50.
VERÓNICA LOTTA CONTRO IL VENTO

Non riuscii ad aprire la porta con la chiave e questo significava che c’era un’altra chiave infilata nella serratura dall’interno con due mandate. Ci riprovai e suonai il campanello.

Vidi un occhio nello spioncino e subito dopo sentii la chiave che girava e un’altra serratura aggiuntiva che i miei genitori avevano messo quando da piccoli a volte rimanevamo da soli.

«Che succede?» chiesi ad Ángel pulendomi i piedi sullo zerbino.

«Non lo so. È venuto un uomo muscolosissimo con uno strano accento e mi ha chiesto di Laura.»

Ángel chiuse di nuovo la serratura. Non mi faceva piacere che stesse diventando un pauroso, era una cosa che in futuro gli avrebbe tolto molto fascino.

Appoggiammo i sacchetti sul divano.

«Mi avete comprato qualcosa?»

Gli risposi con un’altra domanda: «Aveva i capelli rapati a zero?».

«Sì.»

«La faccia rotonda?»

«Sì.»

«Aveva dei vestiti leggeri?»

«Sì.»

«Era un po’ più alto di me e meno di te?»

«Sì.»

«Be’, allora è Petre», intervenne Laura. «Non so perché Lilí si faccia accompagnare in giro da lui se può camminare perfettamente.»

Finalmente iniziava a riconoscere la realtà. Ángel guardava prima l’una e poi l’altra senza capire.

«Anch’io l’ho vista camminare in negozio quando ti tenevano imprigionata.»

«Ero malata», puntualizzò Laura.

Era meglio non cercare di convincerla, sarebbe stato come lottare contro il vento. Era lei che doveva accettare la propria vita.

«Gli ho chiesto chi era», disse Ángel. «E lui non ha risposto, mi ha domandato di nuovo di Laura. Ha detto che doveva riferirle un messaggio molto importante. Gli ho detto che qui non viveva nessuna Laura, mi è sembrata la cosa migliore da fare. Poi mi ha preso per il petto e mi ha spinto all’interno. Portava un sigillo d’oro all’anulare. È entrato e ha chiuso la porta. Ero sicuro che avrebbe tirato fuori un’arma. Il povero Don abbaiava disperatamente dalla veranda, dietro la porta a vetri. Magari fosse potuto entrare, avrebbe fatto spaventare a morte quel bestione.»

«Ha tirato fuori un’arma?» chiese Laura molto preoccupata.

Ángel fece cenno di no con la testa.

«Ha guardato in casa, nelle varie stanze. Per fortuna che avevo rifatto il mio letto. Per fortuna in questa casa c’è qualcuno che mette in ordine. Ne ha visti tre disfatti e uno rifatto. Se n’è andato senza convincersi. Prima di uscire mi ha detto di riferire a Laura che sua nonna era molto malata e aveva bisogno di vederla.»

Il viso di Laura si contrasse in una smorfia. Era vero? Forse il disappunto per la sua fuga le aveva provocato una ricaduta. Non potei far altro che gridare per farla uscire dal trance.

«Quando sei fuggita eri devastata!»

«Mi sono suggestionata», disse con lo sguardo perso.

«Ma non capisci che sono complici? Soltanto Ana conosce questa casa e solo lei può aver dato loro l’indirizzo. Ti pare normale entrare in una casa con la forza, minacciando?»

«Lilí deve essere disperata», continuò come se fosse posseduta.

«E tua madre? A tua madre non importa niente?»

«Lei è più giovane e più forte.»

«Non tanto», commentai pensando alla differenza di età tra sua madre e la mia.

«Non so cosa fare», mormorò. «Non so se chiamare per vedere se è vero che è malata.»

«Fai quello che vuoi», le risposi armata di pazienza, anche se mi stava snervando. «Prima però diamo un’altra occhiata al registro di Los Milagros... che nome appropriato.»

Non protestò. Si sedette sul divano e aprì il volume sui miei jeans, che facevano sembrare le sue gambe ancora più sottili. Accesi le applique. Il giardino iniziava a essere invaso da un grigio scuro che disfaceva il tempo e lo spazio, la verità e la bugia.

Ángel si sedette accanto a lei osservando il registro con curiosità. La luce delle applique cadeva sulle loro teste, fronte, orecchie, naso, mani. Quanto si assomigliavano. Non poteva essere un caso. Mamma, avevi ragione, tua figlia è viva e si chiama Laura.

«Potrebbe trattarsi davvero di un errore, sei troppo convinta», mi ammonì Laura.

«E tu fai di tutto per credere quello che vuoi credere.»

Mi pentii appena quelle parole mi uscirono di bocca. Non potevo pretendere che fosse come me. Alla mia porta non aveva bussato nessuno dicendo: “Eccoci, siamo la tua nuova famiglia, quella di prima era finta”. Mia madre non era mai arrivata a tanto, sicuramente per rispetto di Laura.

«Non volevo», aggiunsi.

Ángel le prese delicatamente il registro dalle mani e si mise a studiarlo.

«Quante morti di neonati. Sembra un’epidemia», commentò.

Portammo il volume sul tavolo di mogano, ci sedemmo su tre sedie e iniziammo a sfogliare le pagine attentamente, anche se con più serenità di prima.

«Tu non sei stata l’unica, questa storia puzza di merda», dissi. Laura non rispose. Evidentemente non voleva scontrarsi di nuovo con me. «Non è normale che nello stesso ospedale siano morti tanti neonati», continuai.

«Sembra una faccenda grossa, una di quelle notizie che aprono il telegiornale», aggiunse Ángel.

«Bene. Vai a studiare», gli dissi. «E quando sei solo in casa, se suona qualcuno, non aprire; papà ha le chiavi. Terremo Don dentro.»

«E mi dimentico di tutto?» chiese senza nessuna voglia di studiare.

«Sì. Dalla sera alla mattina ti dimentichi di molte cose di cui non dovresti dimenticarti, come portare Don al parco, per esempio. Perciò dimenticati anche di questo finché... non te lo dirò io.»

«Mi piace vedervi discutere», annotò malinconicamente Laura mentre Ángel infilava il corridoio a passi lunghi. «Io non ho mai avuto nessuno in casa che fosse su un piano di parità rispetto a me con cui litigare.»

«Se vuoi puoi farlo con Ángel, a lui piace. Diventa matto se lo si rimprovera e gli si chiede di fare questo e quell’altro. Non ci fa neanche caso, come se fosse sordo.»

Sorrise con una leggera amarezza. Adesso qualunque gesto di Laura aveva una sfumatura aggiunta, e anche la sua vita aveva una storia aggiunta.

Ammiravo sempre di più mia madre, per come aveva tirato il freno prima del precipizio di Laura, per come aveva dominato la voglia di fare un quarantotto. Sapeva che se si superava il confine del rispetto, come avevamo appena fatto tutti noi, poteva succedere qualunque cosa. Petre aveva varcato la soglia di casa nostra e aveva messo le mani addosso a mio fratello, era entrato nelle nostre stanze. Faceva paura pensare fin dove potessero spingersi. Laura non smetteva di sfogliare le pagine del registro. Prese un foglio e una penna e iniziò a scrivere. Era vittima senza saperlo. Anche noi eravamo vittime. Ángel se l’era vista brutta. Non era il momento di stare troppo a riflettere.

«Laura!» la scossi tirandola fuori dal suo doloroso raccoglimento. «Andiamo a trovare l’attrice.»