54.
VERÓNICA E L’ODIO
Mentre le parlavo mi scricchiolavano i denti, come se avessi della terra in bocca. E facevo grandi sforzi per trattenermi e non picchiarla. Desideravo con tutto il cuore stamparle l’impronta dello stivale sull’asciugamano bianco. L’avrei uccisa senza rimorsi. Avrei potuto ucciderla e disfarmi del suo corpo; non avrei provato nessun senso di colpa perché avrei continuato a odiarla. Fino a quel momento non avevo mai sentito un odio così puro, un disprezzo così definito per un altro essere umano. Ana era riuscita a svegliare in me un autentico mostro e da quel momento in poi sapevo che si sarebbe potuto ridestare e fare cose terribili. Mi accorsi di una forza sconosciuta che mi scendeva dalla testa alla punta dei piedi, mi toglieva la paura e mi rendeva invincibile. Da quel momento, quando avessi voluto superare tutti gli ostacoli, dominarmi e sentirmi potente rispetto agli altri, avrei dovuto odiare. Era la strada più breve. Adesso capivo perché nelle guerre alcune persone erano in grado di essere così coraggiose. Grazie all’odio. L’odio elimina in un colpo tutte le debolezze. E perché c’erano persone che uccidevano e riuscivano a sopportarlo senza problemi? Grazie all’odio. Adesso Ana non poteva niente contro di me, perché la odiavo. E odiavo il suo colore preferito, il beige e il crema. Odiavo le linee zigzaganti di quella casa, gli spazi diafani, i mobili etnici, la pulizia impeccabile. Ana era di fronte a me con il suo corpo perfetto avvolto in un asciugamano e prima di uscire ebbe il sangue freddo di versarsi un tè e berlo. Né io né Laura toccammo le nostre tazze. La figlia di Ana, la sorpresa della giornata, era felice, molto più felice di noi. Non la odiavo e non mi faceva neppure pena: mi era indifferente. Sul tavolo aveva lasciato dei libri del primo anno di Turismo.
La guardammo asciugarsi e vestirsi. Ci chiese di fermarci a mangiare con lei e sua madre. Le piaceva moltissimo avere gente in casa. Ana ricomparve in un tempo record vestita con i suoi tradizionali toni del sabbia e chiese alla figlia di non insistere. Un’altra volta, disse, perché quel giorno dovevamo risolvere alcune questioni di lavoro. Quella era la chiave di tutto, io e Laura eravamo lavoro per Ana, non si trattava di niente di personale.
A mano a mano che i minuti passavano, iniziavo a leggere Ana come un libro aperto. Era riuscita ad avere una bella vita a spese di gente come noi. Lilí e Greta avevano comprato Laura da lei. Un buon business, considerando lo stile di vita che conduceva.
Glielo dissi mentre eravamo sedute in quel bar in cui i camerieri la riverivano.
«Restituiscimi la foto di Laura che hai preso dalla cartella di coccodrillo quel pomeriggio che eri sola in casa.»
«Non so di cosa parli.»
«Lo sappiamo tutte e due. Hai abusato di noi in tutte le forme possibili. Finirai in carcere», dissi.
«Perché? Non avete altro che sospetti. Sospetti, supposizioni, dubbi mescolati alla vostra tragedia personale.»
«Ci finirai perché ormai è la mia idea fissa.»
«Tu sei pazza. È una fantasia.»
«Non ti permettere!» esclamò Laura con la faccia rossa di ira o vergogna. «Non era pazza Betty, non lo è lei e non lo sono io. Puoi dire al dottor Montalvo che andremo a fargli una visita. Mi piacerebbe sapere che merda mi stava dando a casa di Lilí.»
«Non abbiamo tutto il tempo del mondo, cara Ana. Perciò se non ci dirai qualcosa che ci convinca torneremo a casa tua con te e faremo una chiacchieratina con Sara.»
«Non vi crederà.»
«Fa lo stesso. Diffonderemo questa storia, la conosceranno tutti. Alcuni ci crederanno e altri no. Ma puoi già immaginare cosa ti aspetta.»
Guardò a destra e a sinistra come per trovare ispirazione e incrociò le mani eleganti sotto il mento.
«Io non c’entro niente. Ho accompagnato Betty e basta, poi però ho scoperto che l’ostetrica, una certa suor Rebeca, era una poco di buono.»
«Essere una poco di buono significa dire a una madre che suo figlio è nato morto e venderlo?» chiese Laura, che ormai non mi immaginavo più gestire di buon grado l’attività di donna Lilí.
«Detto così suona...» disse Ana.
«Suona male, vero?» la interruppi. «Fai quello che vuoi, anche se non credo che ti convenga parlare più del dovuto con i tuoi amici, perché ti accuseranno come ha fatto Carol.»