22
Stavolta ci saranno gli agenti di sorveglianza. Lo sai con certezza, perciò stavolta sarà difficile. Sorridi tra te e te, e correggi la tua espressione: stavolta, a dire il vero, sarà molto difficile. Molto, molto difficile. Ma non impossibile, non per te. Sarà una sfida, ecco tutto. Inserire gli agenti di sorveglianza nell'equazione eleverà l'intera faccenda e la renderà quasi interessante. Quasi al punto di risvegliare il tuo talento, di far sì che spieghi le ali. Sarà una sfida a godere, a sconfiggerli.
Ma non sconfiggerai nessuno senza prima aver riflettuto. Senza aver osservato e pianificato con cura. Gli agenti sono un fattore nuovo, perciò vanno analizzati. Ma questo è il tuo punto di forza, giusto? Un'analisi accurata, imparziale. Nessuno ti batte sotto quest'aspetto. Lo hai dimostrato, più e più volte, non credi? Per ben quattro volte.
Allora, che cosa implicano per te gli agenti di sorveglianza? Prima domanda, chi sono? Laggiù, in mezzo alla natura selvaggia, a milioni di chilometri dal nulla, avrai probabilmente a che fare con qualche idiota di poliziotto locale. Non sarà un problema immediato, una minaccia immediata.
Ma il rovescio della medaglia è: laggiù, in mezzo alla natura selvaggia, a milioni di chilometri dal nulla, non ci saranno abbastanza poliziotti locali idioti in circolazione. Un minuscolo centro urbano dell'Oregon ai confini di Portland non avrà abbastanza sbirri da garantire una sorveglianza ventiquattr'ore su ventiquattro. Dovranno chiedere aiuto, e tu sai che aiuto avranno dall'FBI. Lo sai con certezza. In base alle tue previsioni, i locali la sorveglieranno di giorno, il Bureau di notte.
Dato che hai una possibilità di scelta, non t'invischierai con il Bureau, perciò eviterai la notte. Opterai per il giorno, quando tutto ciò che si frapporrà tra lei e te sarà un grasso ragazzo del luogo in una Crown Vic piena di carte di cheeseburger e di caffè freddo. E opterai per il giorno perché il giorno è la soluzione più elegante. Alla luce del giorno. Adori quell'espressione. La usano continuamente, vero?
«Il crimine è stato commesso alla luce del giorno», sussurri fra te e te.
Superare la sorveglianza dei locali alla luce del giorno non sarà troppo difficile, ma, anche in tal caso, non la prenderai alla leggera, non agirai frettolosamente. Osserverai con attenzione, da lontano, finché non capirai le dinamiche. Investirai un po' del tuo tempo in un'osservazione attenta e paziente. Per fortuna, puoi farlo. Non sarà difficile: il posto è montuoso, e i posti montuosi hanno due caratteristiche. In primo luogo, sono pieni di idioti che se ne vanno a zonzo col binocolo al collo; in secondo luogo, il terreno montagnoso ti consente di distinguere più facilmente il punto A dal punto B. Ti nascondi su un rilievo, su una montagnola o come diavolo si chiamano, prendi posizione, guardi giù e osservi. Aspettando.
Reacher attese a lungo nella quiete del soggiorno di Jodie. La sua posizione sul divano cambiò da seduta a scomposta e, di lì a un'ora, Jack si girò e si stese. Chiuse gli occhi e li riaprì, sforzandosi di restare sveglio, ma li richiuse e li mantenne tali. Pensò di restare così per una decina di minuti, che avrebbe sentito l'ascensore, o la porta, ma, al momento buono, non udì nessuno dei due. Si svegliò e la vide china su di lui, le labbra sulla sua guancia.
«Ciao, Reacher», disse dolcemente Jodie.
Jack la tirò a sé e la tenne stretta in un abbraccio silenzioso. Lei ricambiò, con una mano sola perché con l'altra reggeva ancora la valigetta, ma con forza.
«Com'è andata la giornata?» le domandò.
«Dopo», mormorò lei.
Lasciò cadere la valigetta e si gettò su di lui. Si sfilò con un po' di fatica il cappotto che scivolò a terra. La fodera di seta frusciando sembrò sussurrare. Jodie indossava un abito di lana con una zip lunga quanto la sua schiena, dal collo fino all'osso sacro. Jack la aprì lentamente e sotto sentì il calore del suo corpo. Lei si sollevò, puntandogli i gomiti aguzzi nel ventre, e prese ad armeggiare con la camicia. Reacher le scoprì le spalle, e lei gli sfilò la camicia dai pantaloni, strattonandogliela all'altezza della cintura.
Poi Jodie si alzò e il vestito cadde sul pavimento. Gli tese una mano, che lui afferrò, e lo condusse nella camera da letto. Mentre camminavano, si tolsero, incespicando, il resto dei vestiti, e si buttarono sul letto, bianco e freddo, illuminato qua e là dalle luci al neon della metropoli.
Lei lo spinse giù, le mani sulle spalle. Era forte, come una ginnasta, pressante, energica e agile sopra di lui. Jack era perso.
Finirono tutti sudati in un ammasso di lenzuola spiegazzate. Jodie gli stava premuta contro, tanto che Reacher sentiva il suo cuore martellargli contro il petto. Aveva i suoi capelli in bocca, e respirava affannosamente.
Lei sorrideva, il volto sulla sua spalla. Jack percepì il movimento delle sue labbra a contatto con la pelle. La forma della sua bocca, il freddo dei suoi denti. La curva impaziente degli zigomi della sua guancia.
Era indescrivibilmente bella. Alta, magra e aggraziata, bionda e lievemente abbronzata, occhi e capelli splendidi. Ma non solo. Vibrava d'energia, di forza selvaggia e di passione, e possedeva un'intelligenza viva e irrequieta, come il fuoco. Jack passò la mano sulla dolce curvatura della schiena. E lei allungò il piede sulla sua gamba, cercando d'intrecciare le dita con quelle di lui. Aveva ancora quel misterioso sorriso sulle labbra, che sfioravano sempre il collo di Reacher.
«Adesso mi puoi chiedere della mia giornata», mormorò Jodie.
Le sue parole giunsero attutite dalla spalla di lui.
«Com'è andata?» le chiese Jack.
Lei gli posò una mano sul petto e si raddrizzò, sostenendosi col gomito.
Poi fece una smorfia e sbuffò. Infine sul suo volto riapparve il sorriso.
«Alla grande», rispose.
Lui ricambiò il sorriso. «Quanto alla grande?»
«Pettegolezzi tra segretarie», spiegò lei. «La mia ha parlato a pranzo con una del piano di sopra.»
«E?»
«Tra qualche giorno ci sarà la riunione dei soci.»
«E?»
«La segretaria del piano di sopra ha appena battuto l'ordine del giorno.
Faranno un'offerta di associazione.» Jack sorrise. «A chi?»
«A uno dei collaboratori», disse lei, in un sorriso.
«A quale?»
«Indovina!» Lui finse di pensarci. «Vorranno qualcuno di speciale, giusto? Il migliore che hanno. Il più intelligente, il più lavoratore, il più affascinante e via dicendo, giusto?»
«Di solito è così.» Reacher ammiccò verso di lei. «Congratulazioni, piccola. Te lo meriti.
Davvero.» Lei sorrise felice e gli gettò le braccia al collo, poi si premette contro di lui, per abbracciarlo completamente, dalla testa ai piedi.
«Diventare socia», esclamò Jodie. «Quello che ho sempre desiderato.»
«Te lo meriti», ripeté Jack. «Sul serio.»
«Una socia al trenta», aggiunse lei. «Riesci a crederci?» Reacher fissò il soffitto e sorrise. «Sì, ci credo. Se ti fossi data alla politica, ora saresti presidente.»
«Io non ci posso credere», mormorò Jodie. «Non ci riesco mai quando ottengo quello che desidero.» Poi restò in silenzio per qualche istante. «Ma non è ancora successo», osservò cauta. «Forse dovrei aspettare finché non accadrà.»
«Accadrà», ribatté lui.
«È solo nell'ordine del giorno. Forse voteranno tutti contro.»
«No.»
«Ci sarà una festa», aggiunse Jodie. «Ci verrai?»
«Se vuoi. Se non ti rovino l'immagine.»
«Potresti comprarti un vestito. Mettere le tue medaglie. Faresti un figurone.» Jack rimase zitto per pochi attimi, pensando all'idea di comprare un vestito. Se lo avesse fatto, sarebbe stato il primo della sua vita.
«Tu hai quello che desideri?» gli domandò lei.
Reacher la cinse con le braccia. «In questo momento?»
«In generale.»
«Voglio vendere la casa», le disse.
Lei rimase immobile per un attimo. «Va bene», acconsentì. «Non che ti serva il mio permesso.»
«Mi opprime. Non riesco a gestirla», si giustificò Jack.
«Non mi devi spiegazioni.»
«Potrei vivere per il resto della vita con i soldi che ne ricaverei.»
«Dovrai pagare le tasse.» Lui assentì. «D'accordo. Quello che rimarrebbe mi consentirebbe di pagare un sacco di stanze di motel.»
«Dovresti pensarci bene. È l'unico bene che hai.»
«Non per me. Il denaro per i motel è un bene. La casa è un peso.» Jodie restò in silenzio.
«Ho anche intenzione di vendere l'auto», proseguì Reacher.
«Credevo ti piacesse», affermò lei.
Jack annuì. «Mi piace. Per essere un'auto. È solo che non amo possedere le cose.»
«Possedere un'auto non è esattamente la fine del mondo.»
«Per me, sì. Troppi fastidi. Ci vuole l'assicurazione, e tante altre cose del genere.»
«Non hai un'assicurazione?»
«Ci ho pensato», rispose lui. «Ma bisogna preparare un sacco di carte.» Jodie non replicò subito. Poi chiese: «Come ti sposterai?»
«Come ho sempre fatto: in autostop, in pullman.» Lei tacque ancora. Infine disse: «Va bene, vendi l'auto, se vuoi. Ma forse sarebbe bene che tenessi la casa. È utile».
Lui scosse la testa accanto a quella di lei. «Mi fa impazzire.» Jack la sentì sorridere.
«Sei l'unica persona che conosco che vuole essere un senzatetto», commentò. «La maggior parte desidera l'esatto contrario.»
«Non c'è nulla che desideri di più», ammise lui. «Come tu desideri diventare socia, io desidero essere libero.»
«Anche da me?» domandò Jodie con voce pacata.
«Dalla casa», replicò Jack. «È un peso, un freno. Tu non lo sei.» A quel punto, lei gli tolse le braccia dal collo e si sollevò sui gomiti.
«Non ti credo», affermò. «La casa ti frena e non ti va, ma anch'io ti freno, non è così?»
«La casa mi fa star male», spiegò Reacher. «Tu mi fai star bene. Io so solo quello che provo.»
«Perciò venderai la casa, ma resterai nei paraggi di New York?» Lui non parlò per qualche secondo. «Forse me ne andrò un po' in giro», azzardò. «Tu viaggerai, sarai occupata per la maggior parte del tempo. Potrebbe funzionare.»
«Ci allontaneremo l'uno dall'altra.»
«Non credo.»
«Tu starai via sempre più a lungo.» Jack scosse il capo. «Sarà come è stato quest'anno. Solo che non avrò la casa di cui preoccuparmi.»
«Hai già deciso, giusto?» Lui assentì. «Mi fa impazzire. Non conosco nemmeno il codice postale.
Presumibilmente perché, nel profondo, non voglio conoscerlo»
«Non ti serve il mio permesso», ripeté Jodie. Poi tacque.
«Sei arrabbiata?» chiese lui, futilmente.
«Preoccupata», rispose Jodie.
«Non cambierà nulla», la rassicurò Jack.
«Allora, perché farlo?» obiettò lei.
«Perché devo.» Jodie non replicò.
Si addormentarono così, l'uno nelle braccia dell'altra, l'euforia del momento ormai venata di malinconia. Arrivò il mattino, e non ci fu più tempo per parlare. Jodie si fece una doccia e uscì senza fare colazione e senza chiedergli che programmi avesse o quando sarebbe tornato. Jack si lavò, si vestì, chiuse l'appartamento e scese in strada, dove trovò Lisa Harper che lo aspettava. Indossava il completo numero tre e stava appoggiata al paraurti dell'auto del Bureau. La giornata era luminosa, ma il sole era freddo, e la luce le illuminava i capelli. La macchina era ferma accanto al marciapiede, circondata da un traffico impazzito. L'autista del Bureau sedeva immobile al volante, e fissava diritto davanti a sé. L'aria era piena di rumore.
«Tutto bene?» domandò la Harper.
Lui fece un gesto di noncuranza. «Presumo di sì.»
«Allora andiamo.» L'autista si fece strada nel traffico sino a venti isolati più a nord, poi s'infilò nello stesso garage sotterraneo in cui tempo prima lo aveva portato l'agente Lamarr. Usarono lo stesso ascensore d'angolo e salirono al ventunesimo piano, sbucando nello stesso silenzioso corridoio. L'autista li precedette come fosse il padrone di casa, poi indicò a sinistra. «Terza porta», disse.
James Cozo sedeva alla sua scrivania e pareva essere in ufficio già da un'ora. Era in maniche di camicia, la giacca appesa a un attaccapanni di legno curvato. Stava guardando la tele, un canale politico, un reporter zelante davanti al Campidoglio, con rapidi scorci dell'Hoover Building. Le udienze per il budget.
«Il ritorno del vigilante», esclamò Cozo. Poi fece un cenno di saluto alla Harper e chiuse un dossier. Tolse l'audio al televisore, si alzò dal tavolo e si sfregò le mani sul volto sottile, come se lo volesse lavare senz'acqua.
«Allora, che cosa vuole?» domandò.
«Indirizzi», rispose Jack. «Dei ragazzi di Petrosian.»
«Dei due che ha spedito in ospedale? Non saranno contenti di rivederla.»
«Lo saranno di vedermi andar via.»
«Ha intenzione di pestarli di nuovo?»
«Probabilmente sì.» Cozo annuì. «Mi sta bene, amico.» Estrasse un fascicolo da una pila e lo sfogliò, poi copiò un indirizzo su un pezzetto di carta. «Vivono insieme», spiegò. «Sono fratelli.» Poi ebbe un ripensamento e stracciò il foglietto.
Girò il dossier aperto sul tavolo e prese un nuovo pezzo di carta, gettandovi sopra una matita. «Se lo copi lei», disse. «Non voglio che la mia calligrafia sia in nessun modo collegata con questa faccenda, né letteralmente né metaforicamente.» L'indirizzo era vicino alla Quinta Strada, sulla Sessantaseiesima.
«Bel quartiere», commentò Reacher. «Costoso.» Cozo assentì di nuovo. «Lauti affari.» Poi sorrise. «Be', lo erano», si corresse. «Finché lei non si è intromesso, giù a Chinatown.» Reacher non disse nulla.
«Prendete un taxi», suggerì Cozo alla Harper. «E lei ne resti fuori. Nessun coinvolgimento diretto dell'FBI nell'operazione, intesi?» Lei annuì, riluttante.
«Si diverta», esclamò infine il detective.
Camminarono fino alla Madison con Lisa che allungava il collo come una turista, poi presero un taxi e scesero all'angolo con la Sessantaseiesima.
«Percorreremo l'ultimo tratto a piedi», stabili Reacher.
«Intende noi due?» chiese lei. «Bene, io desidero proprio essere coinvolta.»
«Dovrà esserlo», osservò Jack. «Altrimenti non entrerò.» L'indirizzo era sei isolati più a nord e corrispondeva a un condominio di media altezza con la facciata di mattoni grigi. Finestre dal telaio metallico, niente balconi, condizionatori inseriti nei muri sotto le finestre stesse.
Niente tenda sul marciapiede, niente portiere, ma era pulito e ben tenuto.
«È un posto costoso?» chiese Lisa.
Reacher si strinse nelle spalle. «Non lo so. Non tra i più costosi, suppongo. Ma non lo regalano.» Il portone era aperto. L'atrio era angusto, le pareti stuccate accuratamente dipinte in modo da assomigliare a marmo. C'era un solo ascensore in fondo all'atrio, con una porta stretta e marrone.
L'appartamento che cercavano era all'ottavo piano. Reacher premette il pulsante e la porta si aprì. La cabina era rivestita di specchi color bronzo su tutti e quattro i lati. L'agente Harper vi entrò e Jack la seguì, poi premette il numero otto. Un'infinità di riflessi li accompagnò nella salita.
«Lei busserà alla porta», disse Reacher. «Li induca ad aprire. Se vedono me, non lo faranno.» Lisa approvò silenziosamente e l'ascensore si fermò all'ottavo piano. La porta si aprì e si ritrovarono in un cupo pianerottolo dalla stessa forma dell'atrio. L'appartamento era sul retro dell'edificio, a destra.
Reacher si appiattì contro il muro, mentre la Harper si metteva davanti alla porta. Si piegò in avanti, poi all'indietro per togliersi i capelli dal volto.
Inspirò e infine bussò. Per un attimo non accadde nulla, poi la donna s'irrigidì come se si sentisse osservata. Dall'interno si udì tintinnare una catenella e la porta si aprì di poco.
«Manutenzione stabili», spiegò con voce ferma Lisa. «Devo controllare i condizionatori.» Stagione sbagliata, pensò Jack, ma la Harper superava il metro e ottanta, aveva i capelli lunghi quasi un metro e le mani infilate nelle tasche, il che le lasciava la stoffa della camicetta ben tesa sul seno. La porta si richiuse per un istante, poi si aprì del tutto e lei entrò, come se accettasse un gentile invito.
Reacher si staccò dal muro e la seguì prima che l'uscio si richiudesse.
L'appartamento era piccolo, e dava sul cavedio. Tutto era di color marrone: i tappeti, i mobili, le tende. Un minuscolo ingresso si apriva su un piccolo soggiorno, con un divano, due poltrone e Lisa Harper. E i due sicari che Jack aveva visto l'ultima volta nel vicolo dietro Mostro's.
«Salve, ragazzi», esclamò lui.
«Siamo fratelli», disse il primo, senza nessuna logica.
Sulla fronte avevano entrambi pezzi di garza d'un bianco intenso, un po' più lunghi e larghi delle etichette che Jack vi aveva incollato. Uno aveva le mani bendate. Erano vestiti in modo identico: felpe e pantaloni da golf.
Senza i loro voluminosi cappotti sembravano più piccoli. Uno dei due portava scarpe da barca, l'altro delle pantofole a mocassino che parevano fabbricate in casa, con un apposito kit.
Jack le fissò e sentì l'aggressività svanire. «Merda», commentò.
I due lo fissarono.
«Sedetevi», ordinò lui.
I fratelli si sedettero fianco a fianco sul divano e lo osservarono, gli occhi impauriti incorniciati dai ridicoli pezzi di garza.
«Sono quelli giusti?» chiese la Harper.
Reacher assentì. «Le cose cambiano», le fece presente.
«Petrosian è morto», disse il primo.
«Quello, lo sappiamo già», replicò Jack.
«Non sappiamo altro», dichiarò il secondo.
Reacher scosse la testa. «Non dite così. Voi sapete molte cose.»
«Cosa, per esempio?»
«Per esempio, dov'è il Bellevue.» Il primo scagnozzo assunse un'aria tesa. «Il Bellevue?» Jack ammiccò. «L'ospedale dove vi hanno portato.» I fratelli fissarono entrambi la parete.
«Vi è piaciuto starci?» Nessuno dei due rispose.
«Volete tornarci?» Ancora nessuna risposta.
«Hanno un grande pronto soccorso, vero?» insistette Reacher. «Ottimo per sistemare ogni genere di problemi. Braccia rotte, gambe rotte, tutti i tipi di lesioni possibili.» L'uomo con le mani bendate era il più vecchio. Il portavoce. «Che vuole?»
«Uno scambio», rispose Jack.
«Di che genere?»
«Informazioni», spiegò Reacher. «In cambio annullerò il vostro secondo soggiorno al Bellevue.»
«D'accordo», accettò l'uomo.
L'agente Harper sorrise. «È stato facile.»
«Più facile di quanto pensassi», le fece eco Jack.
«Le cose cambiano», osservò lo scagnozzo. «Petrosian è morto.»
«Quelle pistole che avevate, dove le avete prese?» chiese Jack.
«Ce le ha date Petrosian.»
«Dove le ha prese?»
«Non lo sappiamo.» Reacher sorrise e scosse la testa. «Non puoi dire così. Non puoi rispondere semplicemente: non lo sappiamo. Non convince nessuno. Potresti rispondere: non lo so, ma non puoi parlare per tuo fratello. Non puoi sapere con certezza quello che lui sa, non ti pare?»
«Non lo sappiamo», ripeté lo scagnozzo.
«Provenivano dall'esercito», affermò Jack.
«Le ha comprate Petrosian», disse l'uomo.
«Le ha pagate», lo corresse Reacher.
«Comprate.»
«Ha organizzato l'acquisto, d'accordo.»
«Ce le ha date lui», spiegò il fratello minore.
«Sono arrivate per posta?» Il fratello maggiore annuì. «Sì, per posta.» Reacher scosse il capo. «No, non è vero. Lui vi ha mandato a prenderle da qualche parte. Probabilmente vi ha mandato a prenderne un'intera partita.»
«C'è andato di persona.»
«No, non è vero. Ha mandato voi. Petrosian non ci sarebbe mai andato di persona. Vi ha mandato, con la Mercedes che usavate.» I due fratelli fissarono la parete, assorti, come se stessero prendendo una decisione.
«Chi è lei?» domandò il fratello maggiore.
«Nessuno», rispose Jack.
«Nessuno?»
«Non sono uno sbirro, non sono dell'FBI né di altre agenzie.» Nessuna risposta.
«Perciò c'è un lato positivo e uno negativo», proseguì Jack. «Se mi date le informazioni che cerco, nessun altro ne verrà a conoscenza. La cosa finirà lì. M'interessa l'esercito, non voi. Il lato negativo è che, se non me le date, io non mi preoccupo di spedirvi in tribunale con tutti i diritti civili del caso, ma di rimandarvi al Bellevue con tutte le ossa rotte del caso.»
«È dell'Immigrazione?» chiese lo scagnozzo.
Reacher sorrise. «Avete perso la carta verde?» I due non dissero nulla.
«Non sono dell'INS», replicò Jack. «Ve l'ho detto, non sono niente. Nessuno. Solo un uomo che vuole una risposta. Datemela e resterete qui fintantoché vorrete, a godervi i vantaggi della civiltà americana. Ma sto perdendo la pazienza. Quelle scarpe non reggeranno ancora per molto.»
«Scarpe?»
«Non voglio pestare uno che porta pantofole come quelle.» Ci fu un attimo di silenzio.
«New Jersey», affermò il fratello maggiore. «Dopo il Lincoln Tunnel c'è un locale sulla strada dove la n. 3 incontra l'autostrada.»
«Come si chiama?»
«Non lo so. Bar di Qualcuno, è tutto quello che so. Mac qualcosa, un nome irlandese.»
«Chi avete incontrato là dentro?»
«Un tizio di nome Bob.»
«Bob e poi?»
«Non lo so. Non ci siamo scambiati i biglietti da visita o cose simili. Petrosian ci ha detto solo Bob.»
«Un soldato?»
«Penso di sì. Voglio dire, non era in uniforme né indossava altro di militare. Ma portava i capelli davvero molto corti.»
«Come si svolge la cosa?»
«Entri nel bar, lo trovi, gli dai i soldi in contanti, allora lui ti porta nel posteggio e prende la roba dal bagagliaio dell'auto.»
«Una Cadillac», aggiunse l'altro. «Una vecchia DeVille, di colore scuro.»
«Quante volte?»
«Tre.»
«Di che roba si trattava?»
«Beretta. Dodici a giro.»
«A che ora del giorno?»
«Di sera, verso le otto.»
«Bisogna avvertirlo telefonicamente?»
«È sempre lì verso quell'ora», rispose lo scagnozzo. «Così ci ha detto Petrosian.» Reacher prese nota mentalmente. «Allora, che aspetto ha Bob?» domandò.
«Le somiglia», rispose il fratello maggiore. «Grosso e cattivo.»