Capitolo 56

James

Attraverso l’oblò vedo un accecante lampo bianco illuminare Cerere. I droni hanno annientato il mietitore.

Esalo un respiro che non mi ero reso conto di trattenere.

Mi slaccio dal tavolo e mi affaccio all’oblò. La superficie di Cerere è cosparsa di crateri, il più grande è dove prima c’era il nucleo centrale del mietitore.

Mi volto e vedo che Emma mi sta parlando, ma non sento quello che dice. Il computer della nave è offline e gli auricolari non funzionano.

Fluttuo vicino a lei e attacco la mia tuta alla sua con una cinghia.

«Siamo riusciti…».

«Ce l’abbiamo fatta, Emma!».

«E il computer?»

«Non lo so. Art stava cercando di infettarlo, probabilmente per usare i sistemi di comunicazione».

«Per fermare i droni?»

«È presumibile».

«Per quale altro scopo?».

Ho un’altra teoria su quello che Art stava cercando di fare, ma non me la sento di riferirgliela. Non voglio però serbare segreti con lei. Ho deciso di dirle sempre la verità.

«Per disattivare i droni, oppure per trasmettere fuori dal sistema, alla griglia, e chiedere aiuto. Rinforzi».

Emma distoglie lo sguardo.

«Possiamo riavviare il computer?»

«Possiamo, ma è meglio di no».

«Dobbiamo farlo».

«È troppo rischioso. Se Art ha infettato Leo, riattivandolo potremmo dargli accesso a quello che resta del nostro sistema di comunicazione».

«Allora siamo bloccati quassù».

«Non proprio». Indico dall’oblò i detriti delle nostre nove navi e delle rocce che il mietitore ci ha lanciato contro. «Da qualche parte, là fuori, c’è la capsula di salvataggio di una delle navi. La troveremo e ce ne andremo. Te lo prometto».

Il mio tono è più fiducioso di quanto non lo sia io stesso, ma non voglio che si preoccupi. Abbasso lo sguardo sul pannello di controllo alla mia sinistra. Nella tuta mi restano dieci ore e trentadue minuti di ossigeno. Dobbiamo trovare una capsula di salvataggio funzionante prima che scada il tempo.

Mi ci vuole mezz’ora per smontare il ponte e isolare l’hardware del sistema operativo di Leo insieme alla telemetria e a tutti i dati della missione. Con la tuta e i guanti procedo lentamente, ma devo riportare a casa a tutti i costi il nucleo del computer e la scatola nera. Dobbiamo analizzarli per scoprire se il mietitore ha trasmesso un messaggio e se, come ci ha raccontato, al suo posto ne sta arrivando un altro.

Allaccio alla tuta il nucleo del computer e ci mettiamo a cercare sistematicamente la capsula. Su Sparta Tre ne troviamo una funzionante. Nella mia tuta ci sono poco meno di due ore di ossigeno. Emma e io ci allacciamo al sistema della capsula di salvataggio e riempiamo i serbatoi di ossigeno. Mi tolgo il casco e lo poso a fianco.

Lei mi coglie di sorpresa. Si stacca dalla parete e mi stringe tra le braccia con gli occhi colmi di lacrime.

Restiamo abbracciati e fisso fuori dal piccolo oblò il campo di detriti e i relitti della battaglia di Cerere.

Non mi sono mai sentito così grato in vita mia.

C’è soltanto una cosa che devo dirle, qualcosa che volevo dirle da quando Art ha rivelato i miei segreti. E i suoi.

«Ehi», sussurro.

Lei si scioglie dall’abbraccio e mi guarda.

«Grazie per avermi restituito la mia famiglia. Grazie per tutto quello che hai fatto».

«Tu avresti fatto lo stesso per me».

Sì. Non c’è nulla che non farei per lei.