Clary

«Non dovresti preoccuparti tanto, tesoro. Dopotutto parliamo di una sola settimana. Sarà un bel diversivo. E l’occasione per riposarsi».

Clary non gli rispose. Se Archie credeva davvero che una settimana in una roulotte coi bambini si sarebbe anche solo avvicinata, per lei, alla definizione di “riposante”, o era impazzito oppure non gliene importava niente perché aveva smesso di amarla.

«Risparmieremo anche un bel po’ di soldi. L’ultima volta abbiamo speso un patrimonio per portare i piccoli in giro per Londra e per mangiare sempre fuori. E non potevi proporgli la stessa gita due volte! Ai miei tempi certe cose si facevano solo a Natale e per il compleanno».

«Non puoi credere davvero che andare tutti e quattro su un traghetto con la macchina e poi noleggiare una roulotte sia economico! Tu vuoi solo andare in Francia».

«Certo che voglio andare in Francia!». Lo disse con voce alterata. Mise giù il pennello che stava lavando e la guardò, china sul lavello, che cercava di pulire la pentola del porridge coi capelli che le ricadevano ai lati del viso. «Clary! Mia cara, mi dispiace».

«Di cosa ti dispiace?», borbottò tra sé. Lui le si avvicinò e la voltò verso di sé.

«Hai le lacrime facili, tesoro. E lo sei, il mio tesoro, come non faccio che ripeterti da dieci anni. Cominci finalmente a capirlo?».

Gli buttò le braccia al collo; lui era molto più alto. «Non avresti preferito sposare Polly?».

Archie finse di pensarci. «No. Non credo».

La baciò e lei rilanciò: «O magari Louise?».

«Dimentichi che lei era già presa quando sono arrivato. No, non mi restava che accontentarmi di te. Cercavo proprio una donna che fosse una scrittrice, una pessima cuoca, una specie di genio pasticcione. Adesso devo proprio andare, cara. Non so più quale vecchio membro illustrissimo di quale associazione di parrucconi mi aspetta nel mio studio perché dipinga la sua brutta faccia. Non vedo l’ora di offendere la mia arte».

«Ma non potresti», disse lei mentre lui impacchettava i pennelli, «dipingerlo così com’è? Dipingere quello che vedi?».

«È fuori discussione. Se lo facessi, quello non lo vorrebbe più, il quadro. E sarebbero mille sterline buttate al vento. Così le vacanze le passeremmo in roulotte, ma al massimo sulla Great West Road».

Queste conversazioni le abbiamo già sostenute non so quante volte, pensò Archie mentre andava a prendere l’autobus in Edgware Road. Io che la rassicuro, lei che vorrebbe che io facessi solo quello che mi piace. Non che gli pesasse. Clary valeva questo e altro. Gli ci era voluto del tempo per capire che le perdite dolorose subite durante l’infanzia – la morte della madre, il padre disperso in Francia per gran parte della guerra, con ogni probabilità morto – non si cancellavano con un tratto di penna. Certo, in quei dieci anni si erano sposati e avevano avuto due figli: ne era passato di tempo dai primi mesi insieme, relativamente spensierati, gli anni in cui avevano viaggiato e vissuto in un monolocale con un letto e decine di tele, quando i soldi erano pochi ma non aveva poi tanta importanza; poi c’era stata la fase in cui Archie si era messo a cercare commissioni e a dipingere paesaggi che di tanto in tanto venivano inclusi in mostre collettive alla Redfern e una volta anche in una mostra estiva dell’Accademia, gli anni in cui lei scriveva il secondo romanzo, quello che aveva ricevuto l’elogio di John Davenport... che bell’inizio era stato! Ma con l’arrivo di Harriet e poco dopo di Bertie – «Ma cosa sono, un coniglio?», s’era lamentata Clary china sul lavello – avevano dovuto trovarsi una casa più grande, e in seguito con due bambini piccoli Clary non aveva avuto più né il tempo né le energie per continuare a scrivere. E Archie aveva cominciato a insegnare qualche ora alla settimana.

Le vacanze estive le avevano passate perlopiù a Home Place e il Natale da Polly, ma Clary non era brava a gestire le risorse e spesso si ritrovavano al verde e indietro con le bollette. Quando i bambini avevano cominciato le elementari, Clary aveva trovato lavoro come correttrice di bozze, un’attività che poteva svolgere in casa per gran parte del tempo, e Mrs Tonbridge aveva avuto la bontà di insegnarle a preparare il pasticcio con un solo barattolo di manzo in scatola, i cavolfiori al formaggio e un rotolo con una piccolissima quantità di bacon. Si era anche comprata un libro di cucina francese scritto da Elizabeth David, e l’arrivo dell’aglio (sconosciuto in Inghilterra prima della guerra) aveva di certo sollevato l’umore a tavola. L’aglio e le tanto agognate banane, che per Bertie e Harriet erano una delizia paragonabile al gelato, furono una ventata di novità, ma il vero problema per loro erano i costi. Una spalla d’agnello costava tredici scellini ed era appena sufficiente per due pasti, più qualche avanzo buono per preparare un ripieno. Con le bozze guadagnava circa tre sterline alla settimana, mentre il lavoro di Archie era sempre soggetto a imprevedibili oscillazioni: per settimane intere non vedeva un quattrino e poi gli entravano grosse somme tutte in una volta. Quando questo accadeva chiamavano una babysitter e si concedevano una sera al cinema e poi al Blue Windmill, un ristorante cipriota molto economico dove servivano costolette d’agnello, dolmades e un buonissimo caffè. Poi prendevano il cinquantanove per tornare a casa, e Clary gli posava la testa sulla spalla. Spesso si addormentava, lui lo capiva perché la sua testa diventava sensibilmente più pesante. Nel tratto piuttosto lungo che dovevano fare a piedi gli capitava spesso di pensare che sarebbe stato meglio prendere un taxi. Entrati in casa, trovavano Mrs Sturgis che dormiva coi ferri da calza ancora imbracciati, Archie le dava il suo compenso mentre Clary andava a dare un’occhiata ai bambini, che condividevano un’unica cameretta. Bertie dormiva in mezzo a una doppia schiera di animaletti di lana allineati ai due lati del letto, con in bocca la zampa del suo preferito, una scimmietta. Harriet invece era distesa a pancia in su. Si era sciolta i codini e i capelli le stavano ritti sopra la testa, una cosa che faceva spesso «per stare fresca». Quando Clary le diede un bacio, un tenue sorriso le attraversò il volto prima di lasciare il posto alla tranquilla serietà del sonno. I suoi splendidi, cari bambini... Ma erano rare occasioni, che spesso terminavano nella nervosa frenesia del bagno e della cena.

Certe volte alla cena ci pensava Archie, mentre lei correggeva le sue bozze. Ogni tanto venivano a cena suo padre Rupert e Zoë, e portavano sempre leccornie come salmone affumicato e cioccolatini ripieni alla menta. Rupert e Archie erano amici fin dai tempi dell’accademia d’arte, molto prima della guerra, e l’iniziale, intensa ostilità di Clary verso la sua affascinante matrigna si era trasformata col tempo in amicizia. I loro figli maschi, Georgie e Bertie, avevano entrambi sette anni e, nonostante avessero interessi diversi – Georgie aveva uno zoo e Bertie un museo –, si divertivano molto insieme durante le vacanze a Home Place. Che benedizione era stata quella casa, con la Duchessa e Rachel che li accoglievano sempre a braccia aperte! Ecco perché fu un duro colpo quando, dopo che Archie era uscito per fare il ritratto al suo illustrissimo cliente della city, mentre era intenta a scegliere i vestiti da portare in Francia per i bambini, le telefonò Zoë e le annunciò che la Duchessa era morta. In famiglia sapevano tutti che non stava bene, ma al telefono zia Rachel aveva sempre dato messaggi positivi. «Si sta riprendendo», «Credo sia sulla via della guarigione», cose del genere. Non voleva farci preoccupare, disse Zoë.

Sì, pensò Clary. Era proprio lo stile di zia Rachel. È strano, ma quando uno cerca di non far preoccupare gli altri, ottiene puntualmente l’effetto opposto. Povera zia! Si sentiva più triste per lei che per la Duchessa, che aveva avuto una vita lunga e serena ed era morta in casa sua, con la figlia a vegliarla. Però sono triste anche per lei. O forse sono triste solo per me stessa, perché lei c’è sempre stata e ora non ci sarà più, e mi mancherà. Clary si sedette al tavolo della cucina e pianse un po’. Poi telefonò a Polly.

«Lo so. Zio Rupert ha parlato con Gerald».

«Sai già quando ci sarà il funerale?».

«Credo che organizzeranno tutto questo fine settimana».

Polly non sembrava particolarmente sconvolta.

«So che sembra orribile da dire, ma noi dovevamo andare in Francia, e naturalmente non ci andremo se questo vorrà dire non venire al funerale. Mi chiedevo solo se...». Il discorso le morì in gola.

«Be’, potrete sempre andarci più in là, no? Scusa, Clary, ma devo andare. Andrew è scappato. È uno di quei giorni in cui non vuole vestirsi. Gerald ha portato a scuola le bambine e poi Nan dal dentista, deve farsi estrarre un dente. Ci vediamo presto», e chiuse la comunicazione.

Clary restò seduta a fissare il telefono. Avrebbe voluto dirlo ad Archie, ma lui odiava essere interrotto quando aveva un modello. Il senso di colpa la opprimeva. Era morta una persona che amava e lei non riusciva a preoccuparsi di altro che delle conseguenze finanziarie e di cosa ne sarebbe stato delle loro vacanze. Archie avrebbe dovuto pagare comunque la roulotte e pure il passaggio in traghetto. E di certo non sarebbe stato in grado di spendere la stessa cifra per un’altra data. Inoltre, quella era la fine delle vacanze a Home Place: era escluso che zia Rachel restasse a vivere lì da sola... pensare ai soldi in un momento come quello le sembrava sciocco e meschino al tempo stesso. In passato non pensava mai al denaro, invece adesso si poteva dire che non avesse altro per la testa. Gli occhi le si riempirono di lacrime e pianse ancora, stavolta per la pessima persona che era diventata.

Rimessasi all’opera sul vestiario dei bambini, scoprì che le calze di Bertie avevano un buco nel punto in cui l’alluce usciva dal sandalo, e questo voleva dire che con ogni probabilità gli sarebbero servite delle scarpe nuove, di quelle più costose. Il problema era sempre lo stesso. Le scarpe costavano soldi. Tutto costava soldi. Si soffiò il naso e decise di preparare delle crocchette di pesce da dare ai bambini per merenda. La ricetta richiedeva del salmone in scatola, ma lei aveva solo delle sardine. Se ci avesse messo un bel po’ di patate schiacciate e una spruzzata di ketchup, oltre all’uovo per tenere insieme il tutto, sarebbe riuscita a fare delle crocchette belle grandi e con una forma buffa; poi, dopo l’una, quando il pingue modello fosse uscito a pranzo, avrebbe chiamato Archie. Il solo pensiero di parlare con lui la mise improvvisamente di buonumore.