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Primavera del 1980
Juan osservava l’impasto unto che girava trascinato dalla pala meccanica nel miscelatore. Avevano acquistato quel macchinario solo da un paio di mesi, e come aveva pronosticato Rosario, la produzione era aumentata tanto da poter accettare nuovi clienti che un tempo non sarebbero mai riusciti a soddisfare. Juan pensava al passato, quando sua moglie era rimasta incinta prima di Flora, poi di Rosaura, mentre lui nella sua ignoranza avrebbe voluto un figlio maschio, forse per perpetuare il cognome Salazar. In fin dei conti, in famiglia c’era solo sua sorella Engrasi, e se non ci pensava lui a fare un maschio, il cognome Salazar sarebbe scomparso. Con Flora non gli era dispiaciuto tanto, ma quando era nata Rosaura si era sentito deluso, anche se ovviamente l’aveva sempre tenuto nascosto alla moglie. Un figlio maschio, una fissazione stupida che era riuscita a intristirlo tanto da far preoccupare anche sua madre.
«Ti conviene fare buon viso a cattivo gioco, caro mio, se non vuoi che tua moglie prenda le bimbe e se le porti a San Sebastián», l’aveva avvertito. «Invece di rimanerci male, dovresti ringraziare il cielo: una donna vale quanto un uomo, e in certi casi anche di più»
Conservava ancora in un cassetto del laboratorio la lista di nomi da femmina e da maschio che lui e Rosario avevano stilato e da cui avevano scelto quelli per le figlie. Diede un’occhiata all’impasto che continuava a girare e si accostò al cassetto, da cui estrasse la lista e la posò sul tavolo. Sul foglio erano ben visibili i segni delle quattro pieghe con cui era stato riposto per anni, e adesso anche le grinze e l’angolo rotto che si erano formati tra le mani di sua moglie solo un istante prima che glielo lanciasse in faccia e uscisse di corsa dal laboratorio.
Sì, era proprio uno stupido. Perché aveva insistito tanto su quell’idiozia del nome?
«Dovremmo decidere un nome per il bebè».
«È ancora presto. Hai preparato l’ordine per quelli di Akuna?» aveva ribattuto lei cambiando argomento.
«Non è presto, è già di cinque mesi! Adesso il bebè sarà già grande come la mia mano, è ora di pensare a un nome. Rosario, dai, lascio scegliere te, guarda la lista e dimmi quale ti piace», aveva insistito mettendole il foglietto davanti agli occhi.
Lei si era girata, strappandogli la lista di mano e lasciandolo di stucco. Inclinò la testa come se stesse leggendo e poi, guardandolo di traverso, senza alzare la fronte, aveva borbottato: «Un nome, un nome, lo sai cos’è questa?»
Lui non sapeva cosa rispondere.
«Una lista di morti».
«Rosario…»
«Una lista di morti, ma ai morti non serve un nome, ai morti non serve un bel niente», sussurrò a mezza bocca guardandolo da sotto le ciocche di capelli sfuggite dalla coda.
«Rosario… Si può sapere cosa stai dicendo? Così mi spaventi!»
«Non ti spaventare», gli rispose, alzando la testa e recuperando un tono normale, «è solo un gioco».
Lui la osservava cercando di ingoiare il nodo di terrore che gli si era formato in gola e aveva un sapore così acido…
Rosario appallottolò il foglietto e glielo lanciò in faccia prima di uscire dal laboratorio.
«Rimettilo dov’era», aggiunse. «Ci sono anche nomi da maschio, e credimi, speriamo che sia un maschio perché se è una troietta non le servirà un nome».