Louise

«Se c’è una cosa che non sopporto è quando mi guarda negli occhi e poi inizia una frase con “Francamente...”, lei che è tutto meno che franca!».

Joseph Waring la guardava divertito. Era il ritratto dell’indignazione, e glielo disse. Erano andati a cena, come facevano spesso, all’Étoile di Charlotte Street, dove servivano piatti buoni e originali, almeno rispetto agli standard inglesi. Louise, i capelli tirati indietro da un nastro di velluto nero, portava un abito nero con lo scollo arrotondato e le maniche corte, rifinito con conchiglie dello stesso tessuto. La faceva sembrare giovane ed eterea, il che contrastava con quell’appetito perenne che lui trovava irresistibile e che era la gioia del padrone del ristorante, il quale le aveva detto che, se voleva, poteva essere loro ospite a cena tutte le sere, purché fosse stata disposta a mangiare in vetrina. «Mi sentirei come una di quelle che stanno in vetrina in Olanda... sai, le prostitute», disse a Joseph arrossendo lievemente al pensiero.

Si erano incontrati a una festa a cui l’aveva invitata Stella. Stella era diventata una giornalista politica: era una fervida sostenitrice del Partito Laburista e l’elezione di Anthony Eden, il conte conservatore, ai danni del suo amato Attlee era stata per lei un colpo durissimo. Scriveva regolarmente per l’«Observer» e per il «Manchester Guardian» e di tanto in tanto recensiva libri per il «New Statesman». Era molto popolare e veniva invitata, o se necessario si faceva invitare, a moltissime feste, dove qualche volta trascinava anche Louise con l’obiettivo di farle “ampliare i suoi orizzonti”. In segreto, Louise considerava Stella una fanatica e Stella prendeva in giro Louise per il suo conservatorismo. «Sono certa che voterai per loro: per lo più i Tory non hanno convinzioni politiche. Votano per quelli che la loro classe ha sempre votato». Questo aveva messo a tacere Louise perché in effetti era proprio il suo caso. Lei non s’interessava di politica e la sua famiglia, con la sola eccezione di zio Rupert, era sempre stata di stampo conservatore.

Il partito era una grande organizzazione e aveva al suo interno gente d’ogni sorta. Nella sala, l’aria era densa di fumo e risuonava di innumerevoli voci che lottavano per prevalere l’una sull’altra. Si era sentita completamente persa, paralizzata da quella timidezza che l’assaliva tutte le volte che entrava in una stanza piena di gente che non conosceva. Stella era stata inghiottita dalla corrente che puntualmente abbraccia chi conosce l’ambiente, saluta amici, fa cenni ai colleghi, si fa accendere una sigaretta da quello e ride alla battuta di quell’altro, riuscendo nel contempo anche a procurarsi un bicchiere di succo di frutta (lei non beveva) e voltandosi a guardare Louise solo quando ormai l’aveva persa del tutto...

«Ho l’impressione che tu non ti stia divertendo».

«No... io... be’, in effetti no, non mi sto divertendo».

L’uomo che le aveva rivolto la parola aveva i capelli quasi neri e portava una giacca da sera.

«Perché non ce ne andiamo da un’altra parte, a una festa molto più intima? Dammi la mano». E venne trascinata fuori dalla sala calda e rumorosa, nell’atrio dove erano appesi i cappotti.

«Io non ce l’ho, il cappotto».

«Nemmeno io».

«Dove andiamo?».

«Ho una casa a Regent’s Park, dove ho anche dei sandwich. E una bella bottiglia di bianco in fresco. Come vedi non si tratta di un rapimento».

Louise esitò. Regent’s Park non era molto lontano dal suo appartamento. Forse Stella avrebbe portato a casa un po’ di amici dopo la festa, lo faceva spesso. Aveva fame. Era anche incuriosita. Lui la guardava con aperto interesse, ma voleva comunque che si decidesse. E allora decise.

«Solo per un po’».

«Salta su allora».

Erano arrivati in strada, accanto a una lucida macchina grigio scuro.

* * *

«Non sei sposata, vero?».

Le passarono per la mente delle fugaci immagini del suo matrimonio, come una serie di fotografie bigie e sbiadite. «Un tempo lo ero. Ora non più. E tu?».

Non lo vide, ma percepì un velo calare sugli occhi di lui.

«Oh, sì», disse. «Ho moglie e tre figli. Vivono in campagna. Io li raggiungo nel fine settimana. Stiamo andando nel mio alloggio londinese, però».

Entrarono in una stradina costeggiata di case a schiera, si fermarono davanti a un ingresso e parcheggiarono. La facciata era stata tinteggiata dopo la guerra e aveva un’aria linda e festosa nella luce opaca della sera primaverile. A Louise ricordò una torta nuziale ricoperta di glassa ma ancora non decorata.

Alcuni gradini portavano alla porta d’ingresso e dentro c’era un’ampia scala rivestita di un ricco tappeto rosso e nero. Salirono due rampe e raggiunsero il salotto. Un paio di lampade posate sui tavolini immergevano la stanza in una penombra misteriosa nella quale s’intravedevano dei divani, ammiccavano alcuni tappeti colorati e gli specchi creavano fughe di riflessi incrociati. Solo il marmo bianco della mensola del camino risplendeva di una sua intricata bellezza. Fu accesa un’altra lampada, e Louise vide che le pareti erano rivestite di seta color tabacco. Infine, sul tavolo da salotto di fronte a un divano marrone scuro, su cui la invitò a sedersi, giaceva un vassoio d’argento coperto con un tovagliolo e un secchiello con dentro una bottiglia.

«Se fossi Peter Sellers, ora ti farei assistere a una scenetta spassosa». Avvolse il tovagliolo intorno al collo della bottiglia e la stappò con disinvoltura. Quel gesto doveva essergli abituale, pensò Louise osservando il magico sbuffo di fumo che ne venne fuori prima che il vino fosse versato nei bicchieri senza la più piccola perdita.

«Allora, io mi chiamo Joseph Waring. E tu?».

Glielo disse. Aveva ricominciato a usare il cognome da ragazza.

«Bene, brindiamo a noi». Si chinò a porgerle il bicchiere e quando le loro mani si sfiorarono Louise capì di essere molto attratta da lui.

«A Louise Cazalet... e a me». Lui aspettò qualche secondo e poi disse: «È il tuo turno».

Louise arrossì e si agitò un po’. «Ah, bene... A te, allora».

«Joseph», la soccorse lui.

«Joseph Waring».

«Adesso beviamo. Devo dire che sembravi un po’ arrabbiata. Non importa. Mangia un sandwich».

Louise ne prese uno. Salmone affumicato. Delizioso.

Ma mentre mangiavano fu assalita da mille pensieri. Era sposato. Innamorarsi di lui le avrebbe portato solo guai. E se l’avesse baciata, come sarebbe stato? Come mai c’erano lo champagne e soprattutto i sandwich, belli pronti come se avesse avuto fin dall’inizio l’intenzione di portarla lì? Non era possibile, perché si erano conosciuti solo quella sera. Voleva dire che il suo piano era di sedurre qualcuna, una qualsiasi, a quella festa...

«Non sono una sgualdrina». Lo disse a bocca piena, distorcendo le parole.

Lui emise uno sbuffo, una specie di risata soffocata, poi Louise vide che la guardava con un’espressione vicina alla tenerezza. «Non ho pensato nemmeno per un istante che lo fossi». I suoi occhi erano castani, gentili.

Si sentì rinfrancata, e volle togliersi in fretta quel dubbio. «E allora, com’è che avevi tutta questa roba pronta?».

«Oh, be’, sai, a me piace correre il rischio. Speravo di incontrare qualcuno che sapesse apprezzare i sandwich, e ho trovato te. Finisci il vino. Poi ti riaccompagno a casa».

In macchina Louise si sentì sollevata, spensierata, contenta. Ci vollero pochi minuti per arrivare al suo alloggio dalle parti di Baker Street, e quando gli disse che erano arrivati restarono entrambi in silenzio.

«Vengo a prenderti alle otto, allora», le disse poi, mentre lei si avviava alla porta. «Ti porto a cena». Lo disse come se le stesse ricordando un accordo già preso.

Quello era stato l’inizio. Da allora la portava a cena fuori praticamente cinque sere a settimana. Le altre due le trascorreva in campagna. La prima sera le chiese di poterla accompagnare in casa, e una volta lì la baciò. Poi andarono a letto. Era stato tutto molto semplice e bello e naturale.

«Non potrai mai sposarlo», le aveva detto Stella la mattina dopo.

«Non voglio sposarlo. Non voglio sposare nessuno».

Era innamorata, ed era l’amante di un uomo sposato. A Louise stava bene. Ma quella situazione sentimentale richiedeva regole ferree, che lei sosteneva con fermezza. Una sera, subito prima delle vacanze estive, Joseph la portò a vedere un appartamento che a suo dire era perfetto per lei. Ed era in effetti molto bello: in un vicolo vicino al parco, appena ristrutturato. Quando gli domandò quanto costasse, lui nominò una cifra che, pur essendo contenuta per l’appartamento, era tuttavia al di là della sua portata. Glielo disse. E se le avesse dato una mano? No di certo. Non aveva intenzione di fare la mantenuta, lei. Joseph fece spallucce e disse che era valsa la pena di provarci.

D’estate lui prendeva in affitto una villa a Cap Ferrat dove andava con la famiglia e gli amici per sei settimane. Quello era un periodo duro per lei. S’immaginava la bella vita che Joseph doveva condurre con sua moglie, mentre lei se ne stava nel suo appartamento caldo come un forno da dove non si vedeva nemmeno un albero. E neanche il conforto di una lettera ogni tanto! Così, quando quell’anno, il terzo da che stava con Joseph, suo padre l’aveva invitata in Francia con lui, Louise aveva accettato. Ma sapendo di non essere simpatica a Diana, aveva avuto un incontro piuttosto teso con lei durante il quale le aveva fatto presente quella sfortunata situazione. Il risultato era stato uno di quei “francamente” di cui si era lamentata a cena con Joseph all’Étoile.

«È chiaro che tuo padre vuole che tu vada. Perciò va’ e goditi la vacanza, mia cara».

Qualche volta mi chiama “cara”, ma non mi ha mai detto che mi ama, pensò Louise più tardi. Sola tra le lenzuola ancora calde dei loro abbracci, si era ormai rassegnata al fatto che lui non si fermasse mai a dormire. Fumava una sigaretta con lei, si vestiva in fretta e se ne andava.