6.
LAURA, NON PUOI INGANNARMI

La mia nuova scuola si chiamava Santa Marta e la direttrice suor Esperanza. Era così robusta, così sicura di sé, e controllava così attentamente tutto ciò che la circondava, che ci faceva sentire insignificanti. La frase che ripeteva più spesso era che eravamo entrate in quella scuola per formarci come donne. L’avevano trovata mia nonna e Ana perché, in quei giorni, la mamma era impegnata in un corso intensivo di yoga e aveva detto che avrebbe conosciuto la direttrice e le professoresse quando fosse riuscita a venire a prendermi. Quando ci entrai per la prima volta rimasi molto colpita perché il cortile della ricreazione era protetto da muri alti cinque metri. Sembrava un convento e pensai che forse in futuro anch’io mi sarei fatta suora.

Mia nonna veniva sempre a prendermi con la sua Mercedes e mia madre solo qualche volta; quando compii sedici anni, però, dissi loro che volevo tornare a casa in autobus come tutte le mie compagne. Anche se all’inizio a Lilí l’idea non piacque, perché secondo lei avrei perso troppo tempo nel viaggio a discapito dello studio, mia madre venne in mio soccorso dicendole che, se fino a quel momento non era successo niente, non c’era ragione di credere che sarebbe successo in futuro. Quella frase mi rimase impressa nella mente perché sembrava alludere a qualcosa di più di quello che diceva. Soprattutto perché era quasi impossibile che ci accadesse qualcosa. Le suore che pulivano e preparavano il pranzo si prendevano anche cura di noi e controllavano al millimetro tutto quello che succedeva a scuola. In un certo senso, mi sembrava normale essere costantemente sorvegliata, avere gli sguardi delle suore e di Lilí sempre addosso. Arrivai a pensare che Lilí fosse una spia di Dio e che sapesse tutto su di me, su ciò che facevo in ogni istante e ciò che pensavo, e che fosse impossibile ingannarla.