio quando Villy finì il lavoro, stanca, sconfortata ma anche sollevata: avrebbe tenuto i libri e l’album di foto e si sarebbe sbarazzata del resto. La casa era immersa in un silenzio tale che, dalla camera di Miss Milliment, sentì un ceppo cadere nel focolare del soggiorno. Lydia le mancava così tanto! Le sue chiacchiere sull’ambiente teatrale, la sua euforia per il successo riscosso dalla commedia di Clary. Aveva comprato due cotolette, per sé e per Rachel, nel caso avesse accettato di fermarsi; chiuse la porta della camera di Miss Milliment, in cui regnava un gelo stantio, andò in cucina a prepararsi la cena, la cotoletta con pane e burro, e accese la radio per avere un po’ di compagnia. Parlavano della prima autostrada della Gran Bretagna, appena inaugurata da Mr McMillan: poco più di dieci chilometri intorno a Lancaster, ed era «solo l’inizio». Inoltre la regina quel giorno aveva fatto la prima telefonata interurbana da Bristol e le aveva risposto Lord Provost da Edimburgo. Era previsto un peggioramento del tempo, con brevi piogge leggere e qualche gelata. Nella bottiglia erano rimaste alcune gocce di gin, che Villy arricchì con del Martini Dry.

Dopo il notiziario fu trasmesso un concerto di Mahler e Šostakovicˇ ; la musica non l’appassionava particolarmente, ma era meglio del silenzio.