26

 

Leighton attraversò la stanza e si sedette al tavolo, sulla sedia a destra, la stessa che aveva usato Reacher. Appoggiò i gomiti sul tavolo e si prese la testa fra le mani. Stesso gesto.

«Primo, non c'è nessun elenco», affermò. Poi sollevò lo sguardo verso la Harper. «Mi ha chiesto di controllare eventuali furti nelle sedi dove lavoravano le donne, perciò avevo bisogno di un elenco di nomi, ovviamente; ho cercato di trovarne uno ma non ci sono riuscito. Ho fatto alcune telefonate: quel che è successo è che, quando i vostri sono venuti da noi un mese fa, abbiamo dovuto crearne uno ex novo. Era una gran seccatura passare in rassegna tutti gli stati di servizio. Perciò uno dei nostri ha avuto un'idea brillante: ha preso una scorciatoia e ha chiamato una delle donne con un pretesto idiota. Pensiamo si trattasse proprio di Alison Lamarr. È stata lei a fornirci la lista. Sembra che un paio d'anni fa avessero creato un ampio gruppo di sostegno.»

«La Scimeca le chiamava le sue compagne», esclamò Reacher. «Ricordi? Ha detto che quattro delle sue compagne erano morte.»

«Era il loro elenco?» chiese la Harper incredula.

«Noi non ne avevamo nessuno», ripeté Leighton. «E poi sono arrivate le informazioni su Kruger: date e luoghi non corrispondevano, nemmeno lontanamente.»

«Potrebbe averli falsificati?» Leighton scrollò le spalle. «Potrebbe. Era un asso nel falsificare gli inventari, questo è certo. Ma non avete ancora sentito la chicca.»

«Ossia?»

«Come ha detto Reacher, il fatto che sia passato dalle Forze Speciali all'approvvigionamento era strano. Perciò ho indagato. Si è distinto nel Golfo. Una grande stella, un maggiore. Erano nel deserto, dietro le linee, a caccia delle rampe mobili di lancio degli Scud, un'unità piccola, la radio in cattive condizioni. Nessuno aveva un'idea precisa di dove fossero col passare del tempo. Perciò l'artiglieria aprì il fuoco e l'unità di Kruger fu colpita in pieno. Fuoco amico. Ci furono molte vittime, Kruger stesso è rimasto seriamente ferito. Ma l'esercito era la sua vita, perciò volle rimanerci; lo promossero a colonnello e gli assegnarono un posto in cui le sue condizioni non lo avrebbero umiliato: una scrivania all'ufficio approvvigionamenti.

Ho pensato che fosse amareggiato e risentito dopo l'accaduto e che avesse iniziato il racket per una forma di vendetta o cose del genere. Sapete, se sei contro l'esercito, sei contro la vita stessa.»

«Ma qual è la chicca?» chiese Lisa.

Leighton tacque per un istante. «Il fuoco amico», rispose poi. «Quell'uomo ha perso entrambe le gambe.» Silenzio.

«È su una sedia a rotelle.»

«Merda», esclamò la Harper.

«Già, merda. In nessun modo può aver fatto le scale fino ai bagni delle vittime. L'ultima volta che le ha fatte è stato dieci anni fa.» Lisa fissò la parete. «Va bene», mormorò lentamente. «È stata una pessima idea.»

«Temo di sì. E hanno ragione sulla Cooke. Ho controllato anche lei: non ha sollevato mai nulla di più pesante di una penna, per tutta la durata della sua breve carriera. Questa era un'altra cosa che dovevo dirvi.»

«D'accordo», sussurrò Lisa. Poi scrutò la parete. «Ma grazie lo stesso», aggiunse. «Ora ce ne andiamo. Torniamo a Quantico a sorbirci la predica.»

«Aspettate», esclamò Leighton. «Vi devo dire della vernice.»

«Altre cattive notizie?»

«Strane notizie», replicò il capitano. «Ho cercato eventuali rapporti su un ammanco di vernice mimetica verde, come mi avevate chiesto. Solo che la prova definitiva era nascosta in un dossier segreto, accesso riservato. Un furto di centodieci latte da dieci chili.»

«Bingo!» esclamò la Harper. «Millecento chili. Undici donne, cento chili a testa.»

«Le prove sono chiare», continuò Leighton. «Hanno accusato un sergente furiere dello Utah.»

«Come si chiamava l'uomo?»

«La donna», mormorò il capitano. «Era il sergente Lorraine Stanley.» Silenzio assoluto.

«Ma è impossibile», ribatté la Harper. «È una delle vittime.» Leighton scosse il capo. «Ho chiamato nello Utah. Ho chiesto chi fosse l'ufficiale incaricato delle indagini. L'ho buttato giù dal letto. Dice che è stata la Stanley, non ci sono dubbi. Ne aveva i mezzi e le opportunità. Ha cercato di coprire le tracce che portavano a lei, ma non è stata abbastanza furba. Era palese. Non hanno proceduto contro di lei perché allora era politicamente impossibile; era appena uscita dalla vicenda delle molestie sessuali e non avevano intenzione d'infierire ulteriormente. Perciò si sono limitati a sorvegliarla, finché non si è dimessa. Ma è stata lei.»

«Una vittima che ruba la vernice. E un'altra che fornisce l'elenco di nomi?» chiese Jack.

Leighton annuì, scuro in volto. «È così, ve l'assicuro. E sapete che non racconterei palle a uno dei ragazzi di Garber.» Reacher si limitò a scuotere la testa.

La conversazione terminò. Nessuno proferì altre parole. La stanza divenne silenziosa. Leighton rimase seduto al tavolo, la Harper si vestì meccanicamente e Reacher s'infilò il cappotto e cercò le chiavi della Nissan nella giacca di Lisa. Uscì e rimase immobile sotto la pioggia per un lungo istante. Poi aprì l'auto e s'infilò nell'abitacolo; avviò il motore e attese. La Harper e Leighton uscirono insieme. Entrambi raggiunsero la propria macchina. L'uomo la salutò con un breve gesto della mano. Jack innestò la marcia e uscì lentamente dal parcheggio.

«Controlla la cartina», disse.

«Prendi la 295 e poi la Turnpike», gli comunicò lei.

Lui annuì. «Da lì in poi conosco la strada. Me l'ha mostrata la Lamarr.»

«Perché diavolo Lorraine Stanley ha rubato la vernice?»

«Non lo so», rispose Jack.

«E vuoi dirmi perché?» chiese Lisa. «Tu sapevi che questa pista dell'esercito non c'entrava nulla, ma ci hai fatto perdere trentasei ore per seguirla. Perché?»

«Te l'ho già detto. Era un esperimento, e avevo bisogno di tempo per riflettere.»

«Su che cosa?» Jack non rispose, e Lisa rimase in silenzio per un po'.

«Meno male che non siamo andati avanti coi festeggiamenti», esclamò sarcastica la Harper.

Reacher non raccolse la provocazione e rimase zitto per l'intero tragitto.

Si limitò a imboccare le strade giuste e a guidare sotto la pioggia. Aveva nuove domande in testa e stava cercando di trovare le risposte, ma non approdava a nulla. L'unica cosa che aveva ben chiara nella mente era la sensazione della lingua di Lisa nella sua bocca. Era diversa da quella di Jodie.

Aveva un sapore diverso. Immaginò che la lingua di ognuno avesse un sapore diverso.

Guidò a gran velocità e impiegò meno di tre ore dalla periferia di Trenton a Quantico. Svoltò nella strada non contrassegnata lasciando l'interstatale 95, attraversò i posti di guardia dei marines, immersi nel buio, e fermò il veicolo davanti alla barriera. La sentinella dell'FBI puntò una torcia sui loro distintivi e sui loro volti, poi sollevò la sbarra a strisce e fece loro cenno di passare. Superarono lentamente i rallentatori sulla strada ed entrarono a bassa velocità nel parcheggio deserto, per posteggiare di fronte alle porte a vetro. Già nel Maryland aveva smesso di piovere, e la Virginia era asciutta.

«Bene», esclamò la Harper. «Andiamo a farci fare il culo.» Reacher annuì. Spense fari e motore, e rimase seduto in silenzio per un istante. Poi si guardarono negli occhi, scesero dall'auto e si avviarono verso le porte. Fecero un respiro profondo, ma l'atmosfera all'interno dell'edificio era molto serena e silenziosa. Non si vedeva nessuno in giro e nessuno li stava aspettando. Presero l'ascensore e raggiunsero l'ufficio sotterraneo di Blake. Trovarono l'agente seduto alla scrivania, una mano sul telefono e l'altra chiusa su un foglio di fax stropicciato. Il televisore privo di audio era sintonizzato su un canale politico. Sullo schermo, l'immagine di uomini in abiti eleganti seduti a un tavolo imponente. Blake lo ignorava e fissava invece un punto sulla scrivania, a metà tra il foglio e il telefono, e aveva un'espressione assente. La Harper lo salutò con un cenno del capo, e Jack rimase in silenzio.

«È arrivato un fax dall'UPS», mormorò Blake. La sua voce era gentile.

Garbata, persino piacevole. Sembrava mortificato, alla deriva, confuso.

Aveva l'aria esausta. «Indovinate chi ha mandato la vernice ad Alison Lamarr?» chiese.

«Lorraine Stanley», rispose Reacher.

«Esatto. Da un indirizzo in una cittadina dello Utah, che si è rivelato essere un magazzino. E indovinate un'altra cosa.»

«L'ha inviata tutta lei.» Nelson annuì. «L'UPS ha undici numeri di consegna consecutivi, che mostrano undici pacchi identici a undici indirizzi diversi, inclusa l'abitazione della Stanley a San Diego. E inoltre...»

«Inoltre?»

«Non aveva ancora una casa quando ha depositato la vernice nel magazzino. Ha atteso quasi un anno prima di sistemarsi, poi è tornata nello Utah e ha spedito il tutto. Che significa tutto ciò?»

«Non lo so», rispose Reacher.

«Nemmeno io», replicò Blake. Poi sollevò la cornetta del telefono; la fissò e riagganciò. «E ha appena chiamato Poulton», li informò. «Da Spokane. Non potete immaginare che cosa mi ha riferito.»

«Che cosa?»

«Aveva appena finito d'interrogare l'autista dell'UPS. Quell'uomo ha ricordi dettagliati. Un luogo isolato, un grosso pacco pesante, credo siano difficili da dimenticare.»

«E poi?»

«Alison era in casa quando lui ha fatto la consegna. Anche lei stava ascoltando la partita di baseball alla radio in cucina. Lo ha invitato a entrare, gli ha offerto un caffè e hanno ascoltato la radiocronaca del grande lancio insieme. Un po' di tifo, qualche saltello di gioia, un altro caffè, e poi lui le dice che ha un pacco molto grande per lei.»

«E?»

«E lei fa: oh, bene. Lui esce e lo scarica dal furgone su un carrello a mano, lei fa spazio nel garage; lui lo deposita nel punto indicato e lei è tutta un sorriso.»

«Come se lo stesse aspettando?» Blake annuì. «Quella è stata l'impressione dell'uomo. E poi Alison che fa?»

«Che cosa?»

«Stacca i documenti acclusi al pacco e li porta con sé in cucina. Il ragazzo la segue, per finire la sua tazza di caffè. Lei toglie la bolla di consegna dalla plastica, la fa a pezzettini e poi butta tutto nella pattumiera insieme con la plastica.»

«Perché?» Blake scrollò le spalle. «Chi diavolo lo sa? Ma quell'uomo ha lavorato quattro anni per l'UPS, e in sei casi su dieci conosceva i destinatari: non ha mai visto una cosa simile.»

«È affidabile?»

«Poulton crede di sì. Afferma che è un uomo che ispira fiducia, solare, loquace, pronto a giurare ogni dannata cosa su una pila di Bibbie.»

«Lei che ne pensa?» Blake scosse il capo. «Se mai mi venisse in mente un'idea, sareste i primi a saperlo.» Nell'ufficio calò il silenzio della notte.

«Devo farvi le mie scuse», affermò Reacher. «La mia teoria non ci ha portato a niente.» Blake fece una smorfia. «Non ci pensi. Valeva la pena tentare, altrimenti non le avremmo permesso di andare.»

«L'agente Lamarr è nei dintorni?»

«Perché?»

«Dovrei scusarmi anche con lei.» Nelson fu contrario. «È a casa. Non è tornata. Dice di essere a pezzi, e ha ragione; non posso biasimarla.» Jack annuì. «Già, è molto stressata. Dovrebbe andarsene via da qualche parte.» Blake si strinse nelle spalle. «E dove? Non salirà mai su un dannato aereo. E io non voglio che vada da nessuna parte in macchina, nello stato in cui si trova.» Poi il suo sguardo s'indurì e l'uomo sembrò tornare coi piedi per terra. «Ho intenzione di cercare un altro consulente», gli riferì. «Quando l'avrò trovato, lei se ne andrà. Non è approdato a nulla. Con quelli di New York dovrà arrangiarsi.» Reacher acconsentì. «D'accordo.» Blake distolse lo sguardo da Jack. Lisa colse il segnale e lo condusse fuori dell'ufficio. Salirono con l'ascensore fino al terzo piano. Uscirono e percorsero il corridoio che conduceva alla ben nota porta.

«Perché stava aspettando quella consegna?» chiese Lisa. «Perché Alison stava aspettando quelle latte di vernice, mentre tutte le altre no?» Jack alzò le spalle. «Non lo so.» La Harper aprì la porta. «Va bene, buonanotte», gli augurò.

«Ce l'hai con me?»

«Hai sprecato trentasei ore.»

«No, ho investito trentasei ore.»

«In che cosa?»

«Non lo so ancora.» La donna scrollò le spalle. «Sei un tipo strano.» Reacher annuì. «Così dicono.» Poi lui la baciò castamente sulla guancia, prima che lei potesse sottrarsi.

Jack entrò nella stanza, e Lisa attese finché la porta non si richiuse, dopodiché si diresse all'ascensore.

Le lenzuola e gli asciugamani erano stati cambiati, così come il sapone, lo shampoo, il rasoio e la schiuma da barba. Jack girò un bicchiere capovolto e v'infilò lo spazzolino da denti. Poi si stese sul letto, completamente vestito, cappotto incluso, e prese a guardare il soffitto. D'un tratto si girò sul fianco, si appoggiò su un gomito e prese il telefono. Compose il numero di Jodie. Dopo quattro squilli udì la sua voce, lenta e assonnata.

«Chi parla?» chiese lei.

«Sono io», rispose Jack.

«Sono le tre del mattino.»

«Quasi.»

«Mi hai svegliato.»

«Mi spiace.»

«Dove sei?»

«Chiuso a Quantico.» Lei rimase in silenzio e Reacher udì il ronzio della linea telefonica e i suoni lontani della notte newyorkese. Flebili clacson di auto, il gemito di una sirena distante.

«Come va?» chiese Jodie.

«Non va. Hanno intenzione di sostituirmi. Tornerò presto a casa.»

«A casa?»

«A New York», mormorò Jack.

Lei rimase zitta. Reacher udì il gemito urgente di un'altra sirena. Probabilmente proprio sulla Broadway, pensò. Sotto la sua finestra. Un suono malinconico.

«La casa non cambierà nulla. Te l'ho detto», cercò di rassicurarla lui.

«Domani c'è la riunione dei soci», esclamò lei.

«Allora festeggeremo», ribatté lui. «Quando torno. Se non finisco prima in carcere. Non sono ancora fuori pericolo con Deerfield e Cozo.»

«Pensavo che se ne sarebbero dimenticati.»

«Se avessi risolto il caso. Ma non l'ho fatto», le fece presente Jack.

Jodie tacque di nuovo. Poi disse: «Non avresti dovuto cacciarti nei guai con quella storia».

«Lo so.»

«Ma ti amo», esclamò lei.

«Anch'io», mormorò Jack. «Buona fortuna per domani.»

«Anche a te.» Reacher riagganciò, si stese e ricominciò a scrutare il soffitto. Cercò di vedervi il volto di Jodie, invece vide Lisa Harper e Rita Scimeca, le ultime due donne che avrebbe voluto portarsi a letto ma che, a causa delle circostanze, non poteva toccare. Con la Scimeca sarebbe stato del tutto inopportuno. Con la Harper sarebbe stata un'infedeltà. Ragioni perfettamente valide, ma le ragioni per non fare qualcosa non soffocano l'impulso originario.

Jack pensò al corpo di Lisa, al modo in cui si muoveva, al sorriso schietto, al suo sguardo sincero e seducente. Vide il viso della Scimeca, le ferite invisibili, la sofferenza nei suoi occhi. Si era ricostruita una vita nell'Oregon, i fiori, il pianoforte, il luccichio della sua cera per mobili, una vita domestica impostata sulla difesa. Chiuse gli occhi e li spalancò di scatto sulla vernice bianca sopra di sé. Si voltò, si appoggiò sul gomito e riprese in mano il telefono. Compose lo zero, sperando che gli rispondesse una centralinista.

«Sì?» chiese una voce che non aveva mai udito prima.

«Sono Reacher», spiegò. «Su al terzo piano.»

«So chi è e dove si trova.»

«Lisa Harper è ancora nell'edificio?»

«L'agente Harper?» domandò la voce. «Attenda, prego.» La linea divenne silenziosa. Niente musica, niente annunci registrati.

Nessun la sua chiamata sta per essere inoltrata. Niente di niente. Poi la voce tornò a parlare. «L'agente Harper è ancora qui.»

«Le dica che voglio vederla, per favore», la pregò Jack. «Immediatamente.»

«Riferirò il messaggio», confermò la voce.

Poi la linea s'interruppe. Reacher posò i piedi sul pavimento e si sedette sul bordo del letto, lo sguardo rivolto alla porta, in attesa.

Le tre del mattino in Virginia equivalgono alla mezzanotte sulla costa del Pacifico, e mezzanotte era l'orario abituale in cui la Scimeca si coricava. Seguiva la medesima routine ogni sera, in parte perché amava essere metodica, in parte perché quell'aspetto della sua indole era stato strenuamente rinforzato dall'addestramento militare e, in ogni caso, quando hai sempre vissuto da sola e sempre lo farai, quanti modi esistono di andare a letto?

Rita cominciò dal garage. Tolse la corrente alla saracinesca, fissò i chiavistelli, controllò che l'auto fosse chiusa e spense la luce. Chiuse e sprangò la porta della cantina e controllò la caldaia. Salì di sopra, spense le luci del seminterrato e chiuse a chiave la porta del corridoio. Verificò che la porta d'ingresso fosse chiusa, girò il chiavistello e inserì la catena.

Poi controllò le finestre. Ve n'erano quattordici in tutta la casa, e tutte avevano il chiavistello. Nel tardo autunno, col freddo, erano chiuse in ogni caso; ciononostante le verificò a una a una. Faceva parte della sua routine.

Dopodiché tornò in soggiorno con un panno per il piano. Aveva suonato per quattro ore, perlopiù Bach, più lentamente del dovuto, ma stava facendo progressi. Adesso doveva pulire la tastiera; era molto importante rimuovere l'unto lasciato dai polpastrelli. Sapeva che i tasti erano ricoperti di una plastica molto sofisticata ed erano, probabilmente, impenetrabili, tuttavia si trattava di un gesto di devozione. Se avesse trattato il pianoforte con rispetto, lo strumento l'avrebbe ricompensata.

Strofinò vigorosamente la tastiera, dalle note più basse a quelle più acute, lungo tutti gli ottantotto tasti. Abbassò il coperchio, spense la luce e riportò il panno in cucina. Spense anche la luce della cucina e salì al buio, a tentoni, fino in camera. Andò in bagno, si lavò le mani, i denti e la faccia, il tutto in una sequenza prestabilita. Si mise di lato al lavabo, in modo da non dover guardare la vasca. Non l'aveva più degnata di uno sguardo da quando Reacher le aveva raccontato della vernice.

Poi entrò in camera da letto e s'infilò sotto le coperte. Raccolse le ginocchia al petto e le abbracciò. Stava pensando a Jack. Le piaceva. Molto. Era stato bello rincontrarlo. Ma poi si rotolò su un fianco e lo cacciò dalla mente, perché non si aspettava di rivederlo ancora.

Attese venti minuti prima che la porta si aprisse ed entrasse la Harper.

Non bussò, usò semplicemente la chiave ed entrò. Era in maniche di camicia, arrotolate fino ai gomiti. Aveva gli avambracci sottili e abbronzati, i capelli sciolti. Non indossava il reggiseno. Forse era ancora nella stanza del motel di Trenton.

«Mi cercavi?» chiese lei.

«Lavori ancora al caso?» le domandò Reacher.

Lei fece un passo avanti e si guardò allo specchio. Si fermò accanto alla cassettiera e si voltò verso di lui.

«Certo», rispose. «I vantaggi di un agente semplice: non t'incolpano delle folli idee altrui.» Jack rimase in silenzio e lei lo guardò.

«Che cosa volevi?» gli chiese.

«Volevo farti una domanda. Che cosa sarebbe accaduto se avessimo saputo prima delle spedizioni di vernice e avessimo chiesto spiegazioni ad Alison Lamarr invece che al tizio dell'UPS? Che cosa ci avrebbe detto?»

«La stessa cosa di quell'uomo, presumibilmente. Poulton ha detto che è affidabile.»

«No», obiettò Reacher. «Lui è affidabile, ma Alison ci avrebbe mentito.»

«Mentito? Perché?»

«Perché ci hanno mentito tutte, Harper. Abbiamo parlato con sette donne, e tutte ci hanno raccontato frottole. Storie vaghe di coinquiline e di errori. Tutte stronzate. Se fossimo arrivati prima da Alison, ci avrebbe raccontato una storia simile.»

«Ma come lo sai?»

«Perché Rita Scimeca ci ha mentito. Senz'ombra di dubbio. Me ne sono appena reso conto. Non aveva nessuna coinquilina. Non l'ha mai avuta. La cosa semplicemente non quadra.»

«Perché no?»

«È tutto sbagliato. Hai visto casa sua, hai visto come vive. Tutta riservata e pudica. Ogni cosa così in ordine, pulita e lucida. In modo maniacale, ossessivo. Se vive in quel modo, non potrebbe sopportare un'altra persona accanto. Ha liquidato anche noi piuttosto velocemente, e io ero suo amico.

E poi non aveva bisogno di condividere la casa per motivi di soldi. Hai visto la sua auto, una berlina enorme, nuova; e quel piano... sai quanto costa un pianoforte a coda? Forse più della macchina. E hai visto gli attrezzi appesi alla tavola? I ganci sono tutti fissati con piccoli anelli di plastica.»

«Ti stai basando sui ganci della sua tavola degli attrezzi?»

«Su tutto. Ogni cosa è indicativa.»

«Che cosa vorresti sostenere?»

«Che stava aspettando la consegna, proprio come Alison. E come tutte le altre. Il pacco è arrivato e tutte hanno esclamato: oh, bene, come la Lamarr, tutte gli hanno fatto spazio, tutte hanno conservato lo scatolone.»

«Non è possibile. Perché avrebbero dovuto?»

«Perché il nostro uomo ha una sorta di potere su di loro», affermò Reacher. «Le sta obbligando a collaborare. Ha costretto Alison a dargli l'elenco; Lorraine Stanley a rubare la vernice, a nasconderla nello Utah e a spedirla a tempo debito; poi ha costretto ognuna di loro ad accettare la consegna e a conservarla finché lui non fosse stato pronto. Ha fatto sì che distruggessero subito le lettere di vettura e le ha convinte a mentire se qualcosa fosse andato storto prima che lui le avesse avute in pugno.» La Harper lo fissò sbalordita. «Ma in che modo? Come diavolo può aver fatto tutto ciò?»

«Non lo so», rispose Reacher.

«Ricatto?» suggerì Lisa. «Minacce? Paura? Dice loro: se collabori le altre muoiono ma tu rimani in vita? Come se le stesse raggirando separatamente, le une all'insaputa delle altre?»

«Non capisco. Non c'è nulla che quadri. Non erano un gruppo di donnicciole paurose, giusto? Certamente non Alison. E so che non sono molte le cose che spaventano Rita Scimeca.» Lisa lo stava ancora fissando. «Ma non si tratta solo di una collaborazione, vero?» gli chiese. «È qualcosa di più. Le sta costringendo anche a essere felici per ciò che accade. Alison ha esclamato: oh, bene, quand'è arrivato il pacco.» Entrambi rimasero un istante in silenzio.

«Era forse sollevata o qualcosa del genere?» ipotizzò Lisa. «Le ha per caso promesso che se avesse ricevuto il pacco tramite UPS invece che con FedEx, oppure nel pomeriggio anziché al mattino, o in un giorno particolare della settimana, sarebbe stata definitivamente salva?»

«Non lo so», ripeté Reacher.

Di nuovo silenzio.

«Allora che cosa vuoi che faccia?» gli chiese la Harper.

Jack fece un gesto d'impotenza. «Continua a pensare. Tu sei l'unica che può fare qualcosa in questo momento. Gli altri non otterranno nessun risultato, no di certo se insistono nella direzione che hanno preso.»

«Devi dirlo a Blake.» Reacher scosse il capo. «Blake non mi ascolterà. Ho perso ogni credibilità ai suoi occhi. Ora tutto dipende da te.»

«Forse l'hai persa anche ai miei.» Lisa si sedette sul letto accanto a lui, come se improvvisamente non si reggesse più in piedi. Lui la stava guardando, una strana espressione negli occhi.

«Che c'è?» chiese la Harper.

«La telecamera è accesa?» Lei scosse il capo. «Hanno lasciato perdere. Perché?»

«Perché ho voglia di baciarti di nuovo.»

«Perché?»

«Mi è piaciuto, prima.»

«Perché dovrei volerti baciare di nuovo?»

«Perché è piaciuto anche a te.» Lisa arrossì. «Solo un bacio?» Lui annuì.

«Be', d'accordo», mormorò la Harper.

Si voltò verso di lui e Reacher la prese tra le braccia e la baciò. Lei mosse la testa come aveva già fatto. Premette il viso contro quello di Jack, gli passò la lingua sulle labbra e i denti, e s'insinuò nella sua bocca. Lui fece scivolare una mano fino alla vita. Lisa gli mise una mano fra i capelli e lo baciò con ancor più passione. La sua lingua era insistente, ma all'improvviso lei gli mise una mano sul petto e si scostò, respirando affannosamente.

«Dovremmo fermarci», mormorò Lisa.

«Già», ribatté Jack.

La Harper si alzò, un po' vacillante. Si piegò prima in avanti e poi all'indietro, gettandosi i capelli dietro le spalle.

«Ora vado», si congedò. «Ci vediamo domani.» Aprì la porta e uscì. Jack la udì sostare nel corridoio finché la porta non si richiuse. Poi la sentì raggiungere l'ascensore. Lui si stese nuovamente sul letto, ma non dormì. Pensò all'ubbidienza e al consenso, ai mezzi, ai moventi e alle opportunità. Alla verità e alle bugie. Trascorse cinque ore assorto nei suoi pensieri.

Lisa tornò alle otto del mattino. Era raggiante, fresca di doccia e indossava un vestito e una cravatta diversi. Sembrava piena di energia. Reacher era stanco, stropicciato e sudato, aveva caldo e freddo nello stesso tempo.

Ma la stava aspettando poco oltre la porta, il cappotto abbottonato, il cuore martellante per l'urgenza.

«Andiamo», la incalzò lui. «Subito.» Blake era nel suo ufficio, alla scrivania, sembrava non si fosse nemmeno mosso dalla notte precedente. Forse era davvero così. Il fax dell'UPS giaceva ancora accanto al suo gomito. Il televisore era ancora privo di audio, sintonizzato sullo stesso canale: un reporter di Washington stava trasmettendo da Pennsylvania Avenue, la Casa Bianca alle sue spalle. Il tempo sembrava buono. Cielo azzurro, aria cristallina. Sarebbe stato un giorno perfetto per viaggiare.

«Oggi lavorerà ancora sui file», ordinò Blake.

«No, devo andare a Portland», ribatté Reacher. «Mi presta l'aereo?»

«L'aereo?» ripeté incredulo Blake. «Ma lei è pazzo. Nemmeno per sogno.»

«Va bene», disse semplicemente Jack.

S'avviò verso la porta, lanciò un'ultima occhiata all'ufficio e uscì nel corridoio. Poi rimase immobile al centro dell'angusto passaggio.

La Harper lo oltrepassò. «Perché Portland?» gli chiese.

Lui la guardò. «Verità e bugie.»

«Che significa?»

«Vieni con me e lo scoprirai.»