Juliet e Neville

«Non me ne importa niente. Non capisco perché ti disturbi a dirmi queste cose».

Non diceva quello che pensava e non pensava ciò che diceva. Cosa che, secondo lui, rendeva la conversazione snervante.

Neville aveva addosso i postumi di una piccola sbornia. Era vero che nelle ultime settimane – mesi, a ripensarci – non si era occupato molto di lei, ma non si aspettava quella reazione così fredda e teatrale. Si era offesa. Così tornò alla carica: «Juliet, tesoro, devi capire che io non ho tutto il tempo a mia disposizione. Lavoro in un campo molto competitivo...».

«E hai una storia con un’altra».

«Cosa te lo fa credere?».

«Ne ho sentito parlare. La tua nuova ragazza. La porti con te dappertutto, e dopo dorme a casa tua».

Camminavano lenti per i sentieri innevati di Richmond Park e tacquero entrambi per alcuni secondi. «Forse ti interesserà... o ti farà piacere sapere che io non sono affatto innamorato di Serena».

Questo almeno era vero: del resto non era obbligatorio precisare che invece Serena era innamorata di lui e che di tanto in tanto finivano pure a letto insieme, visto che lei era così insistente. «Lavoro spesso con lei in questa stagione perché la nuova rivista l’ha voluta come modella di punta. Ecco perché passiamo tanto tempo insieme». La prese per le spalle e la fece voltare verso di lui. «Sai benissimo che è te che amo. Non è colpa mia se hai solo diciassette anni». Sotto quell’assurdo strato di trucco, gli occhi le si stavano riempiendo di lacrime e il labbro inferiore le tremava. «Anche se sembri un incrocio fra un panda e un pagliaccio, io ti adoro lo stesso». Le ricoprì il viso di piccoli baci e poi gliene diede uno sulla bocca. Fu come innaffiare un giardino dopo la siccità: il volto le s’illuminò di gioia. Gli gettò le braccia al collo. Era di nuovo tutto a posto.

* * *

«Si chiama lepre belga, ma in realtà è un coniglio».

Laura lo fissava incantata. «Posso fargli una carezza?».

«Non so ancora se gli piace. È nuovo di zecca, sai. Me lo ha regalato mamma per Natale. Io volevo un pappagallo, ma costano troppo. E papà mi ha regalato un pitone. Adesso te lo faccio vedere».

«Non so mica se mi piacciono i serpenti».

Georgie le rivolse un’occhiata severa.

«Questo mi piacerà di sicuro, però», si affrettò a correggersi Laura.

Georgie aprì la gabbietta del coniglio. La bestiola non si mosse; teneva le orecchie sulla testa e se ne stava accoccolato, come pronto a spiccare un salto. Solo il naso vibrava. Georgie carezzò il morbido manto color castagna.

«Possiamo dargli qualcosa da mangiare?».

Georgie infilò la mano in una delle sue profonde tasche.

«Ahi! Mi ero scordato che Rivers era qui dentro. È arrabbiato perché oggi ho avuto molto da fare col pitone. E anche con Morris».

«Chi è Morris?».

«Il coniglio. Si chiama Morris. Mi è venuto in mente adesso». Georgie estrasse dalla tasca il topo che stringeva una carota tra le mascelle. Laura restò impressionata dalla calma fermezza con cui il cugino gliela tolse e la diede a lei.

«Puoi darla tu al coniglio, se vuoi».

Ma quando avvicinò la carota al nasino di Morris, lui restò immobile, indifferente al cibo come a tutto il resto. Quello che Georgie chiamava “lo Zoo” era una delle tante gelide intercapedini che stavano addosso alla casa come sanguisughe. Erano perlopiù inutilizzate, cosicché Georgie si era appropriato della più grande e vi aveva sistemato gli animali insieme alla loro attrezzatura. Le tartarughe svernavano in una vecchia cassetta di vini. Rivers aveva una gabbietta e passava lì dentro le ore in cui Georgie era a scuola. Il giorno prima erano stati realizzati in fretta e furia altri due rifugi, per i nuovi inquilini il cui arrivo era stato appena comunicato.

In quel momento fecero irruzione nella stanza i gemelli, ad annunciare a gran voce che era l’ora della merenda.

Subito Rivers corse a rifugiarsi dietro il collo del suo padroncino, e lì cominciò a mordicchiargli piano l’orecchio.

«È il suo modo di scusarsi», spiegò Georgie.

* * *

«Che bella giornata!», disse Miss Milliment una volta che era stata sistemata nella macchina di Villy. «C’è solo una cosa che mi disorienta, che proprio non capisco...». Era seduta sul davanti, accanto a Villy, e sul sedile posteriore sedeva silenzioso Roland.

«Di che si tratta?».

«Ecco, proprio non capisco come mai non ci fossero né Jessica né Viola. Non è strano che non siano venute?».

«Forse ho dimenticato di dirglielo, ma Jessica è alle Bahamas, a trascorrere una bella vacanza al caldo».

«Oh, ma che bello! E Viola è con lei?».

Un silenzio, poi Villy replicò: «Credo che la stia aspettando a casa».

Poi per cambiare discorso disse: «Ho sentito che ha battuto tutti e due i gemelli a Scarabeo!».

«Oh be’! Quando si è vecchi si conoscono più parole dei giovani. Ma loro sono molto bravi, devo dire. Bisogna che facciamo una partita anche io e te, Roland».

E Roland, bontà sua, disse: «Nessuno può batterla, Miss Milliment». Villy le lanciò un’occhiata e la vide sorridere tra le pieghe bianchicce del mento. Il complimento le aveva fatto piacere.

* * *

Erano andati via tutti a parte Laura, che aveva supplicato i genitori di poter restare la notte per aiutare Georgie con il suo zoo. I pianti e gli strepiti e le suppliche erano stati tali che alla fine, col benestare di Zoë, aveva ottenuto il permesso. «Ma», le aveva detto Hugh, «devi fare tutto quello che zia Zoë e zio Rupert ti dicono di fare. Se non obbedisci, loro me lo diranno e non avrai mai più il permesso di restare a dormire fuori casa. Intesi?».

Sì, intesi.

«Niente cose orribili, niente cose da mostriciattolo».

«Inoltre ti laverai i denti e zia Zoë ti farà la treccia. E resterai a letto finché non ti sarà detto di alzarti. La zia ti darà uno spazzolino da denti».

«Prometto. Sì, lo prometto...».

La soddisfazione di aver ottenuto quello che voleva era tale che avrebbe promesso qualunque cosa. «E io mantengo le promesse, lo sanno tutti!», aggiunse.

L’altro ospite inatteso era stato Neville, ma si era comportato con tale grazia e disponibilità che a Zoë non era dispiaciuto per nulla averlo in casa. La sua presenza pareva aver trasformato Juliet da ragazzina imbronciata e pigra a giovane donna piena di vita. L’aveva convinta a togliersi quel trucco ridicolo dalla faccia e le aveva fatto mettere l’abito di seta verde che le aveva regalato Zoë e che lei all’inizio non aveva voluto nemmeno provare. «Sembra proprio me ai tempi in cui ho conosciuto Rupe! Anch’io ero una vipera con mia madre, già allora».

Quando lei e Rupert furono finalmente sotto le coperte, Zoë osservò: «Credo abbia una cotta per Neville».

«Oh’, be’, non ne verrà alcun male. Con Neville possiamo stare tranquilli. Ti ricordi quella scenetta di Joyce Grenfell in cui la madre faceva di tutto per convincere la figlia che sposare un prestigiatore italiano di mezza età con due matrimoni alle spalle poteva non essere un’idea brillante?».

Se ne ricordava.

«Almeno noi questo non dovremo farlo. Oggi è stata bravissima».

«Il merito è solo di Neville. È bastato che dicesse: “Adesso io e Juliet sparecchiamo la tavola” e lei s’è alzata all’istante!».

«Be’, i fratelli maggiori devono dare il buon esempio».

«Fratellastri, in questo caso».

«Tesoro, che differenza vuoi che faccia?». L’attirò a sé. «Oggi hai fatto un lavoro magnifico. Perfino Villy si è divertita. E Georgie stravede per il suo pitoncino. Non devi preoccuparti per Jules. Bella com’è, non le mancheranno i corteggiatori quando sarà il momento. E allora, proprio come hai fatto tu, sposerà un uomo eccezionale». Le diede come sempre tre baci della buonanotte, uno sulla fronte, uno sulle labbra e uno sul collo. E si mise a dormire stringendole la mano.

Ma prima di cedere al sonno, Zoë ebbe il tempo di pensare che non avevano detto una parola sul loro immediato futuro, ovvero sulla possibilità di trasferirsi a Southampton.