Villy

E poi naturalmente non potrò andare al funerale perché ci sarà Quella Donna.

Pensieri di quel genere – amari, sempre gli stessi – le ronzavano in testa con l’accanimento di uno sciame di vespe inferocite.

Ormai erano passati nove anni da quando Edward l’aveva lasciata e uno straccio di vita sua era riuscita a costruirselo. La scuola di ballo che aveva messo su con Zoë aveva avuto una vita breve e piuttosto zoppicante. La gravidanza di Zoë e il suo trasferimento dall’altra parte della città, insieme al fatto che Villy non era riuscita a trovare un’altra socia che soddisfacesse i suoi alti standard, avevano messo fine all’impresa.

Dopo quell’avventura, per un po’ si era accontentata di badare alla casa che le aveva comprato Edward. Adesso Roland era in collegio, dove, sorprendentemente, se la passava benissimo. All’inizio Villy si era figurata (forse ci aveva addirittura sperato) questo povero bambino già privato della figura paterna (giammai gli avrebbe permesso di incontrare Quella Donna, perciò Roland vedeva suo padre una volta a semestre, quando lui e solo lui lo portava a pranzo fuori) che adesso veniva allontanato forzatamente anche dalla sua adorata mamma. Si era immaginata di sentirlo singhiozzare al telefono e di ricevere lettere grondanti angoscia, ma il massimo che aveva ottenuto era stato quando lui le aveva scritto: «Cara mamma, sapessi che noia qui. Non c’è niente, ma proprio niente da fare». In seguito, i resoconti di Roland della vita in collegio erano stati dominati da un ragazzino di nome Simpson Senior e dalle mirabolanti bricconerie da lui compiute senza mai pagarne il fio. Miss Milliment, l’anziana istitutrice di famiglia, era sempre con lei; quando aveva saputo che non aveva parenti in vita, Villy le aveva offerto un alloggio a tempo indefinito. In cambio riceveva da lei un affetto duraturo che era un balsamo per il suo cuore ferito. In cucina Miss Milliment era un disastro, perché ci vedeva poco e non metteva mano ai fornelli dacché era morto suo padre, pochi anni dopo la fine della prima guerra mondiale, perciò il suo contributo ai lavori domestici si limitava al dare da mangiare agli uccelli e qualche volta alle tre tartarughe e all’andare nei negozi dei dintorni quando Villy dimenticava di comprare qualcosa. Dedicava la maggior parte del suo tempo alla revisione di un trattato filosofico scritto da una sua ex allieva. La sera leggevano a turno a voce alta Guerra e pace. Così, quando Villy trovò un lavoro noioso e mal pagato nell’ufficio di un ente benefico – era stata una cugina ricca di sua madre a insistere perché accettasse –, per lei fu di grande conforto avere qualcuno che l’aspettasse a casa.

Anche la famiglia era stata buona con lei. Hugh e la sua simpatica giovane moglie, Jemima, la invitavano a cena di tanto in tanto, Rachel andava a farle visita ogni volta che era a Londra e la Duchessa la invitava regolarmente a Home Place nel periodo scolastico. Teddy si faceva vedere una volta al mese. Lavorava nell’azienda di famiglia, ma la conversazione al riguardo era costellata d’insidie, dato che gli era difficile non nominare il padre, e aveva imparato in fretta che quello era un argomento da evitare a tutti i costi. Il guaio, con tutte queste persone, era che Villy percepiva distintamente che la cercavano per pura compassione. E come la maggior parte di quelli che si autocompatiscono, ci teneva ad avere il monopolio di quel sentimento. Orgoglio, lo chiamava.

No. Lei voleva bene a Roland (come aveva potuto anche solo pensare di non metterlo al mondo?) e alla cara Miss Milliment – che avrebbe voluto che la chiamasse Eleanor, ma Villy c’era riuscita una volta sola, subito dopo che ne avevano parlato.

Si ripromise di scrivere a Rachel, che era stata una figlia devota per entrambi i suoi genitori. Cosa che non posso dire di mia figlia, pensò Villy. Louise le faceva qualche visita di cortesia quando stava male: preparava la cena se necessario, parlava del più e del meno, ma di solito era poco incline ad aprirsi e alternava discorsi evasivi con aperte provocazioni il cui chiaro intento era scandalizzare la madre. La quale infatti si scandalizzava. Quando Louise di punto in bianco aveva annunciato: «Tanto ormai ho un amante ricco, perciò non devi più preoccuparti per me!», c’era stata una pausa di gelo dopo la quale Villy, raccogliendo tutta la calma di cui disponeva, aveva domandato: «È una cosa saggia da fare?». Louise aveva replicato: certo che no, ma non c’era niente di cui preoccuparsi, perché non intendeva restare con lui a lungo. La conversazione aveva avuto luogo in camera da letto, dove Miss Milliment non poteva sentire. «Be’, ti pregherei di non parlarne in presenza di Miss Milliment», le aveva chiesto Villy, e Louise aveva risposto che non si sognava affatto di farlo.

La sua carriera nel teatro non era mai decollata, ma era pur sempre alta e sottile, con folti capelli biondo rossicci e un volto d’innegabile bellezza – zigomi alti, occhi color nocciola ben distanziati e una bocca che a Villy ricordava con disagio i volti sensuali che tanto piacevano ai preraffaelliti. Era divorziata ormai da anni da Michael Hadleigh, il quale si era risposato quasi subito con una sua vecchia fiamma. Louise non aveva voluto gli alimenti e adesso si barcamenava in un appartamento in affitto sopra un fruttivendolo, che condivideva con la sua amica Stella, l’intellettuale. Villy c’era stata una volta sola, una visita a sorpresa. In casa c’era odore di uccelli morti (il fruttivendolo spennava e vendeva pollame) e molta umidità. Le inquiline avevano due stanzette a testa, e il terzo piano era stato attrezzato come cucina e sala da pranzo, con l’aggiunta di un bagno minuscolo. Il giorno in cui Villy era andata a trovarle, sul tavolo da pranzo c’era un piatto con sopra degli sgombri chiaramente andati a male. «Non intenderai mangiarli, spero».

«Buon Dio, no! Un nostro amico sta dipingendo una natura morta e ci ha chiesto di tenerglieli finché non ha finito... Be’, adesso hai visto tutto». Perciò puoi andartene. Non fu detto, ma Villy lo sentì fra righe.

«Come fai con l’affitto?».

«Lo dividiamo. È piuttosto economico, solo centocinquanta sterline l’anno».

Villy si rese conto di non avere idea di come sua figlia si guadagnasse da vivere. Ma aveva la sgradevole sensazione di aver già fatto troppe domande quel giorno. Mentre tornava a casa in autobus si scontrò per l’ennesima volta con la sua irrimediabile solitudine. Se solo ci fosse stato Edward, avrebbe potuto discuterne con lui! Forse le stava già pagando l’affitto. Sarebbe stata almeno una situazione rispettabile. Con Miss Milliment non poteva parlarne di certo. Era fuori questione, con tutte quelle torbide storie di sesso.

Invece fu Miss Milliment stessa a sollevare l’argomento.

«E che cosa fai di bello in questi giorni, Louise?».

«Faccio delle sedute di posa, Miss Milliment».

«Oh, ma che bello! E che cosa lavori? L’argilla? Oppure la pietra? Ho sempre pensato che lavorare la pietra deve essere una gran fatica per una donna».

«No, Miss Milliment. Poso per delle foto, sulle riviste. Ha presente... tipo “Vogue”». E Miss Milliment, che aveva sempre considerato le riviste (con l’eccezione di quella della Royal Geographic Society) come delle letture per chi non sapeva leggere bene, mormorò che doveva essere un’attività molto interessante.

«Ti pagano?», aveva domandato Villy, e Louise aveva risposto quasi stizzita: «Certo! Tre ghinee al giorno. Ma in quanto freelance non sai mai quando lavori e quando no. Devo andare, adesso. Papà mi ha invitata in Francia. Due settimane con loro. Hanno preso una villa vicino Ventimiglia, c’è anche la spiaggia».

Fu un congedo distratto e un po’ brutale. Non può avere idea di come mi sento, pensò Villy più tardi, mentre insonne tra le lenzuola lottava con l’amarezza e la rabbia. Lei aveva fatto la luna di miele a Cassis, un po’ più a ovest lungo la costa, in quei giorni lontani tra la prima e la seconda guerra.

A parte l’inconveniente di tutto quel sesso, che non desiderava né capiva, quelli erano stati i suoi anni d’oro. Lo sci, le uscite in barca, sempre in compagnia di familiari o amici. Lei era bravissima a sciare e anche in barca se la cavava. Già allora aveva imparato a fingere a letto, gli diceva che era bello e lui naturalmente non aveva avuto difficoltà a crederle. Le gravidanze almeno erano state una pausa benedetta da quella tortura, e poi c’erano stati i grigi, interminabili anni della guerra che aveva trascorso nella bucolica prigione del Sussex, mentre lui era in servizio all’aerodromo di Hendon; poi l’urgente bisogno di legname lo aveva dirottato di nuovo nell’azienda di famiglia. Era stato lui a decidere di vendere la loro casa di Londra, quella casa che lei amava tanto. Era stato lui, una volta finita la guerra, quando Villy aveva sperato in una tranquilla vita coniugale, a spingerla a trovare una casa più piccola, e lei aveva scelto quella casupola con soli due piani esposta a nord e a sud, col risultato che di tutte le stanze solo tre prendevano sole... e lì l’aveva abbandonata. Perché già da mesi, da anni, portava avanti una relazione con Quella Donna. C’era stato il divorzio, una cosa che la sua povera mamma avrebbe trovato inconcepibile. E Louise lo sapeva e non le aveva detto niente. Il suo piccolo Roly, quando gli aveva spiegato la situazione, le aveva promesso con le lacrime agli occhi che lui non l’avrebbe lasciata mai. Anche per Teddy e Lydia era stato un fulmine a ciel sereno: loro non facevano parte di quella cospirazione. Ma Villy vedeva poco Teddy e praticamente mai Lydia, che aveva frequentato una scuola di recitazione e adesso lavorava in una compagnia di repertorio nelle Midland. Mettevano in scena un testo diverso ogni settimana, il che voleva dire, le aveva spiegato Lydia in una delle sue rare e confusionarie lettere, che mentre andava in scena la commedia numero uno, gli attori provavano la numero due e la sera a letto studiavano la loro parte nella numero tre. Diceva anche che era un lavoro duro ma che a lei piaceva e che no, non aveva proprio idea di se e quando avrebbe potuto prendersi una vacanza. Villy le mandava dieci sterline al suo compleanno e a Natale. Era grata dell’affetto naturale e intatto che riusciva ancora a provare per lei.

Dopo la telefonata di Zoë, in cui aveva appreso della morte della Duchessa, andò a informare Miss Milliment, che se ne stava nel salotto rivolto a sud con la porta finestra aperta sul giardino, seduta sulla sua solita poltrona. Tutte le mattine leggeva il «Times» e faceva il cruciverba, che riusciva a completare in meno di mezz’ora. Di solito guastava a Villy la lettura del giornale raccontandole gli articoli che più le erano piaciuti. Quella mattina però si era dovuta accontentare dell’infelice storia di Ruth Ellis, processata l’anno prima per l’assassinio del suo amante. «Secondo me, qualunque cosa una persona abbia fatto, non dovrebbe essere condannata a morte. Non trovi che sia una cosa incivile?».

Invece di rispondere alla domanda (non vedeva perché una persona che ne aveva uccisa un’altra dovesse farla franca), le disse della morte della Duchessa, aggiungendo anche una tirata amara sul fatto che non sarebbe potuta andare al funerale per via di Quella Donna.

«Ma non sai nemmeno se ci sarà o no. Forse varrebbe la pena scoprirlo prima di farne un dramma, no?».

«Be’, Edward ci andrà di sicuro».

«Sì, ma lei forse no. Potresti chiedere a Louise o a Teddy».

«Potrei chiedere a Teddy, immagino. Rupert è già andato a Home Place, e non credo che decideranno la data del funerale prima di questo fine settimana».

«Viola cara, temo di avere una confessione da farti. Ho urtato la tazza di tè che tu sei stata così gentile da portarmi. Mi ero addormentata e, chissà perché, credevo fosse pomeriggio e cercavo con la mano l’interruttore della lampada. Certo, fosse stato davvero pomeriggio, la tazza non sarebbe stata lì. Non credo di aver pulito bene, ma si asciugherà da sola, perciò non ti preoccupare. Sentivo solo di dovertelo dire, ecco».

Un leggero tremore della mano che reggeva il giornale fece capire a Villy che Miss Milliment era molto agitata. Con tutte le padrone di casa perfide che doveva aver sopportato negli anni, povera donna... il cuore le si riempì di autentica compassione e le mise il braccio intorno alle spalle grassocce. «Non si deve preoccupare. Può capitare a chiunque di rovesciare una tazza di tè».

Più tardi in autobus, mentre andava al suo squallido ufficietto, pensò che quella era la terza tazza di tè che rovesciava quel mese.