I Fakenham e i Lestrange

«Ho pensato che la cosa migliore per prevenire discussioni al riguardo fosse decidere in anticipo chi avrebbe dormito dove».

Polly aveva organizzato tutto alla perfezione, pensò Clary. Harriet avrebbe dormito nella cameretta grande con le gemelle, Eliza e Jane; Bertie invece con Andrew. Spencer sarebbe stato sistemato nello spogliatoio di Gerald, adiacente alla camera da letto dei suoi genitori. Sorprendentemente, nessuno degli interessati obiettò. I Lestrange erano arrivati in tempo per la merenda supervisionata da Nan: una fetta di pane e burro prima di buttarsi su sandwich alla marmellata e fette di torta. Nonostante si fossero lamentati a lungo del mal d’auto, Bertie e Harriet si dichiararono affamati. Il mal d’auto si rivelò un valido argomento di conversazione.

«Io non ho mai vomitato. Com’è?», domandò Andrew.

Harriet ci pensò un momento. «Ecco... la bocca ti si riempie di saliva e poi senti una specie di movimento nella gola, dopodiché... buaah! Ti viene su tutto».

«E che aspetto ha?».

«Un miscuglio di uova strapazzate e pappa d’avena. La puzza è tremenda».

Eliza, che sapeva leggere meglio di tutti, osservò: «Nei giornali si legge spesso di gente soffocata dal suo stesso vomito».

«Be’, pensa che schifo sarebbe essere soffocati da quello di un altro». Jane rispondeva sempre a tono alle esternazioni di sua sorella.

Nan, che finora era stata troppo impegnata a imboccare Spencer per far caso ai discorsi dei ragazzi, emerse all’improvviso dal suo silenzio. «Ve l’ho detto, signorine. Le bambine beneducate non dicono parole come schifo. Dicono orribile o disgustoso».

«A scuola però si dice, Nan».

«Be’, qui non siamo a scuola».

Dopo merenda giocarono agli orchi con le torce, un gioco che implicava lo spegnimento di tutte le luci i cui interruttori fossero alla loro portata. Nan si rifugiò in cucina e i genitori nel salotto di Polly, che in ogni caso era territorio vietato ai bambini perché vi avevano luogo una serie di attività segretissime. Per quelle che parvero ore, si aggirarono per la casa buia armati di torce procurate da Eliza.

Le regole del gioco restavano un mistero per chiunque li osservasse dall’esterno e qualche volta anche per i partecipanti più piccoli, come Andrew, che alla fine si chiuse in una credenza a piangere perché era tutta una grande ingiustizia.

«Magari così si stancheranno presto», auspicò Archie. Guidare a lungo lo aveva sfiancato e la gamba gli faceva male. Si stiracchiò contento di fronte al largo caminetto col fuoco acceso. Lei è nel Surrey coi suoi, pensò. Non doveva pensarci. «Il salotto è bellissimo, Poll». Era caldo e confortevole, con lampade che proiettavano accoglienti fasci di luce, le grandi finestre coperte da tende di velluto verde, una parete piena di libri e le altre tappezzate di carta verde mare.

Gerald annunciò che avrebbe sfidato le tenebre per prendere del ghiaccio. «Ci aiuterà a sopravvivere fino all’ora di metterli a letto».

Clary disse: «Ci penso io a metterli a letto, Gerald caro. Tu per stasera potrai limitarti al bacio della buonanotte». Lei e Polly, chine sul pavimento vicino alla finestra, stavano aprendo una scatola di cartone piena di decorazioni natalizie.

Quando Gerald tornò dalla spedizione, che definì “polare”, preparò un corroborante intruglio molto alcolico e si sedettero tutti quanti davanti al fuoco a sorseggiarlo. Lo fecero in piacevole silenzio, e Gerald pensò che era proprio una gioia avere così tanti bambini in casa, che Polly era bellissima con la luce del focolare che si rifletteva sui suoi capelli color rame... poi si chiese se gli alberelli che aveva appena piantato con Simon avrebbero reso qualcosa, visto che finora l’avventura di affittare la casa non aveva certo...

Polly pensò a quant’era bello avere in casa Clary e Archie. Ormai la distanza tra loro era tanta che quasi non sapeva più nulla di sua cugina, e la colpa era soprattutto del fatto che lei, Polly, non poteva mai allontanarsi da casa: non poteva più lasciare Nan sola coi bambini, e Gerald, checché ne dicesse, non era in grado di gestire contemporaneamente la casa, i bambini e i suoi mille progetti relativi alla proprietà. Come spesso le capitava in quel periodo dell’anno, pensò a Christopher nel suo monastero e sperò che fosse felice. Si ricordò di quel fine settimana che aveva passato nel caravan con lui, quando aveva ancora il suo amato cane e aveva creduto di essere innamorato di lei. Per fortuna era finita presto, e lui non ne aveva più parlato. Pensò anche a suo padre e a come le era parso stanco e stressato l’ultima volta che lo aveva visto. Jemima le aveva raccontato della cena che ne era seguita, con Edward e Diana: un piccolo passo verso la riconciliazione...

Clary stava pensando che era davvero rilassante non essere la sola e unica responsabile della festa di Natale. Lei dava una mano, certamente, faceva la sua parte, ma più che altro si limitava a eseguire. Polly era bravissima. Era capace di organizzare tutto mantenendo l’aria composta di chi non sta facendo niente. Possedeva un’eleganza innata ed era un vero peccato per Archie che lei invece non avesse nemmeno un briciolo di quel talento, pensò. Quella mattina, a casa, si era tirata su i capelli, ma continuavano a caderle le forcine e più tentava di tirarli indietro più quelli le cadevano a ciocche sulla faccia. Quando cadde l’ennesima forcina, Archie si chinò a raccoglierla e poi con delicatezza gliele tolse tutte sciogliendole i capelli. «Così mi piaci di più», disse e Clary si sentì sommergere d’amore al punto che quasi arrossì.

Somigliava a ogni Natale trascorso a Home Place, pensò, con la differenza che qui non c’erano Mrs Tonbridge ed Eileen ad assumersi il peso dei lavori domestici. Adesso dobbiamo cavarcela da sole, pensò. Il che va bene per noi, ma deve essere molto dura per le donne della vecchia generazione, come la povera zia Villy e anche Zoë. Era uno dei tanti cambiamenti, in apparenza insignificanti, innescati dal welfare state e dai governi laburisti. L’elezione di Mr Macmillan non ci farà tornare indietro nel tempo. A meno che uno non sia ricco, e allora può godere ancora dei vecchi privilegi. Chissà se tutte le persone che prima andavano a servizio adesso stanno vivendo una vita migliore, si domandò Clary. Archie e suo padre erano sempre stati di idee progressiste, anche se papà non ne parlava molto: era bravo a mettersi nei panni degli altri e questo lo spingeva a sostenere gli interessi di chi era diverso da lui. Archie poi di politica non parlava quasi mai, anche se leggeva ogni settimana l’«Observer» e il «Manchester Guardian». Si diceva che le cose sarebbero migliorate molto per le donne. Archie le aveva detto che presto ci sarebbero state donne elette alla Camera dei Lord. «La baronessa Clarissa Lestrange si è insediata la scorsa settimana e il suo discorso inaugurale sull’educazione dei fanciulli ha raccolto consensi unanimi...». Invece no: lei era una commediografa e si sarebbe insediata al massimo in quello che Archie chiamava “il club”, il ristretto circolo degli artisti di professione...

Archie si lasciò riempire di buon grado il bicchiere da Gerald. Era un padrone di casa perfetto, sembrava anticipare ogni più piccolo desiderio. Ed era chiaro che adorava Polly. Adorava anche, ad Archie non era sfuggito, quella mostruosità architettonica che aveva avuto in eredità. Ripensò al vecchio sogno di Polly, quello di ristrutturare da cima a fondo un’intera casa: certo, lì sarebbe stato impossibile, ma era riuscita comunque a creare degli angoli di bellezza e di calore. La camera che era stata assegnata a lui e a Clary, per esempio: pittura e carta alle pareti, tappeto verde muschio, alle finestre delle tende di un rosa che richiamava i fiori dipinti sul motivo a graticcio della carta da parati che doveva essere di fattura francese, si era detto Archie. Polly aveva spiegato loro che quella era la camera dove avrebbero dovuto cambiarsi le spose e che all’occasione usavano per gli ospiti speciali. «Ho dovuto cercare di accontentarli». Aveva appeso dei quadri che lei chiamava “da arredamento”, innocui, scolastici paesaggi marini o rurali, e anche un ritratto di famiglia tra i meno inquietanti che aveva trovato sparsi per la casa, Lady Agatha Barstow, una signora dalla vita sottilissima con un vestito di taffetà azzurro. Il suo viso completamente inespressivo – pelle di porcellana, occhi azzurri leggermente sporgenti, la boccuccia minuscola con un lieve accenno di doppio mento – vegliava stolido sulla stanza. «Piace molto agli agenti immobiliari perché ha un titolo», aveva spiegato Polly. «E poi ci sono il bagno privato e un lavello in camera, che noi non abbiamo».

Polly aveva fatto del suo meglio, pensava Archie, ma gran parte di quella casa enorme restava inutilizzata. Al piano di sopra c’era un numero imprecisato di camere da letto che andavano progressivamente in rovina. Era una casa progettata per alloggiare decine di ospiti, assistiti da mattina a sera da una numerosa squadra di domestici. Polly gli aveva detto che Nan era l’unica lì dentro che la conoscesse tutta.

Clary e Polly andarono a mettere a letto i bambini, e poco dopo Gerald volle andare a vedere se avevano bisogno di una mano. Archie restò davanti al fuoco col bicchiere pieno, e gli tornò in mente lei. Era stato davvero meschino, e la commedia di Clary glielo aveva ricordato con chiarezza. Il testo lo aveva colpito molto: i tre personaggi apparivano in perfetto equilibrio, i dialoghi erano brillanti e la tensione restava costante fino all’epilogo, che poi era, immaginava Archie, quello che stavano vivendo loro in quel momento. Per lui andava tutto bene, certo. Lui non aveva mai smesso di amare Clary. La ragazza invece era rimasta a mani vuote. La lettura della commedia di Clary aveva riportato a galla i suoi sensi di colpa, e dovette ricordare a se stesso per la centesima volta che lei era molto giovane, che presto le sarebbe passata, che quasi tutti avevano cominciato la loro vita sentimentale con una relazione finita male... lui con Rachel per esempio: era stato un amore totalizzante ed era durato a lungo. Ma ora faceva parte del passato.

Adesso il vero problema era il futuro. Soprattutto per il buon vecchio Rupe. Gli aveva confidato che l’azienda era in perdita. Lui, per giunta, non aveva mai desiderato lavorare nell’azienda di famiglia, lo aveva fatto perché, insegnando arte e vendendo un quadro ogni tanto, guadagnava troppo poco e voleva dare a Zoë una vita migliore. Archie sapeva della donna con cui era stato quando era in Francia e quanto era stato difficile per lui riadattarsi alla vecchia vita che ormai era nuova. Anche Archie adesso avrebbe voluto confidarsi con qualcuno, ma quel qualcuno non poteva essere Rupe. Aveva sposato la figlia del suo migliore amico, una donna molto più giovane di lui, e confessargli di averla tradita era fuori discussione. Era deprimente, pensò, ma tutto girava sempre intorno al denaro. Il denaro e la paura.

La paura rendeva la gente avida e di conseguenza egoista; i pochi che potevano dirsene immuni, quelli che potevano affermare senza ipocrisia di non badare al denaro, erano perlopiù soli, senza famiglia da mantenere. Lui e Rupert, da studenti, la pensavano così: professavano nobili sentimenti e disprezzavano lo stile di vita borghese. Povertà e stenti apparivano loro circondati da un alone romantico, e nelle rare occasioni in cui ne erano toccati, li imputavano alla nobile causa dell’arte...

«Vogliono il bacio della buonanotte da te». Era Clary. Sembrava accaldata e si era tirata indietro i capelli con un cordoncino.

«Dove sono?».

«Harriet è con Eliza e Jane. Bertie è con Andrew. Sentirai le loro voci non appena sarai di sopra. Polly sta preparando la cena. Brodo caldo e tramezzini al salmone affumicato. Mangeremo qui, poi faremo l’albero e le calze. È tutto bellissimo, vero?». Aveva una macchia d’inchiostro sulla fronte, gli occhi vibravano di autentica gioia: il loro candore non finiva mai di stregarlo.