59.
LAURA SOGNA

Tornai al conservatorio. Dissi che non avevo più problemi con il piede e volevo riprendere le lezioni. Mi accolsero a braccia aperte. Di solito ci andavo con la macchina di Betty e portavo anche Don, che mi aspettava legato davanti alla porta. Daniel e Verónica sostenevano che avessi bisogno di una protezione minima. A volte veniva a prendermi Valentín: facevamo fare una passeggiata a Don nel parco e poi lo portavo a casa. A volte mi fermavo da lui per la notte. Sistemavamo una coperta a terra per Don e noi ci mettevamo a letto. E un giorno Valentín mi propose di andare a vivere con lui. C’era uno spazio sotto la finestra del salottino dove avremmo messo la mia scrivania, e avremmo dipinto le pareti di bianco perché l’ambiente risultasse più luminoso. Avremmo passato qualche fine settimana nella fattoria di Mateo e Valentín avrebbe cercato un lavoro migliore. Adesso lavorava da casa come informatico. Stavo bene con Valentín, mi sentivo in pace, forse non era l’uomo della mia vita, ma era sicuramente l’uomo di quella vita, in quel momento.

Io guadagnavo abbastanza per vivere grazie alle lezioni di danza e alla vendita della linea di cosmetici di cui Verónica era rappresentante. Tra una cosa e l’altra non avevo tempo di pensare al passato.

Io e Verónica andavamo d’accordo e a lei piaceva molto la mia formalità sul lavoro e il mio modo di trattare con i clienti. Ci feci subito il callo e allargammo il nostro giro. All’inizio della mia nuova vita, quando mi ero trasferita a casa di Verónica, mi ero sistemata nella stanza degli ospiti e mi avevano permesso di tinteggiarla di arancione. Quando potevo, accompagnavo Ángel a scuola con Don e parlavamo di basket. Era un ragazzo riservato e affettuoso a modo suo, simpatico. Mi piaceva stare con lui. Daniel ci portava in continuazione a cenare al Foster’s Hollywood del centro commerciale e arrivai a desiderare che quella famiglia fosse la mia. Ciò che non raccontavo a nessuno era che, senza poterci fare niente, dopo due mesi avevo iniziato a sognare Greta e Lilí, soprattutto Lilí: sogni confusi che mi lasciavano a pezzi e molto malinconica, come se tornassi da un viaggio o da una vita triste. E a volte, da sveglia, mi sorprendeva il rumore di una sedia a rotelle, come se fosse diventata invisibile e non smettesse di starmi vicino. Non sapevo se desiderassi o meno di trovarmele davanti svoltando un angolo. Avevo paura di Lilí e, al tempo stesso, ne sentivo la mancanza. Non potevo evitarlo. Erano una parte della mia anima. Verónica le disprezzava e le odiava. Stava cercando di capire come denunciarle e fare un finimondo con l’aiuto di María. Per questo sarebbe stato opportuno che facessimo il test di paternità, ma mi angosciava l’idea di compiere quel passo; adesso quello che avevo in mente era trasferirmi a casa di Valentín. Avremmo diviso le spese e avremmo ricominciato da zero.

Daniel mi disse di chiamarlo ogni tanto e di andare a trovarli perché avrebbero sentito molto la mia mancanza.

Verónica e Ángel mi aiutarono a fare il trasloco con la macchina di Betty e, quando stavo per restituirgliela, mi dissero che era un regalo. Mi regalarono anche il visone. Verónica insistette, era molto cocciuta. Arrivai a desiderare che fosse mia sorella. Il tempo avrebbe detto se era così.