Rupert e famiglia

«Insomma, mamma, adesso che ho otto anni, non voglio più crescere. Non voglio diventare come voi. A me bastano Rivers e il mio zoo. Perciò non serve a niente che io vada a scuola».

Era seduto al tavolo della cucina e Zoë, che stava stirando, alzò gli occhi per guardarlo. «Georgie, te l’ho detto tante volte: non puoi scegliere quanti anni avere. Ogni volta che compi gli anni diventi un po’ più grande. E i compleanni, quelli ti piacciono, no?».

«Certo», concesse Georgie. «Ma potresti farmi una torta di non compleanno e darmi gli stessi regali, no?».

«A un certo punto però ti serviranno soldi per comprarti da mangiare e le altre cose di cui hai bisogno. Dovrai lavorare per guadagnarteli».

«E invece no! La gente pagherà per vedere il mio zoo».

«E lo zoo dove lo metterai?».

«Nel giardino c’è un sacco di spazio, se smetti di piantare tutti quei fiori».

Zoë sputò sul ferro e poi disse: «Ma non vivrai più qui, quando sarai grande. Avrai una casa tua, una famiglia».

Questo lo mise in allarme. «Ma mamma! Io non voglio andare da nessuna parte senza di te. E Rivers, s’intende. Papà può restare con Juliet. Di lei posso anche fare a meno».

«E papà, poverino?».

«Se mi dai il permesso di usare tutto il giardino per lo zoo, può restare anche lui». Stava spezzettando con un grosso coltello le foglie esterne di un cespo di lattuga per le sue tartarughe e si tagliò.

«Oh, mamma, guarda!». E sollevò una mano lurida su cui ora maturava in fretta una piccola fila di perline di sangue.

«Te l’avevo detto di non usare quel coltello. Va’ a lavarti le mani. Tutt’e due!».

«Ma lavarle non servirà a fermare il sangue, mamma. Ci vuole un cerotto». Però saltò lo stesso giù dalla sedia e corse verso l’acquaio.

«Usa il sapone, Georgie».

«Adesso me la bendi?».

Georgie nutriva una passione per i cerotti e ne aveva sempre qualcuno appiccicato a una gamba o a un braccio. A volte gli restavano addosso per settimane, finché Zoë non glieli toglieva di soppiatto mentre faceva il bagno o era molto occupato con Rivers.

Era sabato mattina e Rupert era dovuto andare a casa di Hugh, su invito dei due fratelli. Non c’era traccia di Juliet, che di certo era al telefono da ore con la sua amica Chrissie, oppure dormiva, sempre che non fosse intenta a provare e subito scartare mucchi di abiti dichiarandoli non più utilizzabili. Era diventata una vera peste, pensò Zoë: sempre assente, scontrosa, sarcastica, non s’interessava di nulla che non fosse andare per negozi il sabato pomeriggio.

E a dispetto dei comportamenti molesti diventava sempre più graziosa: non aveva nessuna delle classiche magagne adolescenziali, a parte la tendenza ad ascoltare ad altissimo volume i suoi dischi di musica pop. Rupert le aveva regalato un grammofono a buon mercato, perciò almeno il fracasso era confinato alla sua stanza. Io ero così alla sua età?, si domandava preoccupata Zoë. Il pensiero di sua madre la riempiva ancora di sensi di colpa. Non poteva dimenticare quella loro conversazione al telefono, quando il cancro già la stava uccidendo e lei, sua madre, le aveva detto che gli ultimi anni con la sua amica sull’Isola di Wight erano stati i più felici della sua vita. Zoë ne era rimasta sconvolta: gli anni più felici avrebbero dovuto essere quelli trascorsi con lei, ma anche quel meschino risentimento dava la misura del suo egoismo.

Dunque la condotta di Juliet era ciò che le spettava per come si era comportata con sua madre.

Dato che Rupert non c’era, decise di preparare qualche tramezzino per sé e per i ragazzi e salsicce in pastella per cena.

Squillò il telefono, ma non fece in tempo ad alzare la cornetta che sentì la voce di Juliet. «È papà. Vuole te!», strillò in tono annoiato: che suo padre telefonasse per parlare con sua madre era evidentemente una grossa fonte di fastidio per lei.

Rupert le confermò che non sarebbe tornato prima del tardo pomeriggio e poi dopo una pausa disse: «Potresti chiedere a Juliet di occuparsi di Georgie stasera? Voglio portarti a cena fuori». Aveva quel tono spensierato che usava sempre quando c’era in ballo qualcosa di molto serio.

«Credo avesse in mente di passare la serata con la sua amica Chrissie».

«Dille di invitare Chrissie da noi, o sennò glielo dico io, se vuoi».

«Non mi dispiacerebbe. Ma che succede?».

Lui disse solo: «Fa’ venire al telefono Jules, per favore».

La chiamò a gran voce e alla fine si risolse a salire le scale in modo da superare la barriera sonora che la separava da sua figlia. «Puoi rispondere dalla tua camera!», strillò.

Georgie nel frattempo era andato in giardino a portare il pranzo alla tartaruga. La casa, così piena di luce, appariva trasandata in maniera preoccupante: il tappeto delle scale era molto usurato, le piastrelle del pavimento in cucina sbeccate, la polvere s’accumulava persino sui vasi posati sui davanzali. La donna delle pulizie che veniva due mattine alla settimana si limitava a sbatacchiare in giro l’aspirapolvere e poi si sedeva per consumare uno spuntino di metà mattina che sembrava non aver mai fine. Si ritrovò a pensare con nostalgia al comodo appartamento che avevano a Londra, dove ogni cosa era funzionale e non richiedeva troppa manutenzione. Questa casa antica e romantica, con la sua caldaia vetusta e un numero imprecisato di spifferi, non aveva su di lei il fascino che esercitava invece su Rupert, per il quale i suoi svantaggi erano minuzie facili da ignorare. A lui interessavano la splendida vista sul fiume, le belle finestre del diciottesimo secolo, le porte ornate, il pavimento di assi di olmo e la scala maestosa. Del resto, Zoë sapeva che per lui era stato un sacrificio rinunciare alla pittura e andare a lavorare in azienda: quella casa era il suo premio di consolazione. A lei naturalmente non dispiaceva avere un po’ di soldi in più.

Era bello di tanto in tanto andare a cena fuori con Rupert, non dover cucinare e passare poi la serata a giocare a carte, con Juliet insofferente verso Georgie per la sua lentezza nel gioco. Quella domenica Clary e Archie sarebbero venuti a pranzo coi loro figli, e Zoë decise di preparare una torta meringata al limone per dessert. Mentre prendeva i vari ingredienti, cominciò a pensare a cosa indossare quella sera.

Juliet sopraggiunse in pigiama, si tagliò una fetta di pane e la spalmò di abbondante Marmite. «Papà ha detto che passa lui a prendere Chrissie tornando dall’ufficio. Arriva a casa alle sette e mezza, ha detto». La prospettiva doveva aver rischiarato il suo umore.

«Jules, è quasi ora di pranzo, non mangiare altro pane».

«Pranzo? Io non pranzo».

E Zoë ritenne più saggio non approfondire.

* * *

Zoë portò Georgie al negozio di animali in modo che potesse ammirare i pappagallini e le bisce, lo mise a tavola presto (Juliet e Chrissie avrebbero mangiato più tardi) e gli lesse un capitolo dal Libro della giungla; poi chiese consiglio a Juliet su cosa indossare (per ammorbidirla prima di implorarla di comportarsi bene con suo fratello... a lei piaceva essere consultata da sua madre e dire frasi come: «Questo non puoi mettertelo assolutamente, mamma! Ti sta malissimo!») e alla fine optò per il vecchio Hardy Amies che non la tradiva mai; mostrò a Juliet la cena che aveva riposto in frigo (aveva dovuto prepararne una a parte – «Le salsicce in pastella fanno schifo! Chrissie non può assolutamente mangiarle!»); dopodiché si spazzolò i capelli appena lavati e si mise gli orecchini di pietra dura che aveva ormai da una vita, il primo regalo che le aveva fatto Rupert, e dopo una breve attesa seguita da un piacevole viaggio in macchina per arrivare in città, eccoli seduti al primo piano del ristorante Wheeler in Old Compton Road, a sorseggiare vino bianco di fronte a due ampi piatti di ostriche.

«Com’è andata la riunione?», gli domandò. Togliamoci questo pensiero, così poi potremo parlare di cose serie, pensava dentro di sé.

Rupert bevve un gran sorso di vino e poi allungò la mano sul tavolo per toccare la sua. «Tesoro, preparati a un duro colpo».

Lo guardò negli occhi irrequieti ed ebbe un tuffo al cuore.

«Non ti vogliono più in azienda? Caro, si tratta di questo? Sai bene che io sono dalla tua parte qualunque cosa tu decida di fare».

«Non si tratta di questo. Ecco... a quanto pare Teddy non è in grado di dirigere Southampton...».

«Be’, è un ottimo posto. Ci sarà molta gente disposta a fare a gara per ottenerlo».

«Sì, ma purtroppo nessuno di loro si chiama Cazalet».

«Hugh vuole che ci vada tu, è questo che stai dicendo».

«Lo vogliono entrambi».

Zoë lo fissò per alcuni istanti, poi disse: «Ma tu non puoi! No, davvero, è impossibile. Tutti i giorni da Mortlake fino a laggiù... passeresti metà della vita a viaggiare, sarebbe uno strazio. Tu non lo volevi nemmeno, questo lavoro...».

«Sbrighiamoci con le ostriche, altrimenti si freddano le sogliole...».

Fu lui a riprendere l’argomento, qualche minuto dopo. «Andarci tutti i giorni da qui sarebbe in effetti improponibile. Significa che dovrò trasferirmi lì... dovremo traslocare, tutti quanti».

«Lasciare Bank House? Ma tu la adori! E poi, i bambini? Le scuole?».

«Ne troveremo di nuove. Non dobbiamo per forza andare a vivere in città. Si potrebbe trovare un bel paesino, fuori dalla city ma non troppo lontano. Bank House possiamo tenerla e andare in affitto. Non sarebbe per sempre, cara, forse solo un paio d’anni». Il viso di lei adesso aveva l’espressione che le aveva visto di frequente nei primi anni di matrimonio. Ma allora era molto più giovane e adesso non le si addiceva più.

«Cara, non è una mia scelta, lo sai».

«Lo so, certo. Non capisco perché i tuoi fratelli debbano comandarti a bacchetta. Non potrebbe andarci uno di loro?».

«Be’, ecco, non ne ho parlato in giro perché Hugh non vuole, ma ultimamente non sta molto bene... Edward dice che non ce la farebbe».

«Edward, allora».

«Gliel’ho chiesto. Ma è molto in pensiero per la gestione di Hugh. Dice che non può lasciarlo solo a Londra. Mi ha detto che si è incontrato a cena con un tale della banca, e costui dice che dobbiamo vendere e quotarci in borsa, una volta che il debito con la banca sarà diventato di dimensioni accettabili. Dice che la cosa richiederà un paio d’anni e che dobbiamo darci una mossa. Edward è d’accordo, ma smuovere Hugh non è semplice. Lui pensa ancora che gli unici metodi buoni siano quelli di nostro padre. Non accetta che i tempi sono altri, le cose stanno cambiando... ma a te questa roba non interessa».

«Non m’interessa, no. Io vedo solo due vecchi egoisti che vogliono fare a modo loro, e tu devi farne le spese. Dovresti farti sentire di più, Rupe! Sei sempre così accomodante».

Il cameriere venne a ritirare i piatti delle ostriche e si fermò vedendo che Zoë ne aveva mangiate solo quattro.

«Non mi vanno», gli disse lei.

Rimasero in silenzio mentre venivano servite le sogliole e riempiti i bicchieri.

«Non dirmi che gli hai già detto di sì».

«Gli ho detto che ci avrei pensato. E ne avrei parlato con te».

«Be’, ne abbiamo parlato. E visto che tu di solito sei sempre d’accordo con l’ultima opinione che hai sentito, la questione dovrebbe essere risolta, no?».

Quest’ultima frase lo colpì su un punto vivo: era una cattiveria, anche se Rupert in fondo sapeva che era la verità, ma non sopportava di sentirlo sottolineare in quel modo da sua moglie, la sua Zoë. «Lo so», disse sforzandosi di sorridere. «Lo so che mi considerate uno che non prende mai posizione. Be’, lo sono. Non posso fare a meno d’immedesimarmi nel punto di vista degli altri. Hugh non si è mai ripreso dalla ferita alla testa e soffre ancora di atroci emicranie che lo riducono male. Aver perso la mano è niente al confronto. Quanto a Edward, be’, a volte mi sembra che abbia capito di aver sbagliato a mettersi con Diana, e Rachel dice che i dissapori con Hugh lo addolorano molto. Credo che gli manchi anche la famiglia, Home Place... Rachel tenta ancora di rimettere a posto le cose fra loro e Edward sarebbe più che disponibile, ma sa che Hugh disapprova il suo matrimonio con Diana e questo gli dà una specie di superiorità morale che Edward non può accettare».

Zoë tacque un momento e poi obiettò: «Ma questi sono i loro problemi. E i tuoi?». Poi aggiunse: «Ho detto una cosa orribile. Tu sei una persona molto migliore di me. Ti preoccupi per gli altri. A me invece importa solo di te e dei nostri figli».

La tensione si era un poco allentata, con gran sollievo di Rupert: dopotutto, anche lei aveva un punto di vista che era suo dovere tenere in considerazione.

«Per ora ne abbiamo discusso abbastanza», disse. «Vogliamo fare uno sforzo da veri inglesi e divertirci un po’, adesso?».

E così – mentre tornavano a casa in macchina – con Zoë satolla e insonnolita dopo aver bevuto ben due bicchieri di ghul alle rose, l’unico liquore che le piacesse davvero – Rupert suggerì, en passant, che poteva essere utile e perfino divertente, intanto che ci pensavano, fare un salto a Southampton ed esplorare i paesi vicini.

Lei non gli rispose, e Rupert si accorse che era già mezza addormentata.