Louise e Teddy, con Edward e Diana

«E secondo te c’è qualcuno che il Natale lo trascorre dove vuole lui?».

Ha la luna storta, pensò Teddy. Era passato a prenderla per andare insieme a Hawkhurst. In casa regnava una puzza di penne bruciate e il negozio al piano di sotto era tutto stipato di tacchini pronti da infornare. «Ormai ci ho fatto l’abitudine», gli aveva detto Louise quando Teddy gliel’aveva fatto notare. E poi lo aveva tenuto in attesa per un pezzo in quel suo soggiorno piccolo e spoglio.

C’erano una libreria e una stufetta a gas, ma la maggior parte degli elementi erano rotti: ne uscivano preoccupanti fiammate bluastre e pressoché nessun calore. Forza, Louise, aveva pensato in silenzio. Non voleva dire niente che peggiorasse il suo umore.

Ma quando finalmente si era palesata, era talmente bella che Teddy si era sentito subito meglio. Portava jeans e stivali e un maglione di lana blu, i lunghi capelli biondi acconciati in una treccia alla francese e cerchi d’argento alle orecchie. «Non credi?», insistette. «In questo periodo dell’anno ci tocca fare buon viso a cattivo gioco».

«Be’, a me basta uscire per un po’ da Southampton. E non siamo mai stati nella nuova casa di papà. Magari sarà divertente, chi lo sa».

«Non se c’è anche Diana», bofonchiò Louise trascinando in soggiorno la sua pesante valigia. «È tutta tua. Scusa se pesa tanto»

«Come mai la odi così?».

«Perché lei odia me, direi. E papà non fa che peggiorare le cose. Continua a chiamarci “le sue ragazze preferite”. Lei non lo sopporta. Ci fermiamo a mangiare prima di partire?».

«Se aspettiamo, troveremo più traffico». Guardò l’orologio. «Sono quasi le due. Ma se hai fame, andiamo».

«Per me non è necessario. Col lavoro che faccio, meno mangio meglio è».

Caricarono la valigia e salirono in macchina, poi Teddy disse: «Sono stato da mamma ieri sera».

«Oh, bravo. Io ci sono stata nel fine settimana. Povero Roland. Deve essere un vero strazio per lui».

«È uno strazio per tutti, credo. Miss Milliment non ricordava più chi fossi. È dura per mamma».

«Oh, a lei piace così, dammi retta».

«Gli anni ti hanno resa cinica?».

Louise aspettò qualche secondo prima di rispondere: «Scusa, Ted. Non sono cinica... solo un po’ triste». E dopo un’altra pausa aggiunse: «A volte non è facile essere una donna».

«Sei innamorata di qualcuno?».

«Credo di sì».

«E lui non ti ama?».

«Non lo so. Credo mi ami, a modo suo».

«Ma è sposato, scommetto. E non intende separarsi».

«Ma io non so se vorrei sposarlo. E comunque non c’è nessuna possibilità. Cinque sere a settimana le passa con me e il sabato va da sua moglie. Ah, poi ci sono le lunghe vacanze estive nel Sud della Francia. Settimane e settimane. Mentre io resto a Londra a patire il caldo». Una risatina amara. «Mi tocca accontentarmi».

«Immagino sia difficile». Ma anche per gli uomini non è facile, aggiunse Teddy fra sé pensando allo spaventoso pasticcio che aveva combinato con Ellen. Dopo la gita sull’Isola di Wight era rimasta incinta, glielo aveva detto sei settimane dopo. Teddy si era limitato a incontrarla al pub e non le aveva più proposto di uscire insieme, ed era chiaro che lei c’era rimasta male. Si era detto che la situazione era spiacevole per entrambi, ma sapeva bene che non era vero. Un fidanzamento era fuori discussione, si era accorto di non avere niente in comune con lei. Una sera, dopo avergli servito la sua birra, Ellen gli aveva detto a bassa voce che doveva parlargli in privato e lui l’aveva aspettata fuori dal locale dopo la chiusura. Immaginava che volesse chiedergli che cosa fosse successo, come mai non si vedevano più, perciò, quando gli diede la notizia, fu come se gli fosse esplosa una bomba in mano.

«Ne sei certa?».

Aveva saltato il ciclo due volte e aveva la nausea tutte le mattine, perciò sì, ne era certa.

«Non potresti tornare a casa tua per partorire?».

No, non poteva. La sua famiglia l’avrebbe cacciata. Sarebbe finita in qualche casa di carità gestita da suore che l’avrebbero costretta a dare il bambino in adozione. «È tuo figlio, Teddy. Non posso abbandonarlo». Parlava piano, ma aveva gli occhi lucidi di silenziosa supplica.

«Devo dirtelo, Ellen. Non posso sposarti. La mia famiglia non me lo permetterebbe». Mentre lo diceva, si sentì profondamente codardo.

Lei però parve accettare la situazione. «Con le famiglie è così, no?», disse, mentre una lacrima solitaria le cadeva da un occhio. E si chiuse in un silenzio triste e rassegnato.

«Credo che la cosa migliore sia sbarazzarsi del bambino».

«Sarebbe un peccato mortale! La mia amica Annie lo ha fatto e brucerà all’inferno per questo».

«Ma no che non brucerà all’inferno. Ne sono sicuro». E improvvisò un penoso discorso sulla religione, di cui non sapeva un bel niente. «Dio non punisce quelli che si pentono. Il mio Dio almeno è così. È misericordioso e...be’, è così, ecco».

«Davvero?».

«Ma certo. Perché non chiedi ad Annie come ha fatto? Pagherò io. È il minimo che possa fare».

E alla fine era andata proprio così. Annie sapeva a chi rivolgersi. Chiedevano cinquecento sterline, così aveva impegnato il suo orologio e i gemelli d’oro, mettendo insieme a malapena il necessario più qualcosa per Ellen. Dopo l’aborto non andò a lavorare per una settimana, e quando tornò al pub era pallida e sembrava invecchiata. «Preferirei non rivederti più», gli disse. Così Teddy aveva smesso di frequentare quel pub, ma il senso di colpa verso di lei non lo aveva lasciato in pace.

«Sei silenzioso».

«Pensavo. Le cose che uno deve fare tutto il giorno non sono divertenti, e le altre... finiscono spesso per metterti nei guai».

«Quali sarebbero queste “altre” cose?».

«Be’, lo sai. Andare a letto con qualcuno, stare in giro tutta la notte e non reggersi in piedi il giorno dopo, fumare erba, andare a letto con questa e con quella...».

«Lo hai già detto. Hai una ragazza al momento?».

Le raccontò di Ellen.

«Oh, povero Ted. Che sfortuna!».

Non se l’era mai posta in quei termini. Sfortuna non gli sembrava il termine corretto, ma lo fece sentire un po’ meno colpevole.

«Dovresti lasciar perdere le bariste, mio caro».

«E tu dovresti lasciar perdere gli uomini sposati».

«Santo cielo! È facile dispensare consigli in giro, quando non si è capaci di seguirli in prima persona! Credo che dovresti sposarti».

Si erano lasciati Londra alle spalle e stavano attraversando Sevenoaks. Il traffico era diminuito. Ci fu un piacevole silenzio durante il quale ognuno pensò all’altro con affetto.

«Dovresti anche tu, Lou. Seppure abbiamo fatto scelte sbagliate all’inizio non vuol dire che non possiamo sistemarci. Pensa a cosa sarà il futuro, se non ci sposiamo».

«L’immediato futuro, dal mio punto di vista, è passare il Natale a casa di papà. Sono contenta che almeno siamo in due».

«Sono contento anch’io».

* * *

Non fu facile trovare la casa, e quando arrivarono era già buio. Il labrador li accolse con un ansito euforico.

I latrati attirarono il loro padre, che li abbracciò entrambi. «Che bello avervi qui! Il viaggio è stato faticoso? Entrate, prendiamo un tè. Diana è in salotto. Sta’ giù, Honey!». Il labrador si accucciò all’istante ai suoi piedi. Edward li guidò in casa cingendo col braccio Louise. «Stai benissimo, mia cara».

«Anche Teddy».

«Certo, anche Teddy».

Un grande fuoco scaldava la stanza, e Diana era distesa sul divano con un vassoio da tè posato sul tavolino davanti.

«Ciao! Immagino sarete affamati. Purtroppo i ragazzi hanno spazzolato la torta al cioccolato, però sono rimaste delle focaccine. Ormai saranno fredde, ma...».

«Le focaccine andranno benissimo», disse Teddy. «Abbiamo saltato il pranzo per paura del traffico».

«Vi siete messi in viaggio tardi, allora. Ma suppongo che per te vada bene così, vero, Louise? Immagino che dovrai preoccuparti costantemente della tua linea, per poter entrare nei vestiti».

«Non me ne preoccupo molto».

Lei e Teddy cominciarono a mangiare le focaccine, che erano talmente unte che a Teddy ne scivolò una tra le dita e cadde sul tappeto. La raccolse subito, ma aveva lasciato una macchia.

«Oh, cielo! Edward, va’ a prendere della soda e un panno. Corri!».

Teddy si scusò e Diana disse che non importava, ma era evidente che le importava eccome.

Quando Edward tornò col sifone della soda e un panno, Diana volle pulire personalmente la macchia nonostante Teddy si fosse offerto di farlo lui.

Louise disse che avrebbe disfatto la valigia e Teddy volle portargliela di sopra. Fu Edward ad accompagnarli.

«Dove li abbiamo sistemati, cara?».

«Oh, Teddy nella vecchia camera dei bambini e Louise nella stanzetta della cameriera, giù in fondo».

Un’espressione d’imbarazzo si dipinse sul volto di suo padre. Louise capì che sarebbe stato come in Francia: vederlo così dispiaciuto le suscitava un moto d’affetto, ma non riusciva a non odiarlo per la sua debolezza.

«Eccoci qui», disse aprendo la porta di una grigia cameretta dove regnava il gelo. «Il riscaldamento purtroppo qui non arriva. Adesso vedo di trovarti una stufetta. Teddy è nella stanza accanto».

«Il bagno dov’è, papà?».

«In fondo al corridoio. Vado a vedere se trovo quella stufetta».

Teddy mise la valigia sopra il lettuccio di ferro.

«Non è proprio il Ritz, eh? Mi sistemo di là e torno».

Louise appese i suoi due abiti, mise via la valigia e il resto delle sue cose e decise di avventurarsi in bagno. Al suo ritorno trovò un giovanotto alto in piedi davanti alla sua porta con una stufetta elettrica in mano. «Ciao, sono Jamie, il tuo fratellastro. Scusa per la stufa. Se l’era presa Susan, anche se lei ha un calorifero funzionante in camera. Vuoi che te l’accenda?».

Aveva modi seducenti e naturali, anche se non somigliava per niente a papà.

«Fa un freddo tremendo qui dentro!», osservò. «Presto sarà servito da bere, perciò vieni giù appena sei pronta. Non ci siamo visti, giù in Francia. Io e Susan siamo arrivati dopo che tu sei andata via. Un vero peccato, devo dire». Non nascondeva l’attrazione e questo tirò su il morale a Louise. «Mi dispiace che ti abbiano dato una camera così squallida. Se l’avessi saputo, ti avrei ceduto la mia. Speriamo che si scaldi in fretta. Ti avverto, mia sorella Susan al momento è un vero strazio. Mamma dice che è una fase, ma è una fase che dura da un pezzo. Ha quindici anni, ed è così da almeno due».

Ma prima che Louise potesse chiedere in che senso era uno strazio, lui se ne era già andato.

Si tolse il maglione e indossò una camicetta di seta bianca, si spazzolò i capelli, si mise del rossetto e andò di sotto a bere e a scaldarsi davanti al fuoco.

* * *

Quello fu l’inizio del loro soggiorno, tre giorni in tutto, in casa del padre, dove si mangiò e si bevve troppo, ci si scambiarono i regali e si pazientò durante le imbarazzanti esibizioni di Susan: non solo arcinoti monologhi shakespeariani, ma anche brani scritti di suo pugno che richiedevano lunghe spiegazioni prima di essere recitati. La poverina attraversava quella fase dell’adolescenza in cui il corpo esplodeva in protuberanze e l’acne le devastava il viso a pera, ancora tondo di una pinguedine infantile. Inoltre, nel recitare, adottava un nauseante piglio da martire regina. Si sottoposero all’ordalia perché Diana diceva che era importante per lei avere la possibilità di esprimersi e Edward, anche se era chiaramente imbarazzato e infastidito, non disse nulla. A un certo punto Jamie suggerì di giocare ai mimi, ma la proposta non raccolse molte adesioni. La sera di Santo Stefano si sedettero tutti a mangiare avanzi di tacchino freddo e tortine di mele, sollevati al pensiero che il Natale fosse quasi finito, anche se naturalmente nessuno lo disse a voce alta.

* * *

«Fiuu...», fece Teddy quando furono saliti in macchina. Con la scusa che Louise aveva un impegno a Londra all’ora di pranzo, erano partiti subito dopo colazione.

«Non dobbiamo farlo mai più!».

«Quali sono stati i momenti migliori per te?».

«Con migliori intendi i peggiori?».

«Sì, quelli. E poi anche quelli belli, se ce n’è stato qualcuno».

Louise ci pensò. «Quando sono entrata nella mia squallida stanzetta. E poi i terribili discorsi di Susan...».

Teddy la interruppe. «Quelli non contano! Ce li siamo sorbiti tutti quanti nelle stesse dosi massicce».

«D’accordo. In effetti non si può definirli “momenti”, perché sono durati ore. Oh... dover fingere di apprezzare il regalo di Diana. Una confezione di Boots con una scatola di talco, una saponetta e un tubo di crema per le mani. La cosa davvero buffa è che ha fatto lo stesso regalo a Mrs Patterson».

«E tu come lo sai?».

«Era sul tavolo della cucina quando sono andata a prendere altro ghiaccio per papà. Quella frase, “le mie due ragazze preferite”, l’ha detta una volta sola, ma dovevi vedere la faccia di Diana... e quei pasti terribili, senza un briciolo di allegria! E poi, quando comincia una frase con “francamente”, di certo sta per dire una colossale bugia...».

«Sì, più di una volta ha detto “Se devo parlare onestamente” seguito da qualche frase sprezzante, di solito all’indirizzo di papà... povero papà! Per lui era molto meglio continuare a stare con mamma tradendola. Sarebbe stato meglio anche per mamma, in effetti».

«Chi di noi è cinico, ora?».

«Non è cinismo, solo una constatazione realistica. Nostro padre non è portato per la monogamia. Come la maggior parte degli uomini, guarda il tuo Joseph... La cosa buffa è che nonostante questo predicano la fedeltà agli altri. Papà mi dice sempre che devo mettere la testa a posto e sistemarmi. Lui però non l’ha fatto, ti pare?».

Louise tacque per alcuni secondi, poi disse: «Immagino che se ami veramente qualcuno, non hai bisogno di nessun altro».

Teddy le lanciò un’occhiata. «Sì, credo esistano persone così. Credo anche che le donne desiderino di più innamorarsi rispetto agli uomini. Io sono arrivato alla conclusione che non ci capisco niente... Be’, vediamo un po’: la mia stanza era come la tua. Un po’ più grande ma ugualmente fredda e nessuno è venuto a darmi una stufetta. Ho dormito vestito. E Diana mi ha regalato una cravatta orrenda. Perciò concordo con te: mai più, se riusciamo a evitarlo. Una cosa buona però c’è: credevo che Jamie mi sarebbe stato antipatico, perché è andato a Eton e adesso si iscriverà a Cambridge. Me lo immaginavo con la puzza sotto il naso, invece è proprio in gamba. Mi ha detto che papà gli ha chiesto di venire a lavorare in azienda e lui ha rifiutato. Vuole dedicarsi alla ricerca medica. Sai, scoprire nuove cure per le malattie. Parte oggi per andare a stare da un suo amico che conduce degli esperimenti. Non l’ha detto, ma secondo me anche lui non vedeva l’ora di andarsene. Io non credo sia figlio di papà. Non gli somiglia per niente. Un’altra delle trappole della cara Diana, temo».

«Be’, anche se lo credi, non devi dirlo a nessuno, Teddy, mai. Sono seria, Teddy, promettimelo».

«L’ho detto solo a te. Va bene, starò zitto».

Louise percepì che il suo tono autoritario gli era dispiaciuto e gli disse: «Io e Joseph andiamo a una festa stasera. Perché non vieni? Sarà pieno di belle ragazze».

«Ma belle belle?». Gli era tornato il sorriso.

«Bellissime. Potresti perfino trovarne una da sposare».

«Oh, magari». Si rese conto in quel momento di quanto gli pesasse la prospettiva di tornare a Southampton.