Hugh e Jemima
«Ci ho pensato».
Avevano finito di cenare in beata solitudine poiché i ragazzi erano ancora in collegio e Laura già a letto. Jemima aveva preparato il pasticcio di pollo, un piatto che Hugh apprezzava molto, e adesso stavano finendo una bottiglia di rosso accompagnata da formaggio e sedano. Fuori era scuro e pioveva, ma in cucina c’era un’atmosfera calda e confortevole, grazie alla cucina economica e alle belle tende di velluto giallo fatte da Jemima.
Lei sapeva cosa stava per dirle Hugh, perché Polly le aveva parlato, ma voleva sentirlo direttamente da lui.
«Dimmi», lo esortò.
«Polly mi ha parlato di Edward e Diana, e ho pensato che sarebbe una buona idea invitarli a cena».
Jemima finse di rifletterci qualche istante. «La trovo una splendida idea».
«Bene. Credi sia meglio invitarli fuori o qui in casa?».
«Oh, molto meglio qui».
«Mi piace che tu abbia le idee chiare, tesoro. Infine, credi che dovremmo invitare qualcun altro?».
«Oh, no! Quello che vogliamo è la possibilità di conoscere bene Diana». Jemima non aggiunse: e che tu e Edward facciate pace, ma il punto era quello. Accettare Diana era solo il primo passo. Ultimamente Hugh era così stanco e scontento che aveva cominciato a preoccuparsi per lui.
«Invitalo, caro. Un sabato qualsiasi andrà benone».
* * *
«Hugh e Jemima ci hanno invitati a cena, tesoro». Aveva aspettato il secondo Martini per annunciarglielo – era molto nervoso. Ripensava con orrore alla serata con Rachel e Sid: quanto si era vergognato per la condotta di Diana e soprattutto per non aver avuto il coraggio di rinfacciargliela! Per lui era stato uno shock conoscerla in quella luce nuova e sgradevole, ma si era limitato – da buon codardo – a darle qualche rispostaccia e a rifiutarsi di fare l’amore. Aveva funzionato, per un po’. La sera dopo Diana aveva trovato mille scuse: che si era tanto adoperata per quella cena e loro l’avevano snobbata, che Sid l’aveva maltrattata nella sua stessa casa, che Rachel aveva parlato per tutta la sera soltanto con lui facendola sentire esclusa, come fosse una persona di servizio.
Edward non sopportava di vedere quegli occhi azzurri – più giacinti che campanule – riempirsi di lacrime; era stufo di litigare e lei in fin dei conti aveva chiesto scusa. Volle ritenersi soddisfatto. Mise fine alla discussione dicendo: «Ti chiedo solo di essere gentile con Hugh e Jem».
«Gentilissima!», promise lei tamponandosi gli occhi col fazzoletto di seta.
Fu così che il sabato successivo andò a prenderla al Lansdowne Club, dove Diana si appoggiava quando andava a Londra a fare acquisti. Si era messa l’abito blu notte scollato che avevano scelto insieme e la collana di ametiste che le aveva regalato lui tanti anni prima, quando ancora non erano sposati.
* * *
Anche Jemima era nervosa. Si consultò con Hugh riguardo al menu e optarono per un antipasto a base di gamberi in barattolo così da dover preparare solo il pane tostato, del poulet à la crème – una ricetta di Elizabeth David che le era sempre riuscita piuttosto bene – e per concludere una tarte tatin.
«Davvero, mamma, è un’ingiustizia che io debba mangiare solo bastoncini di pesce mentre tu prepari un banchetto», si lamentò Laura mentre consumava in anticipo la sua cena. Era dall’inizio del pomeriggio che assisteva ai preparativi: la tavola apparecchiata in sala da pranzo, che si usava solo quando c’erano ospiti, e poi le candele, le fresie gialle e bianche disposte con cura, i bicchieri buoni di papà sistemati alla destra dei piatti e le posate schierate con precisione militaresca, il tutto riflesso dalla finitura lucida del tavolo in noce, il legno preferito di papà. Laura voleva aiutarla e Jemima le aveva spiegato cosa fare, ma aveva dovuto ricominciare da capo due volte... «Con tutto il lavoro che ho fatto», protestò Laura col tono di una martire, «speravo in un trattamento diverso!». Il braccio le era guarito, ma gironzolava ancora col gesso alla gamba ed era diventata di un’agilità sorprendente con la stampella.
«Tesoro, ti prometto che avrai il pollo domani a pranzo».
«E i gamberi? E la torta rovesciata?».
«Solo se ti sbrighi a mangiare. Perché devo andare a vestirmi».
Grazie al cielo arrivò Hugh. «Vatti a fare un bel bagno. Penso io a questo mostriciattolo».
Laura impazziva per quei nomignoli. «Quanto sono orribile?».
«Tantissimo. Soprattutto quando mangi con la bocca aperta».
«Mi hanno detto di mangiare e ogni tanto qualcosa dovrò pure dirla. Sono due cose che bisogna fare insieme per forza».
«Bene. Allora mangia e io ti spiego quanto sei orribile».
Sorrise contenta e divorò con entusiasmo i suoi bastoncini di pesce.
* * *
Stava ancora preparando i Martini quando arrivarono gli ospiti. Presero l’aperitivo in salotto, che era lo stesso dai tempi in cui c’era Sybil: carta da parati Morris, teli di chintz sui divani e tendine in tinta coi caprifogli stampati sulla tappezzeria.
Jemima sentì Hugh salutarli all’ingresso, mentre cercava di scaldarsi al fuoco che aveva acceso troppo tardi. Si sentiva nervosa senza apparente motivo, e quando Edward e Diana entrarono nella stanza insieme a Hugh si accorse di non essere l’unica: sembravano tre pazienti appena arrivati nello studio del dentista. Edward la salutò con un bacio e le disse: «Lei è Diana».
«Ciao, Diana, sono lieta che tu sia venuta». Diana sorrise e disse che l’invito le aveva fatto molto piacere.
Hugh si affrettò a versare del Martini molto forte, furono accese le sigarette e la conversazione si avviò, un po’ goffa, sul binario delle recenti notizie. Diana disse che era un peccato che la regina avesse abolito le presentazioni delle debuttanti a corte e domandò a Jemima se lei avesse «fatto questa esperienza».
«Oh no. Non avrei saputo da dove cominciare! In ogni caso i miei non avrebbero mai potuto permetterselo, anche se lo avessi voluto. Ma immagino che per le ragazze che l’hanno fatta sia stata un’esperienza molto interessante!», aggiunse, per non suonare offensiva nel caso in cui Diana fosse stata una di quelle ragazze. «Vado a preparare le tartine».
«Chi vuole un secondo bicchiere?», annunciò Hugh.
«Devo dirlo, vecchio mio, il tuo Martini è bello forte».
«Non mi sono mai piaciuti i drink leggeri. Al mio club c’è uno che, quando preparava il gin a sua madre, immergeva un dito nel gin, lo passava sul bordo del bicchiere e poi lo riempiva di soda».
«È un trucchetto davvero meschino! Sono certa che nessuno di voi due avrebbe mai fatto una cosa del genere alla Duchessa».
I fratelli si scambiarono per la prima volta un’occhiata affettuosa.
«No, infatti. A lei il gin piaceva col Dubonnet».
«Un bicchiere solo, però. Era molto morigerata nel bere e nel mangiare, almeno per quanto riguardava lei». Poi Hugh si rivolse a Diana. «E che ne pensi di questo piano di riforma della Camera dei Lord? Ammettere le donne e abolire le cariche ereditarie?».
«Be’, ecco». Si prese qualche secondo per pensare. «Sono favorevole a un maggiore peso politico delle donne. Ma sull’altra questione non ne so abbastanza. Certo, non è detto che tutti i Lord ereditari siano incapaci nel loro lavoro. Tu che ne pensi, caro?».
«Sono un conservatore, mia cara. Non mi piace nessun genere di cambiamento».
«È proprio vero, Ed. Pensa all’azienda!».
A quel punto, dal piano di sotto Jemima annunciò che la cena era pronta, e fu un gran sollievo per tutti.
«Stasera non si parla di lavoro», borbottò Edward rivolto al fratello mentre scendevano le scale.
* * *
«So che avete trovato una splendida casa a Hawkhurst», disse Hugh dopo aver fatto accomodare Diana e aver versato il vino.
«Sì. È davvero la casa dei sogni. Piace tanto anche te, vero, caro?».
«Oh sì. Certo che mi piace. Anche se è un po’ lontano dall’ufficio, ma non si può avere tutto, no? Diana è bravissima in giardino».
«Non direi proprio. È solo che lo adoro». Si voltò verso Jemima. «E tu fai giardinaggio?».
«Non proprio. Mi limito a tenere in ordine il nostro giardinetto, ma non ho tempo per fare di più. Certo», aggiunse subito, «immagino che se mi piacesse davvero, il tempo lo troverei. È un po’ come quando uno dice di non avere tempo per leggere. La verità è che non ne ha voglia».
«Laura prende moltissimo tempo, anche se ormai va a scuola», disse Hugh. «E durante le vacanze ci sono anche i gemelli».
«Oh, ti capisco benissimo. La povera Mrs Atkinson si stanca moltissimo a preparare quei pasti giganteschi per i ragazzi. E poi ci sono Susan e Jamie. Per fortuna i più grandi non sono quasi mai da noi. Preferiscono starsene in Scozia coi loro nonni». Poi ci fu un breve silenzio. Jemima ritirò i piatti dei gamberi e cominciò a servire il pollo.
«Qui da noi è Jemima che cucina», disse Hugh. Stava compiendo ogni possibile sforzo per non giudicare male Diana, ma era sconvolto da quanto aveva detto riguardo ai suoi figli maggiori. «Ed, versi tu il vino? Io vado a dare una mano a Jem».
Edward circumnavigò il tavolo riempiendo i bicchieri; quando fu il turno di Diana, le diede un bacio sulla nuca. La vista del suo décolleté gli diede un brivido di desiderio e di ansia allo stesso tempo. Il suo abbigliamento era più adatto a una seratina a due che a un’occasione come quella.
«Come sto andando?».
«Bene. Stai andando bene. Non è così difficile, no? Jem è un vero tesoro».
Intanto, in cucina, Jemima scodellava il pollo e Hugh la verdura di contorno: si scambiarono un’occhiata, ansiosa quella di lei, rassicurante quella di lui. Niente di ciò che pensavano si poteva dire ad alta voce. Si spostarono in sala da pranzo, reggendo ognuno due piatti.
Il pollo piacque molto; Diana rivolse a Jemima lodi sperticate. Si era resa conto che a Hugh faceva piacere che si facessero dei complimenti alla moglie. Bevvero molto tutti e quattro e poco alla volta l’atmosfera si alleggerì. Hugh si complimentò con Diana per la sua collana e le donne parlarono delle scuole frequentate dai gemelli di Jemima e dai figli più piccoli di Diana, Jamie e Susan. A quel punto Hugh interloquì per dire che non avrebbero mandato Laura in collegio, perché lui non approvava il collegio per le bambine. «Anzi, fosse per me non ci andrebbe nessuno», concluse.
«I ragazzi se la cavano bene nella loro scuola», disse Jemima. «Ma per quanto riguarda le bambine la penso anch’io come te. Non sopporterei di veder partire Laura».
«Susan invece non vedeva l’ora», disse Diana. «E Jamie è innamorato di Eton».
«Il primo anno aveva una gran nostalgia di casa». Edward, che aveva mal sopportato tutti i suoi anni di scuola, si era sentito segretamente vicino al povero ragazzo che piagnucolava al telefono la domenica sera e aveva lasciato volentieri a Diana il compito di occuparsene.
«Ma caro, quella è una fase che passano un po’ tutti. Non dura molto. Dopo si abituano».
«Per me non è stato così. Per te nemmeno, vero, Hugh?».
«No. È proprio a questo che mi riferisco. Nessuno di quelli che conosco ha un buon ricordo degli anni in collegio. E allora mi domando: perché tutti, me compreso dato che c’è andato anche Simon, sottoponiamo i nostri figli alla stessa ordalia?». Si voltò verso Jemima, che aveva cominciato a raccogliere i piatti. «I gemelli stanno bene. Loro si danno man forte l’uno con l’altro. Edward e io invece non frequentavamo nemmeno la stessa scuola. E poi figurati se ci lasciavano telefonare a casa! Eravamo alla mercé delle direttrici. Tu ne avevi una terribile, vero, Edward?».
«Puzzava di caramelle alla frutta e aveva dei denti finti tutti appuntiti. Una volta le ho dato un morso ed è diventata ancora più cattiva con me».
«Non sono affatto sorpreso». Hugh si accorse che Diana era sconvolta da quei racconti. «Una volta avevo un foruncolo sul collo e lei me lo strizzò fino a farmi strillare dal dolore», spiegò Edward.
«La mia meravigliosa cuoca ci ha preparato un’ottima tarte tatin».
Jemima aveva portato il dessert e lo aveva posato al centro del tavolo. «Purtroppo l’ho bruciata. Perciò al suo posto avremo una torta al limone. L’ho già tagliata, così possiamo servirci da soli».
Così fecero, Hugh aprì una bottiglietta di Beaumes de Venice. «Purtroppo è l’ultima. Ma c’è anche del Calvados».
«Ho sentito dire che avete avuto qualche problema col tetto, a Home Place», disse Edward.
«Chi te l’ha detto?».
«Rupert, mi pare».
«Il guaio è che Rachel ha ingaggiato la Brownlow, perché il Generale si è sempre rivolto a loro, ma credo che il vecchio Brownlow non abbia più l’età per saltellare sui tetti. Ho dovuto trovare un’altra ditta e chiedere un altro preventivo. Lo sai quanto ci vuole. E ci vorranno anche un bel po’ di soldi, temo».
«E chi paga?».
«Be’, una parte la paghiamo Rachel e io. E anche Rupe, spero. Il resto lo paga la società. Dopotutto la casa è proprietà della Cazalet».
«Una proprietà non certo redditizia».
«Ed, non capisco cos’hai da lamentarti. Sei stato tu a chiamartene fuori!».
«Non se l’azienda deve sborsare cifre importanti. Sono ancora un socio e sai cosa penso di tutte queste cosiddette proprietà. Ci fanno solo perdere dei soldi».
«Non per quanto riguarda i legni duri. E Southampton ci ripagherà col tempo, vedrai. Abbiamo solo sbagliato a dare a Teddy una responsabilità così grande troppo presto».
«Edward, caro, credo che dovremmo avviarci. Dobbiamo fare un bel po’ di strada».
Le due donne avevano smesso di tentare di fare conversazione e l’atmosfera era di nuovo carica di tensione. Si alzarono tutti dalle sedie e Hugh li accompagnò al piano di sopra, dove Diana prese la sua pelliccia. Si profuse in ringraziamenti per la «cenetta indimenticabile» e disse a Hugh che non vedeva l’ora di averli ospiti a Hawkhurst. Edward si scusò per aver portato il discorso su questioni di lavoro, e Hugh disse che non aveva importanza, ma non era vero.
«Dio santo!». Jemima aveva chiuso la porta dopo l’ultimo cenno di saluto.
Hugh la cinse col braccio. «Sei stata bravissima. Come ti è sembrata Diana?».
«Oh be’, alla fine devo dire che mi fa un po’ pena».
«E Ed?».
«Mi fa pena pure lui».
Arrivarono in cima alla scala. «Andiamocene a letto. Rassetteremo domani»
«Spengo solo le candele e metto via gli avanzi».
Più tardi, mentre erano a letto, Hugh le domandò: «Come mai ti fanno pena?».
«Be’, ecco, mi sembra una relazione piuttosto spenta. Irreale. È come se si sopportassero a vicenda. Credo siano delusi l’uno dall’altra. Lei ha delle mani bruttissime», aggiunse Jemima.
«Non ci ho fatto caso».
«Sarai stato troppo occupato a guardarle quei seni enormi. Quelli glieli invidio».
«Io temevo che le cadessero fuori dal vestito. Come a quella donna a cena al Berkeley: il cameriere glieli rimise a posto e il capocameriere lo sgridò, “qui usiamo un cucchiaio leggermente riscaldato”».
«Ma è successo davvero?».
«Non ne ho la più pallida idea. È solo una storiella che mi è tornata in mente. Comunque a me piace molto di più il tuo seno».
«Davvero?».
Più tardi Hugh disse: «È stato bello avere Ed in casa ma non capisco perché si scaldi tanto per Home Place».
«Forse temeva che a Diana non sarebbe piaciuto ritrovarsi lì con l’intera famiglia».
«O forse temeva che tutti la disapprovassero».
«Mi ha detto che questa di Hawkhurst è la sua prima vera casa».
«Che sciocchezza. Avevano quella casa gigantesca a West Hampstead. E poi è già stata sposata. Avrà pur vissuto da qualche parte, no?».
«Va bene. Non ti è simpatica, ma è la moglie di tuo fratello e tu vuoi bene a tuo fratello».
«E dunque?».
«E dunque vuoi che lui sia felice. Devi parlargli, caro. Ciò che pensi di Diana non ha nessuna importanza rispetto a ciò che provi per lui».
«Hai ragione», rispose lui rendendosene conto in quel momento.
Jemima lo riempì di piccoli baci, poi sbadigliò.
«Sono proprio così noioso?». Le tolse i capelli dal viso e le diede un lungo bacio. «Povera piccola Jem. Non c’è niente di così faticoso come fare da paciere. Dormi, adesso».
Si addormentò nel giro di pochi secondi, ma Hugh restò sveglio a lungo pensando a come colmare la profonda frattura che si era aperta fra lui e suo fratello.
* * *
«Non è andata tanto male, no?». Diana si era tirata il cappotto sopra le ginocchia; faceva molto freddo e stava cominciando a piovere.
«Secondo me è andata bene. Tu che ne dici?».
«Anche secondo me. Io comunque ho fatto del mio meglio».
«Sei stata splendida, mia cara. Fra poco la macchina si scalda. Mi accenderesti una sigaretta? Sono nel vano portaoggetti».
«Mi sono sentita vestita in modo inappropriato vicino a Jemima», osservò Diana dopo avergli acceso la sigaretta.
«Sei bellissima, cara. Jemima non ama vestirsi elegante. A me sembrava molto graziosa, comunque».
«Non credo di essere simpatica a Hugh».
«Ma certo che gli sei simpatica! È solo che gli ci vuole tempo prima di prendere confidenza». Tre mezze verità in pochi minuti di conversazione. «Perché ora non dormi un po’?».
«Credo che lo farò. Mi gira la testa con tutto quel vino».
Diana si appisolò e lui continuò a guidare pensando a come fare breccia nell’ostinazione di suo fratello, a come aprirgli gli occhi sulla situazione gravissima in cui si trovavano... forse poteva convincerlo a parlare con quel tizio, quel banchiere che gli aveva presentato Louise.
Be’, valeva la pena tentare...