Polly, Gerald e la loro famiglia
«In teoria, Lady Fakenham, quella di ospitare delle feste di nozze nella sua bellissima casa è un’idea praticabile. È solo che bisogna fare alcune modifiche per poter attirare la clientela giusta. E con questo intendo dire la clientela che è in grado di sborsare certe somme».
Mrs Monkhurst, in un impeccabile completo di tweed dai colori autunnali e un filo di perle, accavallò le gambe inguainate nel nylon blu scuro e trovò una posizione più comoda sulla sedia. «Dunque», proseguì, «potrebbe cominciare spiegandomi cos’è che non ha funzionato la scorsa settimana».
Polly, che si sentiva piuttosto sciatta al suo cospetto – indossava una vecchia gonna ricavata da una tenda e una camicetta facile da slacciare in modo da poter allattare Spencer – prese la lista che aveva preparato. Era stata lei a invitare Mrs Monkhurst, dato che gestiva una specie di agenzia che organizzava feste in grandi dimore private, ma ora cominciava a sentirsi umiliata e tiranneggiata. «Allora, per cominciare, ha piovuto quasi tutto il tempo. Quindi la gente non è potuta andare in giardino. Poi il tendone non teneva, il che non era colpa nostra, ma comunque gli ospiti hanno avuto freddo. Inoltre c’è stata una fila costante al bagno del piano terra».
«C’è un solo bagno?».
«Temo di sì».
«Ma Lady Fakenham, come ha potuto pensare che un solo bagno bastasse per oltre cento persone!».
«Il fatto è che è tutto così costoso!».
«Mi pare che anche la musica non fosse all’altezza».
Polly s’irrigidì. «Abbiamo portato il pianoforte in veranda e mio fratello ha suonato per tutto il tempo, tranne che durante i discorsi. È bravissimo, sa?».
«Non ne dubito», replicò la Monkhurst, in un tono condiscendente che tradiva il suo scetticismo. «Ma i clienti si aspettavano un’orchestra di almeno quattro elementi». Scartabellò il blocco che teneva sulle ginocchia. «È tutto?».
«Sono sicura di no, ma al momento non mi viene in mente altro», disse Polly mettendo le mani avanti.
«Bene! Questi sono i commenti che ho raccolto per lei. Oltre ai problemi a cui accennava, c’è stata una certa delusione riguardo al pranzo, mi pare». E rivolse a Polly un’occhiata inquisitoria.
«Non capisco. Hanno scelto loro il menu».
«Sì, ma il salmone e il pollo erano stracotti e la maionese era quella in barattolo. Mi è stato riferito anche che le tartine sapevano di vecchio. Lei sa già qual è la risposta, vero?».
«No, temo di no».
«Si è rivolta alle persone sbagliate. Né chi le ha fornito il tendone né il servizio catering erano di prima categoria. Io potrei metterla in contatto coi fornitori giusti, che non commettono questo tipo di errori. Certo, costano un po’ di più, ma le garantisco che ne vale la pena».
«Ma noi non abbiamo più soldi! Siamo andati in perdita».
Mrs Monkhurst le accordò un breve silenzio pieno di compatimento. Alla fine disse: «In tal caso temo che l’investimento sia troppo modesto. Se è interessata, posso farle un preventivo, comprensivo della nostra provvigione per metterla in contatto coi clienti».
* * *
«È per quello che è venuta. Quando l’ho invitata, credevo che ci desse solo dei consigli». Mrs Monkhurst era finalmente risalita sulla sua Humber e se ne era andata, e subito Gerald era emerso per sentire le novità. «È chiaramente in cerca di clienti».
«È normale, visto che è un’imprenditrice».
Gerald era del suo umore magnanimo, capace di irritare Polly ma anche di metterla in grande allarme: quando Gerald entrava in quella modalità era capace di dare retta a chiunque.
«Ma caro, secondo lei dovremmo spendere una gran quantità di soldi che non abbiamo. E, se ci trova dei clienti, vuole il quindici per cento dei profitti. È impossibile!».
«Non è impossibile, cara. Aspettiamo e vediamo cosa ci propone. Ecco Spencer, ha fame». Nan entrò nella stanza con in braccio un neonato paonazzo e urlante. Inarcava la schiena ed era scosso da singhiozzi sincopati, come gli spari di una mitraglietta. Era talmente fuori di sé che anche quando Polly si fu sbottonata la camicetta continuò ad agitare il capo a destra a manca e fu lei a guidargli la boccuccia sul capezzolo, al quale lui si attaccò, con gli occhi color ardesia che la fissavano risentiti.
«Sta mettendo i denti, povero piccolo», disse Nan.
Gerald stette a guardarlo mentre passava dal rosso intenso a un salubre colorito roseo. Un senso di pace si diffuse nell’aria, ed era solo merito di Poll. «Mi piace tanto starvi a guardare», disse. «Comunque, cara, non devi preoccuparti di nulla. Se le cose dovessero mettersi male, possiamo sempre vendere un altro quadro... ora vado a dare una mano a Simon».
Polly sapeva che la frase era intesa a rassicurarla, ma non si sentiva affatto tranquilla. Mentre faceva fare il ruttino a Spencer e lo attaccava all’altra mammella, sospirò. Quando si allatta bisognerebbe pensare solo alle cose belle, si disse. Fra poco arriverà papà, insieme alla cara Jemima e a quella tenera peste viziata di Laura. E Simon è di grande aiuto. Questo pomeriggio preparerò qualcosa. Sbadigliò: Spencer la svegliava spesso la notte. Dobbiamo trovare il modo di guadagnare qualche soldo, pensò. Forse papà avrà qualche buona idea. Del resto lui è un uomo d’affari.
Di lì a poco andò in cerca della carrozzina, che era rimasta in cucina, dove trovò anche Nan intenta a preparare dei tramezzini. «Ci vuole ancora un po’ per il tè, Milady, credo che i gemelli si siano mangiati la torta».
Santo cielo, di nuovo! «Nan cara, è ora di pranzo adesso. Il tè lo prendiamo più tardi, quando tornano i bambini da scuola».
Nan la fissò per qualche momento, poi disse: «Be’, è un sollievo». Ma non sembrava per nulla sollevata.
«Che ne diresti di andare a chiamare gli uomini?». Sapeva che a Nan piaceva dire alla gente cosa fare, e questo l’avrebbe distratta. «Portati la campanella, Nan. Credo che siano sul viale a piantare alberi».
Una volta adagiato Spencer, già mezzo addormentato, nella carrozzina, mentre mescolava il brodo, Polly cominciò a chiedersi come avrebbero fatto se, o meglio quando, la memoria di Nan fosse peggiorata ancora. Avrebbe avuto bisogno di assistenza. Avrebbero dovuto assumere qualcuno che badasse ai bambini e la ragazza che veniva una volta alla settimana non sarebbe mai stata in grado di fare tutti i lavori domestici.
E quei due erano sul viale, già pieno di querce antiche e vecchi olmi maestosi, a piantare altri alberi, quando c’erano tante cose da fare, cose i cui risultati non si sarebbero fatti attendere per trent’anni! Tolse dalla tavola le tazze da tè e andò in dispensa a prendere il pane e il formaggio. Decise di preparare carne di cervo e verdura per cena. Il fagiano lo avrebbero mangiato l’indomani. In casa non se ne poteva più di mangiare fagiani, in quel periodo dell’anno, ma non costavano niente perché Gerald andava a caccia e li abbatteva lui. E poi a papà piaceva la selvaggina. Prima del loro arrivo devo solo controllare le stanze, preparare una torta al cioccolato per il tè e un dessert con le prugne raccolte... un crumble sarebbe la cosa più semplice, e magari vedere se Nan riesce a fare una delle sue treacle tart per domani...
Quando comparvero Gerald e Simon, assai soddisfatti – «Abbiamo piantato dodici alberi e abbiamo finito i paletti per gli altri»! – Polly aveva messo a stufare le prugne e pulito i carciofi per lo stufato.
* * *
«Voglio dormire con Andrew!».
«Io non voglio dormire con lei». Guardò Laura con disgusto. «Ha vomitato in macchina. Non voglio dormire con una persona che vomita».
«Ma mi succede solo quando viaggio in macchina, te l’ho detto! Mamma, diglielo tu ad Andrew che vomito solo quando viaggio in macchina».
«Tesoro, quando sei ospite di qualcuno, devi dormire dove ti dicono».
Eliza e Jane, intente a ripulire i resti della loro fetta di torta al cioccolato, osservavano Laura con viva disapprovazione. Una di loro disse anche: «Non si parla di vomito quando si è a tavola». E l’altra: «Non si fa. È una cosa disgustosa». Laura le guardò entrambe e gli occhi le si riempirono di lacrime.
«Facciamo così, ti do un po’ di carote», disse Polly. «E tu Eliza, potresti accompagnare Laura a vedere i tuoi pony. Però devi promettere di badare a lei. È tua ospite».
Subito s’intromise Jane. «Ci vado io, mamma. Ne ho proprio voglia».
«D’accordo, ma finite il latte. Tutti quanti».
«E chiedete il permesso prima di alzarvi», aggiunse Nan.
Le bambine obbedirono e Simon disse: «Vado con loro».
«Oh, grazie Simon».
Poi Gerald propose a Hugh di andare a vedere i lavori fatti nel giardino posteriore, e lui lo seguì volentieri.
* * *
«Se vuole andare in soggiorno, Milady, le porto il piccolo. È l’ora della poppata».
«Vengo con te o preferisci stare da sola?».
«Oh, vieni con me, Jemima. Non ci vediamo da tanto di quel tempo!».
Polly era rimasta sconvolta dall’aspetto di suo padre. Sembrava non solo molto stanco ma anche, in qualche modo, rimpicciolito. Pure Jemima aveva l’aria stanca, ma la sua persona era sempre così curata da dissimulare i segni della fatica: i capelli biondi dal taglio semplice, la gonna dritta di serge con una camicetta bianca e una cintura tirata a lucido intorno alla vita stretta. Portava calze a rete blu scuro e un paio di scarpe lucide come la cintura. Nella sua espressione sembrava essersi fissata una sorta di ansia che Polly non ricordava di aver notato l’ultima volta che l’aveva vista.
«Come vanno le cose?», le domandò Polly dopo essersi sistemata il neonato al seno.
«Sono in pensiero per tuo padre. Tra lui e Edward va sempre peggio, e questo lo angoscia. Povero Edward! Quando il tuo caro papà si mette in testa una cosa, è quasi impossibile fargli cambiare idea».
Polly aspettò alcuni istanti. «Su che cosa dovrebbe cambiare idea, secondo te?».
«Dovrebbe accettare la nuova moglie di Edward, per cominciare. Credo che Edward ce l’abbia con lui per questo, e non posso dargli torto. Sono sposati. Ma Hugh è molto leale a Villy. S’incontrano regolarmente e ogni tanto dobbiamo invitarla a cena. So che è brutto da parte mia parlarne così, ma sono delle serate terribili! Villy fa un sacco di domande su Edward, chiama Diana la “nave da guerra” e dice molte cattiverie sul suo conto. E poi non vuole che Roland vada a Home Place senza di lei, povero ragazzo, e lei non ci va per timore di trovarci Edward con Diana. Perciò Roly non vede mai i suoi cugini e sta crescendo come fosse figlio unico... a proposito, Spencer è un bambino davvero delizioso».
Polly sorrise: Spencer, abbandonato sulla sua spalla con un filo di saliva sul mento, emise un ruttino e lei gli carezzò il capo. In cima alla testa era ancora pelato, ma lucenti capelli rossi gli crescevano in prossimità della nuca. «È nella fase compositore-romantico-incompreso», disse affettuosamente.
«Stavo pensando che forse potresti parlargli. Io ci ho provato e so che l’ha fatto anche Rachel, ma lui ti adora. Sarebbe una benedizione se tu riuscissi a fargli capire la situazione».
«Be’, posso provarci, ma non credo che...».
A questo punto furono interrotte da una sarabanda di bambini.
«Abbiamo dato da mangiare ai due pony. Adorano le carote! Hanno il naso morbido e un odore così buono. Ne voglio uno anch’io!».
Eliza e Jane erano chiaramente intenerite dall’entusiasmo di Laura. «Domani insegneremo a Laura ad andare a cavallo».
«Dov’è Andrew?».
«Si è punto con le ortiche e si è messo a piangere».
«Io non mi faccio mai male con le ortiche perché so riconoscerle». Laura era talmente di buonumore che aveva voglia di dire la sua su qualunque argomento.
«Gli avete dato una foglia di romice?».
Jane mise il broncio. «Non ricordo».
«Io gliel’ho detto ma non mi pare mi stesse a sentire. Ha solo sei anni, mamma. È piuttosto stupido».
«Io ne ho sette e non sono stupida per niente. So suonare Three Blind Mice al pianoforte e saltare ventidue volte di seguito e leggere certi libri e camminare con papà per quasi tre chilometri...».
«Basta così, Laura. Adesso è ora di fare il bagno».
«Io voglio farlo con Andrew!».
In quel momento apparve Nan. La presenza di nuovi bambini pareva averla rinvigorita. «Tu adesso vieni con me, signorina. E anche Andrew. Voi ragazze più tardi. Altrimenti a letto senza cena». Prese per mano una Laura sorprendentemente docile e uscì con lei dalla stanza.
«Che mi venga un colpo!», disse Jemima impressionata.
«Nan è una forza della natura, quando è in forma».
Così Jemima andò a disfare le valigie e Polly a cambiare il pannolino a Spencer prima di rimetterlo nella culla.
* * *
Il lungo fine settimana – era la pausa di metà semestre – passò senza danni. Simon riuscì a dire a suo padre che aveva deciso di diventare giardiniere e lui, con sua grande sorpresa, non protestò: sembrava anzi sollevato che avesse finalmente trovato una strada. «Non devi fare un corso o qualcosa del genere, per ottenere una qualifica?».
«Be’, immagino che questo sarebbe utile se stessi cercando un impiego da qualche altra parte, ma io mi trovo benissimo qui con Polly e Gerald».
Gerald gli aveva dato manforte spiegando che Simon era di grandissimo aiuto e che lavorava duramente.
Andrew si rassegnò alla presenza di Laura, dato che lei era disposta a fare tutto quello che lui le diceva di fare e questo non era affatto male per uno abituato a essere comandato a bacchetta dalle sorelle maggiori. Spencer mise un dentino e il suo umore volse al bello.
Polly, con la scusa di chiedergli consiglio sui suggerimenti di Mrs Monkhurst, riuscì a parlare a tu per tu con suo padre e a portare il discorso sui contrasti fra lui e Edward e poi, con molto tatto, su Diana. «Papà, come ti saresti sentito se in famiglia ci fossimo rifiutati di avere a che fare con Jemima?».
Hugh la fissò e i suoi occhi solitamente buoni si fecero duri, freddi come biglie. «Non lo sopporterei», replicò. «E comunque tutti le vogliono bene».
«Ecco, io credo che i sentimenti di zio Edward per Diana siano molto simili».
Seguì un silenzio breve e teso.
«Voglio dire, papà caro, che qui non conta tanto ciò che tu pensi di lei, ma i sentimenti di zio Edward. Dopotutto, adesso è sua moglie».
«E la povera Villy, allora? Le ha rovinato la vita».
«È successo, papà. Non ci si può fare niente. Per zia Villy non cambierebbe un bel niente se tu accettassi Diana, ma cambierebbe moltissimo per zio Edward. Papà, di solito sei una persona buona... pensa a me, a come mi sentirei se tu non approvassi Gerald. Starei malissimo! A un certo punto, non potrei più volerti bene come te ne voglio».
«Forse...», aggiunse vedendo che la frase lo aveva sconvolto.
«Be’», disse lui alla fine. «Rifletterò su quello che mi hai detto. Ma, sai, non si tratta solo di Diana. L’azienda naviga in cattive acque, e noi due non siamo d’accordo su come affrontare la situazione. È diventato difficile persino parlarne».
Avevano risalito il viale fino agli alberi appena piantati, che ammirarono doverosamente, poi lui la prese sotto braccio. «Lo sai, Poll, quando parli in questo modo mi ricordi tanto tua madre, Sybil». Emise una risatina asciutta per scacciare i ricordi terribili della morte della prima moglie: l’avvicinarsi inesorabile della fine, il senso d’impotenza di fronte a tutto quel dolore...
Anche Polly (e Hugh se ne sarebbe stupito, perché anche lui, come tante persone, era stato egoista nel dolore) aveva ricordi vividi e dolorosi della morte di sua madre: le grida quando il dolore si era fatto insopportabile, vederla per l’ultima volta in stato d’incoscienza, quel bacio non ricambiato che le aveva dato prima di essere esiliata dalla sua stanza. I rispettivi, separati lutti riemersero mentre camminavano lentamente lungo il viale, con le foglie ramate delle querce che cadevano con grazia ai loro piedi e, sopra di loro, il sole che splendeva freddo in mezzo a un cielo azzurro.
Quando la casa divenne visibile, con la sua orrenda facciata di mattoni giallo-grigiastri («mattonelle da gabinetto» le chiamava Gerald) e le molte finestre sormontate ognuna da un architrave di un rosso che non c’entrava niente, Hugh si fermò a osservarla.
Polly se ne accorse e disse: «Tutta pompa senza sostanza, come dice Gerald».
«Non avete mai pensato di venderla?».
«Io ci pensavo. Ma Gerald ci è affezionato. Per lui è diventata una specie di missione. E ormai mi ci trovo bene anch’io. Solo, dobbiamo trovare il modo di ricavarne un po’ di soldi. Per mantenerla e per mantenere noi stessi». Allora gli raccontò della Monkhurst e del capitale in più che serviva e gli chiese cosa ne pensasse della possibilità di investire ancora sulla casa.
«Quanto?».
«Non ce l’ha ancora detto, ma scommetto che bisognerà vendere un altro Turner».
«Poll, io credo che dovreste andarci molto cauti con queste vendite. I Turner sono il vostro capitale di base».
«Va tutto bene, papà. Ne abbiamo ancora tanti. Ne abbiamo venduti due per riparare il tetto e fare altri lavori necessari. E Gerald ne vende uno per ogni bambino, in modo da avere il necessario per la loro istruzione».
Al loro ritorno furono accolti dalle gemelle in stato di grande agitazione. «Mamma, ci dispiace tanto, ma Laura è caduta da Bluebell e probabilmente si è rotta un braccio oppure una gamba!».
«Dov’è?».
«Jemima l’ha portata dal veterinario».
«Non dal veterinario, dal dottore, sciocca».
«Non è stata colpa nostra, mamma! Non voleva farsi portare».
S’intromise Andrew. «Ecco perché non vado a cavallo. Le gambe e le braccia mi servono per arrampicarmi sugli alberi». Non gli era piaciuto vedersi soffiare Laura dalle gemelle.
«Sapevate benissimo che dovevate portarla con la briglia e non perderla d’occhio un istante. Dov’era Simon mentre accadeva tutto questo?».
«Ha detto che andava a raccogliere altra legna per il fuoco».
«Si è fatto promettere che sarebbero andate solo al passo, ma appena si è allontanato hanno cominciato ad andare al trotto. Jane comunque era su Buttercup, perciò poteva fare ben poco».
«Andrew! Sei un brutto spione!».
«È vero! Sei proprio spregevole!».
«Sono d’accordo. Davvero spregevole»
La faccia di Andrew si raggrinzì tutta. «Non è vero, non sono spregevole! Sono bravo, io. Siete voi che avete fatto cadere Laura da cavallo. Siete voi quelle spregevoli!». Ormai era in lacrime, tirava su col naso e si strofinava gli occhi. In quel momento comparve Nan con Spencer in braccio, già affamato.
«Lui è molto peggio di me. Non sa nemmeno mangiare».
«Ha fame. È un po’ tardi, Milady».
«Scusa, Nan». Prese Spencer e chiese a suo padre di seguirla in soggiorno.
«E tu, signorino Andrew, va’ di sopra a lavarti per il pranzo. Non solo le mani, ma anche le ginocchia», intimò Nan.
«Che c’entrano le ginocchia col pranzo?», protestò Andrew mentre uscivano dalla stanza. «Mica mi mangio le mie ginocchia...». La sua voce svanì dietro la porta chiusa.
«Siediti, papà. Sul tavolo davanti al divano c’è il giornale. Saranno di ritorno a momenti».
Ma Hugh era inquieto. Si aggirava per la stanza gettando occhiate frequenti alla finestra, sul vialetto. «Come abbiamo fatto a non vederli andare via?».
«Saranno passati per il vialetto sul retro, si fa prima. Simon deve averglielo detto».
«E l’ospedale quanto dista?».
«Non più di dodici, tredici chilometri», disse in tono rilassato, cercando di farli sembrare pochi.
Spencer tracannò il latte talmente in fretta che quando fece il ruttino ne rigurgitò una buona parte. Forse è ora di svezzarlo, pensò Polly. Cominciava a essere stanca di un’esistenza tutta incentrata sui suoi seni.
«Vuole aspettare che tornino per pranzare, Milady?».
«No, Nan. Credo sia meglio procedere. Prima però mi chiameresti Jane ed Eliza? Sono molto arrabbiata con loro».
Negli occhi di Nan passò un lampo di ammirazione. «È giusto, Milady. Milord è troppo indulgente con quelle due piccole pesti».
«Potremmo cominciare a dargli dei cereali con il miele, che ne dici? Lo imboccherei seduto sulle mie ginocchia».
«Molto bene, Milady».
Eliza e Jane entrarono con ancora addosso la tenuta da equitazione. Erano nervose. Hugh aveva lasciato la stanza con discrezione, Polly si era alzata dal divano e si era seduta su una rigida sedia dallo schienale dritto.
«Sono molto delusa da entrambe. Vi siete comportate in maniera irresponsabile. Siete due bambine egoiste e stupide. Laura poteva anche morire per colpa del vostro inqualificabile comportamento».
Chinarono il capo. Quando tornarono a guardarla, Polly vide che erano davvero scosse dalle sue parole. «Mamma, non volevamo farle del male. Davvero».
«Lo credo che non volevate. Però non vi siete date la pena di controllare che non le succedesse niente. Per adesso non conosciamo l’entità del danno. Quando tornerà, voglio che vi scusiate con Laura e con entrambi i suoi genitori».
«Va bene, mamma. Promesso».
«Bene. E per punizione, non potrete cavalcare per tutta la pausa di metà semestre, tutt’e due».
«Oh, mamma! Non è giusto! Abbiamo promesso a Laura che le faremo un’altra lezione. Dopo che è caduta, ha detto che vuole riprovarci».
«Oh, questa poi! È una decisione che spetta ai suoi genitori. Prima che andiate, devo ricordarvi che non avete rispettato la promessa fatta a Simon».
«Che promessa?».
«Dimmelo tu, Eliza».
Dopo qualche secondo Eliza disse imbronciata: «Di non andare al trotto».
«Mamma, non siamo riuscite a fermarla!», protestò Jane. «Non faceva che dare di sprone, e Bluebell, poverino, si è messo a trottare, che altro doveva fare? Era lei la cattiva».
«Bene. Può bastare. Vi scuserete anche con Simon».
«Mamma, credo che dovresti parlare con quello spione di Andrew. Quando non trova qualcosa di vero da spifferare, se lo inventa».
«Basta così, tutt’e due. Sapete dov’è vostro padre?».
«Le ha accompagnate in macchina. Adesso possiamo andare?».
Quando furono uscite, Polly si avvicinò alla finestra affacciata sul vialetto e fece cenno a suo padre di rientrare.
«Va tutto bene, papà. Gerald è con loro. Conosce la strada ed è un vero fenomeno con le infermiere. Vieni, mangiamo qualcosa».
* * *
Tornarono alle tre. Laura si era rotta il braccio destro e la gamba sinistra. Era in uno stato d’animo euforico. «Mi hanno messo due bendaggi, di quelli duri che ci si può scrivere sopra».
«Laura è stata molto coraggiosa».
«Davvero. Ma proprio coraggiosissima».
Gerald la portò in braccio in cucina mentre Jemima sistemava dei cuscini su una sedia coi braccioli e procurava uno sgabello perché vi poggiasse la gamba.
«Hanno dovuto aggiustarmi le ossa. Mi hanno fatto un gran male ma mi hanno avvertito. Tutt’e due le volte. Prima mi hanno messo delle bende normali, e poi...». Una pausa teatrale. «...poi ci hanno messo sopra una roba appiccicosa e hanno detto che bisognava aspettare che si asciugasse. A me non importava perché zio Gerald mi ha dato un buonissimo biscotto al cioccolato. E adesso quella roba si è tutta indurita. Dovrò tenerlo per diverse settimane e non potrò fare il bagno, e non ho quasi mai pianto... solo qualche lacrimuccia, è vero, mamma? Mamma poi mi ha tenuto la mano per tutto il tempo... sono andata al trotto su Bluebell, ma non credo che potrò cavalcare di nuovo finché non mi toglieranno questa roba bianca».
«Adesso mangia, signorina».
Nan le aveva scodellato nel piatto, con un cucchiaino, un po’ di pasticcio di carne e purè. Laura però non riusciva a mangiare bene col braccio sinistro e il cibo cominciò a volare da tutte le parti, un po’ come succedeva con Spencer, pensò Polly. Il sapore dei cereali gli faceva torcere la faccia dal disgusto, e alla fine li sputava. Dopo una serie di tentativi, Hugh decise di imboccarla col cucchiaino. Laura non aveva fame e di colpo scoppiò in lacrime. «Non voglio proprio niente! Non mi va quella robaccia!».
«Lo stress», disse Nan sottovoce.
Hugh la prese in braccio e la portò di sopra, seguito da Jemima.
«Ha bisogno di una bella dormita. Farà merenda più tardi. E voi due, Eliza e Jane, non si fissa la gente in quel modo. È maleducazione».
«Maleducazione», ripeté Andrew con un certo compiacimento. Per il resto di quel fine settimana fu molto buono con Laura: giocò a carte con lei e l’aiutò a comporre un piccolo puzzle con le tessere di legno. Gerald riadattò una vecchia carrozzina, che era stata acquistata per le gemelle, e ne fece una specie di sedia a rotelle. Tutti scrissero il loro nome e qualche dedica sulle ingessature. Jemima le sistemò un vassoio sulla carrozzella in modo che potesse giocarci a carte o fare il puzzle. Jane ed Eliza leggevano per lei a turno. Laura volle a tutti i costi uscire per dare le carote ai pony, e i suoi ansiosi genitori l’accompagnarono. Accarezzò i nasi vellutati dei cavallini e tentò di dare un bacio a Bluebell. Lui però ritrasse il capo e si allontanò. Una volta finite le carote, entrambi i pony se ne andarono per i fatti propri. Tutti si scusarono con tutti e si sentirono un poco meglio.
«Non dimenticherai quello che ci siamo detti a proposito di Edward e Diana, vero?», sussurrò Polly a suo padre prima di abbracciarlo.
«Non lo dimenticherò, Polly cara. Sono tanto fiero di te». Dopodiché, sistemata Laura sul sedile posteriore, entrò in macchina mentre Jemima abbracciava con calore Simon, facendolo arrossire di piacere.